Biblisti e teologi cattolici: «Basta con la credenza nel diavolo»

«È ora di finirla con l’ossessione per il diavolo… L’intervento del biblista Alberto Maggi», questo è il titolo di un articolo uscito ieri sul sito Il Libraio.it.

Padre Alberto Maggi, noto biblista, inizia spiegando che nell’Antico Testamento non esiste la figura del diavolo che corrisponde al concetto che ne possediamo oggi. All’epoca esisteva il satan, che significa avversario, e che, come spiega il libro del Siracide, è dentro ognuno di noi:

Quando un empio maledice il satana, maledice se stesso. [Siracide 21,27]

La tradizione della Chiesa non è rimasta sempre uniforme al pensiero dominante. Maggi cita una frase ironica di Origene, il grande padre della Chiesa:

Sì che se non ci fosse il diavolo nessun uomo peccherebbe.

Dopo una breve analisi del Primo Testamento, il biblista passa al Nuovo, spiega la differenza tra il diavolo (satan) e i demoni e contestualizza la vicenda di Gesù:

Al tempo di Gesù la credenza nei demòni era talmente fiorente che di notte era vietato salutare chicchessia per timore che potesse essere un demonio (Sanh. 44°), e tutto quel che aveva cause inspiegabili ed era sconosciuto all’uomo, dalla depressione all’epilessia, dal sonnambulismo all’ubriachezza, era ricondotto a un’azione demoniaca.

In un periodo socioculturale simile, è normale che Gesù, che liberava gli uomini dai mali psicofisici, li liberasse anche dai demoni: i due aspetti erano inseparabili.

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Molto interessante, per quanto riguarda l’argomento del mio blog, questo brano in cui l’autore spiega l’origine del termine demòni:

nasce quando tra il III e il II sec. a.C. la Bibbia venne tradotta dalla lingua ebraica a quella greca. I traduttori, in una cultura teologicamente più evoluta, si imbatterono in residui della mitologia babilonese assorbita dagli ebrei nei due secoli nei quali Israele fece parte dell’impero persiano, e tradussero con “demòni” quegli esseri intermedi tra il divino e l’umano quali erano, tra gli altri, le sirene (metà donna e metà uccello) e i sàtiri (la rappresentazione iconografica del diavolo, essere metà capra e metà uomo, si rifà proprio ai sàtiri, in particolare alle raffigurazioni del dio Pan).

Gli esseri intermedi come i satiri sono quegli ibridi di cui ho parlato approfonditamente nel libro L’origine dell’uomo ibrido. Infatti nel libro cito a proposito proprio un lavoro di Maggi, che potete trovare qui: Gesù e Belzebù, Satana e demoni nel vangelo di Marco.

Il forte articolo uscito su Il Libraio è destinato a fare scalpore, come fece scalpore, meno di un anno fa, la dichiarazione rilasciata dal generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa:

Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male. Anche i condizionamenti sociali rappresentano questa figura, ci sono persone che si comportano così perché c’è un ambiente dove è molto difficile fare il contrario.

Dal mio punto di vista il male fa parte del mistero della libertà. Se l’essere umano è libero, può scegliere tra il bene e il male. Noi cristiani crediamo che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, per cui Dio è libero, ma Dio sempre sceglie di fare il bene perché è tutto bontà.

Maggi e Sosa si uniscono a quella corrente lanciata negli anni ’70 dal grande teologo Herbert Haag, che pubblicò il libro La credenza nel diavolo.

Sembra che la strada intrapresa da Haag sia sempre più affollata da grandi studiosi cattolici. Papa Francesco, nella corsia opposta, continua a parlare del diavolo. Eppure sembra che la tendenza a non crederci più sia oramai irreversibile.

Chi sono i Malakim del Vecchio Testamento? Angeli? Alieni? O altro?

I malakim del Vecchio Testamento sono degli angeli, come vuole una certa tradizione cristiana, oppure sono degli extraterrestri, come ipotizzano diversi autori contemporanei?

Cosa significa l’ebraico malakim?

In un articolo precedente avevo dato la mia interpretazione dello scandaloso peccato di Cam e avevo annunciato che avrei mostrato in seguito il parallelismo tra la trasgressione del figlio di Noè, avvenuta dopo il diluvio, e la trasgressione delle figlie di Lot, avvenuta dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra.

Prima, però, è necessario analizzare una figura misteriosa che appare nel racconto di Sodoma e Gomorra e in centinaia di altri passi. Per la precisione, come possiamo leggere sull’utilissimo sito Biblehub, la parola ebraica malak (singolare di malakim) ricorre 213 volte: 110 volte viene tradotta con angelo (o angeli), 100 volte con messaggero (o messaggeri), 2 volte con ambasciatori e una volta con inviati.

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Il significato letterale della parola malakim è proprio messaggeri. Quando gli autori sacri scrivevano il termine malakim, intendevano esattamente indicare dei messaggeri. Se oggi un autore italiano contemporaneo scrivesse di messaggeri, secondo voi a cosa intenderebbe riferirsi? Ad angeli? Ad Alieni? O a messaggeri? Secondo me, a messaggeri.

Quindi il mistero è svelato: i malakim sono messaggeri. Ma il problema sorge adesso: che significa messaggeri? E quindi: che significa malakim?

Chi erano i malakim?

Il vocabolario Treccani definisce messaggero:

Chi reca ad altri un messaggio, un annuncio o anche una richiesta di notizie, come incarico abituale o occasionale.

La difficoltà nell’interpretare correttamente queste figure, nasce, in parte, dal fatto che oggi i messaggeri non si usano più. Se devo dire una cosa a un amico che abita a 500 km, prendo lo smartphone e gli scrivo, non certo mi metto a cercare una persona che si faccia 500 km per andare a parlare con il mio amico.

Nel I millennio a.C., invece, non c’erano i cellulari e quindi c’erano i malakim, i messaggeri. Ovviamente la gente comune non aveva bisogno di malakim perché non aveva la necessità d’intrattenere relazioni con abitanti di città e villaggi tanto distanti.

I malakim erano dunque i messaggeri dei re perché, loro sì, dovevano intrattenere relazioni con i sovrani degli altri popoli: se il faraone egiziano doveva comunicare con il re ittita, non certo saliva personalmente in groppa a un cammello per farsi migliaia di km. Quindi incaricava il suo malak.

Attenzione adesso: se egiziani e ittiti  non avevano buoni rapporti, il viaggio del malak rischiava di finire male. Arrivato in terra nemica, chiunque avrebbe potuto ucciderlo con il risultato che il suo messaggio non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per questo motivo, con il tempo, si era trovata una soluzione che, se ai nostri occhi potrebbe sembrare strana, all’epoca riusciva a garantire la sicurezza dei malakim.

Il malak di un re, nell’antichità, rappresentava lo stesso re. Se gli ittiti avessero ucciso o maltrattato il malak del faraone d’Egitto, è come se avessero ucciso o maltrattato il faraone stesso, è come se avessero dichiarato guerra agli egiziani. Al contrario: trattare bene un malak, equivaleva a trattare bene il suo re; offrirgli ospitalità con tutti i riguardi del caso, equivaleva a ospitare il re stesso.

Nel Nuovo Testamento, che è scritto in greco e quindi non può contenere la parola ebraica malak, Gesù parla proprio dei messaggeri dei re:

quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. [Luca 14,31s]

I malakim di Dio

Adesso che sappiamo chi erano i messaggeri dei re, sorge un altro problema: il Vecchio Testamento non parla solo dei malakim dei re ma anche dei malakim di Dio. Si tratta di angeli, alieni o cosa?

Prima di tutto occorre sapere che gli autori sacri consideravano Dio come il re dei re:

il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen. [1Timoteo 6,15s]

Dato che gli autori sacri immaginavano Dio come il re dei re, proiettavano sul sovrano celeste gli attributi che osservavano nei sovrani terreni, enfatizzandoli. Più i re erano potenti, più servitori potevano permettersi a corte. E Dio doveva essere il più potente dei potenti, ecco perché nella visione di Daniele si legge:

mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti. [Daniele 7,10]

Così come Dio possedeva i suoi servitori e la sua corte, come fosse un re, allo stesso modo doveva possedere i suoi messaggeri, i suoi malakim, esattamente come i sovrani.

Se un re che doveva mandare un messaggio non si doveva scomodare e inviava un messaggero, figuriamoci se poteva scomodarsi Dio, il re dei re, quando doveva comunicare qualcosa agli uomini.

Ed esattamente come i malakim dei re rappresentavano i re in persona, i malakim di Dio rappresentavano Dio in persona.

Alla luce di questa spiegazione, proviamo a leggere uno dei passi più famosi e male interpretati di sempre. Vedremo che tenendo conto di quanto detto fin qui, tutto tornerà alla perfezione. Si tratta di Genesi 18.

Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. [18,1s]

Già troviamo un’apparente contraddizione: il Signore appare ad Abramo ma Abramo vede tre uomini. Com’è possibile? L’apparente confusione continua:

Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». [18,2-5]

Sembra che Abramo e gli autori che abbiano scritto questo brano siano degli psicopatici. Passano continuamente dal singolare al plurale.

Abramo vide i tre uomini e corse loro incontro (plurale) poi si rivolge loro dicendo “Mio Signore… ai tuoi occhi, non passare… senza fermarti” (singolare) e infine “lavatevi… accomodatevi… ristoratevi… potrete proseguire…” (di nuovo il plurale!).

Tutto il capitolo alterna il singolare del Signore al plurale dei tre uomini. Un intero capitolo che non avrebbe alcun senso se non venisse letto con la chiave d’interpretazione che ho esposto sopra**. I tre uomini sono i messaggeri di Dio ma rappresentano Dio stesso. Ecco perché Abramo vede tre uomini ma li chiama “mio Signore“; ecco perché ci tiene tanto a ospitarli e a trattarli con i migliori dei modi: è come se Abramo stesse ospitando Dio in persona!

Dopo i convenevoli, i tre uomini si dividono. Due vanno verso Sodoma mentre uno rimane con Abramo:

Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. [18,22]

Il capitolo successivo, infatti, si apre così:

I due angeli [malakim] arrivarono a Sòdoma sul far della sera mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. [19,1]

Ecco svelata la vera identità di quegli uomini! La Bibbia italiana traduce con angeli ma la parola ebraica è malakim. Il brano continua:

Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. [19,1]

Esattamente come Abramo, Lot vede nella presenza dei malakim, la presenza stessa di Dio.

Questa interpretazione, inoltre, rispecchia in pieno la mentalità degli israeliti e degli ebrei che hanno talmente tanto rispetto per Dio che, ancora oggi, evitano di pronunciare il suo nome. Autori con una simile forma mentis, non potevano scrivere che Dio si manifestasse agli uomini e comunicasse con loro personalmente. L’escamotage di attribuire dei messaggeri a Dio come fosse un re, è un’ottima trovata per inserire i giusti intermediari nei racconti.

Adesso che sappiamo chi sono i malakim, nel prossimo articolo scopriremo chi sono i figli di Dio, i bene ha Elohim di Genesi 6 che pure fanno tanto discutere… Infine saremo pronti per scoprire il parallelo tra il diluvio e Sodoma.

** Alcuni provano a vedere nei tre uomini rappresentanti il Signore, un segno della Trinità di Dio ma 1. gli autori all’epoca non credevano assolutamente che Dio fosse uno e trino; 2. se così fosse, tutte le volte che appaiono i malakim, dovrebbero essere in 3 e invece non è così.

L’ibrido uomo pecora? Non è un ibrido ma una chimera. E forse è peggio

Negli ultimi giorni la notizia è rimbalzata su tutti i giornali: Il Messaggero, il Corriere, Rai News, TGCOM, ANSA, ecc.; tutti hanno scritto la stessa cosa: creato ibrido uomo pecora.

E invece non si tratta di un ibrido. Ma andiamo con ordine.

ibrido uomo pecora

Avvenire, uno dei pochi giornali a non parlare di ibridi, almeno nel titolo, ci spiega:

un’équipe americana ha sviluppato embrioni di pecora contenenti cellule umane, in un rapporto di una a 10mila, allo scopo di far crescere organi compatibili con l’uomo all’interno di animali. L’obiettivo è ottenere una “fabbrica” potenzialmente illimitata di pezzi di ricambio personalizzati e dunque senza pericolo di rigetto.

Dunque l’embrione pecora uomo, che è stato soppresso dopo quattro settimane, era formato da cellule di pecora e cellule umane, in un rapporto di 1 a 10mila. Questo embrione, dunque, non era un ibrido ma una chimera.

Nel mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, ho trattato anche l’argomento delle chimere, che gli scienziati studiano da decenni (i primi topi chimera sono stati creati nel 1960), anche se i giornali ne parlano solo quando c’è uno scoop.

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Cerchiamo di capire cos’è un ibrido. L’ibrido più famoso è il mulo, animale che nasce dall’incrocio di un asino con una cavalla. Il mulo, in quanto ibrido, non è né un cavallo, né un asino. Tutte le cellule che compongono il suo corpo contengono lo stesso DNA, che è intermedio rispetto a quello delle specie genitrici.

Nel 1984 è stata creata una chimera capra pecora che riuscì a guadagnarsi la copertina del numero di Nature del 16 febbraio. La chimera, a differenza dell’ibrido, è composta da cellule che hanno due DNA diversi. Nel caso della chimera capra pecora, il rapporto era di 1 a 1, quindi il 50% delle cellule conteneva DNA di capra e l’altro 50% conteneva DNA di pecora.

Quindi l’embrione uomo pecora, che tutti i giornali hanno chiamato ibrido, non è un ibrido ma una chimera, in quanto è composto da cellule che contengono DNA di pecora e cellule che contengono DNA umano. Se fosse stato un ibrido, forse, sarebbe stato più eticamente accettabile in quanto un individuo con un DNA intermedio tra uomo e pecora potrebbe non essere considerato un uomo, esattamente come il mulo non è né un cavallo né un asino.

Invece quell’embrione chimera conteneva cellule 100% umane, con DNA 100% umano. Il Corriere scrive:

Le cellule umane sono colorate in rosso in modo da poterle seguire, sia per individuare la parte totalmente umana sia per visualizzare quelle sparse nell’embrione.

Il rapporto era di 1 a 10mila, certo, ma è ovvio che nei prossimi esperimenti tenteranno di aumentare la percentuale di cellule umane. E se le cellule umane diventassero cellule del cervello?

Il peccato di Cam contro Noè che è troppo scandaloso per essere spiegato

In Genesi 9 viene narrata una storia molto strana. Ancora più strano è che il vero significato della vicenda non venga spiegato mai, forse per non scandalizzare il lettore sprovveduto. Con questo articolo proverò a rompere il tabù.

È appena finito il diluvio e gli unici superstiti sono otto persone: Noè, sua moglie, i suoi tre figli (Sem, Cam e Iafet) e le rispettive mogli.

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Prima di analizzare ciò che accade e capire quello che potrebbe essere il reale significato del racconto, leggiamo gli otto versetti:

I figli di Noè che uscirono dall’arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.
Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e si denudò all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del loro padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro, non videro la nudità del loro padre.
Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse:
«Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!». [Genesi 9,18-25]

Il primo particolare che dovrebbe saltare all’occhio è il fatto che venga specificato che «Cam è il padre di Canaan».

Ognuno dei tre figli di Noè (Sem, Cam e Iafet), avrà, a sua volta, numerosi figli che verranno elencati nel capitolo successivo.

Perché in questo brano viene nominato Canaan, solo uno dei figli di Cam, che apparentemente non c’entra nulla?

Che la menzione non sia casuale, è confermato dal fatto che gli autori lo nominino una seconda volta, al momento del peccato di Cam: «Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre».

Presto vedremo che è proprio la natura del peccato di Cam che giustifica la menzione di suo figlio Canaan. Infatti questa storiella, che potrebbe essere scambiata per un resoconto storico dai lettori odierni, per gli autori e i lettori israeliti del tempo aveva un significato eziologico molto preciso. Significato che è possibile decifrare grazie al capitolo 18 del Levitico che elenca le prescrizioni sulle relazioni sessuali.

Nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per scoprire la sua nudità. Io sono il Signore.
Non scoprirai la nudità di tuo padre né la nudità di tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità. Non scoprirai la nudità di una moglie di tuo padre; è la nudità di tuo padre. [Levitico 18,6-8]

Scoprire la nudità del padre, per gli israeliti, significava accostarsi alla madre.

Il vero peccato di Cam è aver commesso un incesto con sua madre, la moglie di Noè. Ecco perché viene nominato per ben due volte Canaan. Canaan è il figlio di questo peccato, è il figlio di Cam e della moglie di Noè.

Quest’interpretazione non è solo coerente con il passo del Levitico ma è l’unica che spiega il motivo per il quale Noè se la prenda con l’innocente Canaan nonostante il peccato venga commesso da Cam. Rileggiamo:

Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore [Cam]; allora disse: «Sia maledetto Canaan!»

Noè maledice Canaan perché quel bambino è il frutto del peccato e, come si credeva all’epoca, i peccati dei genitori ricadevano sui figli.

Da Canaan discenderanno i popoli cananei, i peggiori nemici d’Israele. L’origine peccaminosa dell’antenato serve da una parte per aumentare il contrasto tra un popolo nato dalla trasgressione e il popolo eletto e dall’altra per spiegare i costumi che i cananei continuavano a utilizzare anche ai tempi degli autori.

Infatti il capitolo 18 del Levitico sulle prescrizioni sessuali che ho citato, inizia proprio così:

Non farete come si fa nella terra d’Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nella terra di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi. [Levitico 18,3]

I cananei, evidentemente, praticavano l’incesto e gli autori sacri hanno ben pensato di proiettare la stessa trasgressione all’origine del capostipite.

Nel prossimo articolo vedremo come lo scandalo avvenuto all’interno della famiglia di Noè sia identico a quello, raccontato molto più esplicitamente, avvenuto nella famiglia di Lot. E riguardo al racconto di Sodoma e Gomorra scopriremo un significato che non tutti conoscono. Se non avete voglia di aspettare, potete leggere tutto sul mio libro: L’origine dell’uomo ibrido.

Cabala: Adamo mescolò il suo seme in un “luogo inappropriato”

Ho già parlato dello Zohar in questo articolo, quando si allude a un Caino ibrido generato da una qof, una scimmia. Ho trovato un altro passo interessante che confermerebbe che il peccato di Adamo, almeno per gli ebrei cabalisti, fosse riconducibile a un atto di ibridazione.

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Lo Zohar, il libro dello Splendore, è il testo più importante della tradizione cabalistica. Si tratta di un’opera abbastanza esoterica, di non facile interpretazione. Io mi baso sull’edizione a cura di Giulio Busi (Giulio Einaudi Editore, 2008).

A pagina 340-342 si parla dei discendenti di Canaan, che dagli israeliti erano considerati schiavi. Ma chi era Canaan? In Genesi è scritto che Noè ebbe tre figli: Sem, Cam e Iafet. Canaan era uno dei figli di Cam quindi era un nipote di Noè. Gli israeliti, invece, discendono dalla stirpe di Sem. Allora lo Zohar si chiede come mai ci sia questa differenza tra Cam e gli altri due fratelli:

Potresti obiettare che [Cam] era fratello di Sem e di Iafet: perché dunque non era come loro?

In pratica gli autori si chiedono come sia possibile che da un padre buono (Noè, in questo caso) nasca un figlio cattivo (Cam). Prima di rispondere analizzano la situazione opposta, quella in cui si verifica che da un antenato cattivo (Cam) nasca un discendente buono (Eliezer).

Allo stesso modo, alla stirpe di Cam apparteneva anche Eliezer, il sevo di Abramo. Perché non fu [un malvagio] come [Cam], ma un giusto […]?

[Devi sapere che] tutto ciò dipende dal segreto dello svolgersi della luce dall’oscurità: in quanto discendente di Cam, il servo di Abramo proveniva dall’oscurità […].

Quindi dall’oscurità, da una stirpe malvagia (Cam), può capitare che nasca la luce, un uomo giusto (Eliezer).

Ma può capitare anche il contrario, come abbiamo visto con Cam (malvagio) figlio di Noè (giusto). E lo Zohar propone altri due esempi: quello di Ismale (malvagio) figlio di Abramo (giusto) e quello di Esaù (malvagio) figlio di Isacco (giusto).

Ma [vi è anche uno svolgersi] dell’oscurità dalla luce, come nel caso di Ismaele che uscì da Abramo, e di Esaù, [che uscì] da Isacco.

Fin qui il ragionamento non contiene nulla di eclatante. Ma adesso arriva il bello. Infatti gli autori spiegheranno qual è il segreto che causa la nascita di figli malvagi da genitori giusti. Il lettore deve sapere che Ismaele ed Esaù erano stati generati da Abramo e da Isacco con due donne cananee.

Il segreto è che la causa di questo è la mescolanza delle gocce [del seme] in un luogo inappropriato. [Se ne rende colpevole] chi mescola la propria goccia [di seme] con una serva […]: costoro sono male e oscurità, mentre la sua goccia è bene e luce […].

Ho già parlato dei matrimoni misti che erano assolutamente vietati nel Vecchio Testamento qui, mentre di qua ho parlato dei figli bastardi che nascevano dagli incroci. Chi segue questo blog, dunque, non si stupirà dalle affermazioni dello Zohar.

Però non è finita qui, perché il libro dello Splendore si spinge oltre, fino a collegare la mescolanza del seme buono in un luogo inappropriato al peccato di Adamo. Infatti il brano continua:

Chi mischia il bene con il male, trasgredisce la parola del suo Signore, che disse: Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai.

Il rimando è proprio a Genesi 2,17, all’unico divieto che Dio impose ad Adamo. Quindi il significato è inequivocabile: Adamo, che violerà quel divieto, andrà a mescolare il suo seme buono in un luogo inappropriato, esattamente come faranno Abramo e Isacco tempo dopo.

Se vi state chiedendo quale luogo inappropriato potesse esistere ai tempi di Adamo, significa che non avete letto né il mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, né questo articolo.

Nato in un laboratorio della Florida un ibrido uomo-scimpanzé: il racconto del professor Gallup

A dare la notizia, il 29 gennaio 2018, è stato The Sun, con un articolo intitolato:

Un famoso scienziato sostiene che un ibrido uomo-scimpanzé sia nato in un laboratorio della Florida prima di essere ucciso dai medici in preda al panico.

Lo scienziato è Gordon G. Gallup Jr., psicologo evoluzionista, divenuto famoso negli anni ’70 grazie ai suoi pionieristici esperimenti di auto-riconoscimento allo specchio con degli animali, oggi ricercatore all’Università di Albany, New York, dove insegna psicobiologia.

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Gallup ha riferito a The Sun che il suo ex professore universitario gli disse che un bambino humanzee era nato in una struttura di ricerca dove lavorava.

Uno dei casi più interessanti riguarda un tentativo che è stato fatto nel 1920 in quello che fu il primo centro di ricerca sui primati stabilito negli Stati Uniti ad Orange Park, in Florida.

Hanno inseminato uno scimpanzé femminile con lo sperma umano di un donatore non dichiarato e hanno affermato non solo che la gravidanza è avvenuta, ma che è giunta a termine e ha dato origine a un parto vivo.

Ma nel giro di pochi giorni o poche settimane, hanno iniziato a valutare le considerazioni morali ed etiche e il bambino è stato sottoposto a eutanasia.

Il ricercatore statunitense non ha dubbi che questa storia sia vera perché riferisce che la sua fonte «era uno scienziato credibile a tutti gli effetti».

Ma oltre a questa storia, Gallup ha rilasciato altre importantissime dichiarazioni. Il professore di psicobiologia è convinto che gli umani sono in grado di riprodursi anche con gorilla e oranghi e non solo con scimpanzé:

Tutte le prove disponibili, fossili, paleontologiche e biochimiche, incluso il DNA stesso, suggeriscono che gli esseri umani possono anche riprodursi con gorilla e oranghi.

Gli esseri umani e tutte e tre le specie di grandi scimmie discendono da un’unica discendenza simile a scimmie.

Esattamente ciò che sostengo nel mio libro L’origine dell’uomo ibrido. Con la differenza che nel libro elenco tutti gli scienziati che hanno sostenuto che, in base ai dati di cui disponiamo, quell’unica specie da cui discendiamo era molto più simile all’uomo moderno che alle scimmie antropomorfe. Ma poi sono avvenute le famose ibridazioni, di cui ormai si parla sempre più spesso, che hanno “bestializzato” la specie originaria.

Interessante è la risposta di Gallup alla domanda se sia favorevole alla creazione di un ibrido uomo-scimpanzé:

Penso che sia una domanda affascinante e penso che avrebbe profonde implicazioni psicologiche e biologiche.

Ma se il costo possa giustificare il beneficio è l’altra domanda in questa equazione.

In un modo molto simile si era espresso un altro grande scienziato, Stephen Jay Gould, e i lettori del mio libro sapranno già a cosa mi riferisco. Riporto anche qui la citazione:

Il fatto che la distanza genetica tra gli uomini e gli scimpanzé sia molto piccola potrebbe farci venire la tentazione di provare l’esperimento scientifico potenzialmente più interessante ed eticamente inaccettabile che mi riesca di immaginare: incrociare individui delle due specie, e quindi chiedere semplicemente ai risultati di questo incrocio che cosa voglia dire essere, almeno in parte, uno scimpanzé. Le differenze genetiche che ci separano sono così piccole che l’incrocio non sarebbe affatto impossibile. [Questa idea della vita, Codice Edizioni, Le Scienze, 2015, pagina 49]

Poi potrei riportare pure la citazione riguardo la storia di Teresa X (Vichy, Francia) raccontata da Robert Charroux. Ma non vorrei svelare troppo ai lettori che ancora non arrivano all’ultimo capitolo.

Ecco perché questa mascella riscrive la storia dell’umanità (e mette in crisi il darwinismo)

L’articolo scientifico è stato pubblicato il 26 gennaio 2018 su Science, da un gruppo interazionale di ricercatori diretti da Israel Hershkovitz dell’Università di Tel Aviv e Mina Weinstein-Evron dell’Università di Haifa.

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La scoperta di una mascella di Homo sapiens in Israele, vecchia di 185 mila anni, ha fatto scalpore in tutto il mondo. Ma forse non abbastanza.

Fino all’anno scorso si pensava che l’uomo moderno fosse comparso in Africa 200 mila anni fa e che poi fosse uscito dal continente circa 100 mila anni dopo. Adesso cambia tutto: se Homo sapiens si trovava fuori dall’Africa 85 mila anni prima, le possibilità sono tre:

  1. l’uomo moderno non è nato in Africa;
  2. l’uomo moderno è molto più antico di ciò che si credeva;
  3. l’uomo moderno non è nato in Africa ed è molto più antico di ciò che si credeva.

Gli scienziati non vogliono assolutamente abbandonare l’idea che l’uomo moderno sia comparso nel continente nero e quindi sono costretti ad affermare con forza il secondo punto: l’uomo moderno è molto più antico di ciò che si credeva.

Ma questa posizione porta a delle conseguenze rivoluzionarie.

Le Scienze ha scritto:

Gli esseri umani moderni si avventurarono fuori dall’Africa molto prima di quanto finora pensato. […] Va retrodatato di almeno 50.000 anni, tra 177.000-194.000 anni fa, il primo esodo di esseri umani moderni al di fuori dall’Africa.

Il National Geographic gli fa eco:

Gli antenati dell’uomo moderno si avventurarono fuori dall’Africa più di 50 mila anni prima di quanto ritenuto finora.

Jean-Jacques Hublin dell’Istituto Max Planck di Antropologia evolutiva di Lipsia, conferma che sta emergendo un modello

secondo il quale la storia della nostra specie è molto più antica di quanto pensassimo.

Il Corriere della Sera riporta le parole di Israel Hershkovitz:

Se la nostra specie era in Medio Oriente 200 mila anni fa vuol dire che non ci siamo evoluti 300 mila anni fa, ma molto prima.

Anche Darren Curnoe, paleontologo dell’Università del Nuovo Galles del Sud, a Sydney, è d’accordo:

le nostre ipotesi sulle origini della nostra specie stanno iniziando a cambiare molto rapidamente, dopo decenni caratterizzati dalla quasi immobilità della ricerca scientifica.

Ciò che gli esperti non sembrano prendere in considerazione, è un dato eclatante: più viene retrodatata l’origine dell’Homo sapiens, meno tempo rimane all’evoluzionismo darwiniano. La teoria dei neodarwinisti, che piccolissime e lentissime mutazioni graduali hanno dato vita all’uomo moderno in un tempo lunghissimo, scricchiola sempre più. Più l’uomo moderno è antico (scusate il gioco di parole), meno tempo rimane al gradualismo filetico per fare il suo mestiere.

Non solo: se i Sapiens sono così tanto antichi, significa che i vari ominidi non erano i nostri progenitori, dai quali ci saremmo evoluti ma i nostri cugini con i quali avremmo convissuto.

Insomma: nel nuovo modello che sta prendendo forma, da una parte viene a mancare il tempo per l’evoluzione, dall’altra vengono a mancare tutte quelle apparenti intergradazioni che si erano trovate tra gli uomini e gli animali antropomorfi.

E non è finita qui, c’è un ultimo aspetto importante da considerare: se Sapiens e altri tipi umani hanno convissuto per centinaia di migliaia di anni, che tipo di rapporti avranno avuto? Non avranno mica…?

Rolf Quam, che ha partecipato allo studio, ha detto:

durante un lungo periodo di tempo gli esseri umani moderni stavano potenzialmente interagendo con altri gruppi umani arcaici, che offrivano l’opportunità di scambi culturali e biologici.

Scambi biologici, esatto! L’uomo è molto più antico di quanto pensavano e ha passato centinaia di migliaia di anni a ibridarsi con altri tipi umani, proprio ciò che avevo ipotizzato molto prima della pubblicazione di questo nuovissimo studio, esattamente ad agosto 2017, quando è uscito il mio libro L’origine dell’uomo ibrido!

Il Corriere termina l’articolo commentando:

L’impressione è che la storia della nostra specie sia ancora tutta da scrivere.

Da scrivere… o da leggere? 🙂

[Fotografia di Gerhard Weber, Università di Vienna]

Tra il primo e il secondo comandamento c’è una frase censurata da secoli (Esodo 20,5)

Quali sono il primo e il secondo comandamento secondo la tradizione cattolica? Leggiamo su Cathopedia, l’enciclopedia cattolica:

I – Non avrai altro Dio all’infuori di me.
II – Non nominare il nome di Dio invano.

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La tradizione della Chiesa ha sintetizzato nei dieci comandamenti una serie di istruzioni che Mosè ha ricevuto da Dio. Le istruzioni sono elencate in due brani paralleli, nel capitolo 20 del libro dell’Esodo e nel capitolo 5 del libro del Deuteronomio. Potete leggerli integralmente sul sito bibbia.net, cliccando qui e qui.

Sul sito del Vaticano c’è la versione online del Catechismo della Chiesa Cattolica con una pagina dedicata a ciascun comandamento.

Nella pagina del primo comandamento (clicca qui) è riportato il brano integrale dell’Esodo da cui il comandamento (Non avrai altro Dio all’infuori di me) è stato tratto:

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.

Si tratta, lo ripetiamo, del capitolo 20 dell’Esodo, versetti dal 2 al 5.

Stesso discorso vale per il secondo comandamento (clicca qui). In questo caso (Non nominare il nome di Dio invano) è praticamente identico al brano corrispondente dell’Esodo:

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio.

È il versetto 7 del capitolo 20 dell’Esodo.

Il lettore attento avrà notato che il versetto 6 dell’Esodo non viene fatto rientrare né nel primo comandamento, che termina al versetto 5, né nel secondo comandamento, che inizia con il versetto 7. Per la precisione il brano del primo comandamento, come vedremo, viene tagliato a metà del versetto 5. Quindi il Catechismo e la tradizione della Chiesa, per qualche motivo, hanno deciso di saltare un versetto e mezzo (la seconda parte di Esodo 20,5 e tutto Esodo 20,6).

Perché? Forse si tratta di passi irrilevanti? O forse sono frasi poco convenienti? Il brano censurato, è questo:

Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Più che irrilevanti, sembrano concetti sconvenienti. Già sant’Agostino si era scervellato parecchio su cosa potesse significare che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Anche teologi contemporanei come André-Marie Dubarle hanno riflettuto molto su questa frase.

È difficile razionalizzare l’idea che un Dio geloso possa punire i figli e i nipoti innocenti di un peccatore. Dato che pure i teologi faticano a spiegarselo, meglio che i fedeli sprovveduti non la leggano proprio, così hanno un pensiero in meno. La sfortuna, però, ha voluto che questa frase sconveniente capitasse proprio lì, in uno dei testi più famosi di tutta la Bibbia: all’interno dei 10 comandamenti e, come se non bastasse, tra il primo e il secondo!

E se invece si trovasse in un testo fondamentale proprio perché è una frase fondamentale? Chi ha già letto il mio libro, saprà che, per me, quel concetto sconveniente è una delle chiavi più importanti per comprendere il significato più profondo di tutto l’Antico Testamento.

Se non avete letto il libro, dovete almeno leggere i due articoli che precedono questo che state leggendo: il primo, sui matrimoni misti proibiti e il secondo, sui figli bastardi che venivano generati quando si violava il divieto dei matrimoni misti.

Se non avete letto il libro e neanche gli articoli propedeutici, non ve la prendete se non capirete il prosieguo del discorso.

La gelosia, che gli autori sacri attribuiscono a Dio in diversi libri, è spesso connessa al divieto dei matrimoni misti e alla raccomandazione di non seguire i culti pagani dei popoli cananei:

Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di quella terra, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu allora mangeresti del loro sacrificio. Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie. (Esodo 34,14-16)

Che la frase censurata sul Dio geloso e sulla punizione che ricade sulle generazioni successive sia connessa con il divieto dei matrimoni misti, trova conferma in un altro brano.

Quando gli israeliti infrangevano la proibizione e si accoppiavano con i cananei, i figli di questi incroci venivano chiamati bastardi e venivano esclusi dalla comunità del signore:

Il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,3)

Qui ci troviamo in una situazione simile a quella del primo comandamento perché il peccato del genitore, colpevole di aver generato un figlio da un matrimonio misto, ricade sul figlio bastardo innocente. E non solo il figlio ma tutta la discendenza di quel figlio dovrà scontare il peccato dell’antenato. È come se la discendenza bastarda contraesse un peccato che si trasmette di generazione in generazione.

Cosa vi ricorda questo concetto? A sant’Agostino non sfuggì l’analogia tra questo peccato ereditario e il peccato originale che, come questo, sarebbe stato commesso da un progenitore e poi si sarebbe trasmesso alla discendenza innocente. Agostino, infatti, che aveva studiato a fondo l’Antico Testamento, denunciava la presenza, in esso, di una pluralità di peccati ereditari. Dubarle, che pure se ne intendeva, dato che ha scritto due libri sul peccato originale, ha dedicato uno studio alla strana teoria del santo d’Ippona: La molteplicità dei peccati ereditari nella tradizione agostiniana.

A differenza del peccato originale, che avrebbe contagiato tutta l’umanità, il peccato in questione contagia solo un ramo dell’umanità, solo la discendenza bastarda. Sempre Agostino sosteneva che questo peccato degli israeliti si sarebbe sommato, negli sfortunati discendenti, a quello di Adamo.

Ma allora perché nella frase che stiamo analizzando Dio punisce la colpa dei padri nei figli solo fino alla terza e alla quarta generazione? La risposta la troviamo in un altro passo che parla di bastardi. Ma bastardi diversi. Mentre gli incroci israeliti x cananei generavano una discendenza irrecuperabile, gli incroci israeliti x edomiti e israeliti x egiziani, erano recuperabili:

Non avrai in abominio l’Edomita, perché è tuo fratello. Non avrai in abominio l’Egiziano, perché sei stato forestiero nella sua terra. I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,8s)

Ecco dunque spiegata la frase censurata dalla tradizione.

Però sorge una domanda: perché Dio avrebbe dovuto punire i figli e i nipoti generati dagli incroci? La risposta potrei averla trovata in una vecchia edizione del 1827 de Il milione di Marco Polo, questa.

Nel secondo volume, a pagina 399, c’è una nota del conte Baldelli Boni. Sta parlando di uno strano gruppo di indigeni di Sumatra (Indonesia), gli Orang-Gugu. Erano una popolazione poco numerosa che «differiva di poco dagli Orang-Utani», erano «coperti di pelo» e si differenziavano dagli Orang-Utani «solo per l’uso della parola».

Fu condotto uno di questi a Labun, ebbe figli da una donna del paese che erano meno pelosi del padre, alla terza generazione divennero come gli altri.

Nel caso di Sumatra descritto dal nostro conte, sarebbe stata la donna di Labun a violare quella che per gli israeliti era la proibizione dei matrimoni misti. La donna, accoppiandosi con un Orang-Gugu avrebbe generato un figlio bastardo, ibrido, che avrebbe ereditato metà del suo DNA dal padre selvaggio. Non solo: la metà del DNA selvaggio del figlio si sarà poi trasmessa alla seconda generazione e così il nipote della donna peccatrice avrebbe avuto ancora un 25% di DNA Gugu. Alla terza generazione sarebbe arrivato un DNA ancora più diluito, il 12,5%, che avrebbe fatto apparire l’individuo in questione come gli altri.

Ci siamo: in un contesto come quello di Sumatra la frase censurata che stiamo analizzando, diventa comprensibilissima: sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione.

La punizione non sarebbe un’azione diretta di Dio ma la semplice conseguenza genetica di un incrocio che avrebbe causato problemi psicofisici ai discendenti.

La mia ipotesi è che alcuni popoli che vivevano nella terra di Canaan erano geneticamente diversi dagli israeliti. Secondo la moderna paleogenetica, proprio in Palestina, si sarebbero verificati i primi incroci tra Sapiens e Neanderthal. I cananei potevano essere una popolazione più neanderthaloide rispetto agli israeliti.

Nel mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, riporto molte prove a sostegno di questa ipotesi. Ne cito solo un paio:

Il gatto Bengala è un ibrido tra il gatto domestico e il gatto leopardo, un gatto selvatico. A causa del carattere nervoso e turbolento, l’Enciclopedia del Gatto[1] c’informa che il Bengala è ritenuto un gatto domestico solo dopo la terza generazione perché prima può continuare ad avere comportamenti tipici della specie selvaggia. Qualcosa di simile accade allo sciacallo ibrido, incrocio tra lo sciacallo e il cane: i tratti selvaggi dello sciacallo perdurano negli ibridi fino alla terza generazione, come documentato da un esperimento condotto in India[2].

[1]Enciclopedia del gatto, tutte le razze riconosciute, storia, curiosità, caratteristiche, De Vecchi, 2010.

[2] Robert A. Sterndale, Natural history of the Mammalia of India and Ceylon, 1884, pp. 238-239.

Ma nella Bibbia ci sono indizi che i cananei fossero geneticamente diversi dagli israeliti? Sì, molti. Ne parlerò in un prossimo articolo. Se invece non volete aspettare, potete leggere il mio libro.

Le “razze” umane esistono, ma sono miliardi

In questo periodo, in Italia, si sta parlando molto di razze umane. C’è chi sostiene che esistano, chi sostiene il contrario, chi che si debba parlare di etnie, come se cambiando il termine si risolvesse la questione.

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Se poniamo per assurdo che le razze esistano, la domanda subito successiva che ci dovremmo porre, sarebbe: quante razze esistono?

Il problema è antico. Già Darwin, nel 1871, notava:

L’uomo è stato studiato più completamente di qualsiasi altro animale e tuttavia vi è la più grande diversità possibile tra studiosi eminenti sull’opinione se egli possa essere classificato come singola specie o razza o come due (Virey) o tre (Jacquinot) o quattro (Kant) o cinque (Blumenbach), sei (Buffon), sette (Hunter), otto (Agassiz), undici (Pickering), quindici (Boris St. Vincent), sedici (Desmoulins), ventidue (Morton), sessanta (Crawford), o sessantatré, secondo Burke. [L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, Newton Compton Editori, 2006, pagina 144]

Il famoso naturalista aveva compreso la difficoltà intrinseca al concetto di razza. La categoria razza dovrebbe servire per classificare gli esseri umani ma se non si riesce a trovare un metodo oggettivo con il quale catalogare gli uomini, l’idea di razza perde di significato. Che ci facciamo con una categoria che di fatto non possiamo utilizzare?

Per sapere quante razze esistono, occorre selezionare dei parametri a monte per impostarle (colore della pelle, forma del cranio, ecc.). Ma quali parametri scegliere tra l’infinità di caratteri che possediamo?

Inoltre la variabilità umana è così ampia che un individuo potrebbe rientrare in una determinata razza se prendessimo in esame il colore della sua pelle ma in una razza diversa se considerassimo la forma del cranio, ecc..

Per risolvere questa difficoltà, si dovrebbero prendere in considerazione tutti i caratteri degli esseri umani. E oggi lo possiamo fare, dato che sono tutti scritti nel nostro codice genetico.

Noah Rosenberg è un genetista che ha effettuato una ricerca molto interessante. Ha preso il DNA di migliaia di persone provenienti da tutti i continenti, lo ha inserito in un computer e ha chiesto al computer stesso di raggruppare gli individui in base alle somiglianze genetiche. Successivamente altri due scienziati, David Serre (microbiologo) e Svante Paabo (biologo), hanno ripetuto l’analisi.

Facciamoci raccontare il risultato da Guido Barbujani, genetista italiano.

Bisogna decidere in anticipo quanti gruppi (quante razze) ci siano. Poi il computer forma quel numero di gruppi, mettendo insieme gli individui geneticamente più simili, e alla fine si controlla se i risultati vengono meglio con due, tre, quattro gruppi, eccetera. A dirla così sembra facile ma ognuna di queste analisi richiede un sacco di lavoro. Noah Rosenberg si è fermato a sei gruppi. David Serre e Svante Paabo, che lavorano a Lipsia, rifanno l’analisi e trovano che in realtà i risultati sono un po’ più precisi se si cerca di suddividere l’umanità in sette gruppi, e ancora un po’ più precisi se i gruppi diventano otto, nove e così via. A un certo punto anche Serre e Paabo devono fermarsi, ma visto che ogni volta che si aggiunge un gruppo le cose funzionano meglio concludono che probabilmente la suddivisione migliore è quella in cui ogni individuo forma un gruppo per conto suo, cioè ogni individuo è una razza distinta. [L’invenzione delle razze, Bompiani, 2006, pagine 86-87]

Quindi le razze esisterebbero, sì, ma ne esisterebbero circa 7 miliardi…

Chi dice che ne esistono, ad esempio, quattro, sta considerando solo alcuni parametri per impostare le sue razze ma ne sta tralasciando degli altri quindi la sua affermazione può avere solo un valore soggettivo.

In fondo è logico che oggi le razze siano così sfumate da essere incatalogabili. I tipi umani (Sapiens, Neanderthal, Denisova, ecc.) si incrociano da centinaia di migliaia di anni (e a scoprirlo è stato proprio Svante Paabo) o forse da milioni di anni (come sostiene David Reich, altro genetista; qui un articolo in italiano).

Dobbiamo sempre tenere presente che la specie umana è una specie ibrida. Come non possiamo suddividere in razze i cani bastardi, così non possiamo suddividere in razze gli uomini moderni. Dell’ibridazione umana ne parlo abbondantemente nel libro: L’origine dell’uomo ibrido.

Mamzer, i “bastardi” del Vecchio Testamento

Nell’articolo precedente ho parlato dei matrimoni misti proibiti nel Vecchio Testamento. Il divieto riguardava le unioni tra gli israeliti e i cananei. Gli israeliti erano (alcuni) discendenti di Abramo, il primo patriarca, immigrato nella terra di Canaan (l’attuale Palestina) da Ur dei Caldei (l’attuale Iraq). Quindi gli israeliti non erano originari di Canaan mentre i cananei erano appunto le popolazioni autoctone.

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Tutti i libri del Primo Testamento, come abbiamo visto, ripetono insistentemente che Israele doveva astenersi dal contrarre matrimoni con le popolazioni indigene. Nonostante il divieto sia uno dei più importanti di tutta la Bibbia, l’argomento non è molto conosciuto dai lettori occasionali del testo sacro. La verità è che se ne parla poco, forse perché riguarda un tema che oggi è considerato politicamente scorretto. Quando se ne parla, si tende a minimizzarlo e a giustificare sbrigativamente la proibizione con la motivazione meno scandalosa: i cananei erano pagani, adoravano divinità diverse da Yahweh e quindi i matrimoni misti potevano indurre le famiglie ad abbandonare il culto del vero Dio.

Questo aspetto è sicuramente una delle cause del divieto ma, come vedremo, non è l’unica. Chi dice il contrario non ha mai riflettuto come si deve su diversi passi che adesso analizzeremo.

Abramo è stato il primo patriarca, il primo uomo convertito al culto di Yahweh. Prima di convertirsi era un pagano, come erano pagani tutti i suoi contemporanei, compresi i suoi parenti. Eppure Abramo (leggi l’articolo precedente) non vuole che suo figlio Isacco sposi una cananea. Se il motivo fosse stato solo di ordine religioso, qualsiasi donna non sarebbe andata bene per Isacco dato che nessuna, all’epoca, adorava Yahweh.

Il testo è chiaro. Abramo chiede al suo servo:

non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco. (Genesi 24,3s)

I suoi parenti erano pagani tanto quanto i cananei ma è evidente che Abramo non si preoccupa del credo della futura nuora, si preoccupa di altro…

Lo stesso discorso vale per i figli di Isacco: Giacobbe ed Esaù. I due fratelli erano la seconda generazione di adoratori di Yahweh. Se avessero dovuto sposare una donna non pagana, avrebbero dovuto commettere un incesto perché all’epoca le uniche due donne adoratrici di Yahweh erano Sara (moglie di Abramo e nonna dei fratelli) e Rebecca (moglie di Isacco e madre dei fratelli).

Le coetanee di Giacobbe ed Esaù, in tutto il mondo, erano pagane e infatti il povero Esaù sposerà due pagane cananee. Che non l’avesse mai fatto. La madre reagisce così:

Ho disgusto della mia vita a causa delle donne ittite [ittite significa cananee, n.d.r.] : se Giacobbe prende moglie tra le Ittite come queste, tra le ragazze della regione, a che mi giova la vita? (Genesi 27,46)

E il padre corre subito da Giacobbe, l’altro figlio:

Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su, va’ nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi là una moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre. (Genesi 28,1s)

Basterebbero questi brevi brani per smentire chi vuole ridurre la proibizione dei matrimoni misti a una causa puramente cultuale. Ma se gli aspetti religiosi non sono il motivo primo del divieto, cosa poteva generare una tale repulsione verso i cananei?

Nel libro di Esdra ci sono indizi importanti. La vicenda si svolge dopo l’esilio di Babilonia. Breve riassunto: intorno al 600 a.C. arrivano i babilonesi, invadono Israele, distruggono il tempio e deportano un numero imprecisato di israeliti a Babilonia. Un altro numero imprecisato di israeliti riesce a evitare l’esilio e a rimanere in patria. Dopo qualche decennio gli esiliati vengono liberati e tornano in Israele. Qui scoprono che i non esiliati, nel frattempo, si erano mescolati con i cananei.

Il sacerdote Esdra, com’era prevedibile, si arrabbia tantissimo:

stracciai il mio vestito e il mio mantello, mi strappai i capelli del capo e la barba e mi sedetti costernato. (Esdra 9,3)

E neanche il resto del popolo la prende bene:

si riunì intorno a lui un’assemblea molto numerosa d’Israeliti: uomini, donne e fanciulli; e il popolo piangeva a dirotto. (Esdra 10,1)

Dopo un attimo di sconforto, trovano la soluzione:

Abbiamo prevaricato contro il nostro Dio, sposando donne straniere, prese dalle popolazioni del luogo. Orbene, a questo riguardo c’è ancora una speranza per Israele. Facciamo dunque un patto con il nostro Dio, impegnandoci a rimandare tutte le donne e i figli nati da loro. (Esdra 10,2s)

Il libro si conclude con un lieto fine: la lunga lista di tutti gli israeliti che rimediano al peccato.

Tutti questi avevano sposato donne straniere e rimandarono le donne insieme con i figli. (Esdra 10,44)

Sono necessarie due osservazioni:

  1. questi uomini, per la fedeltà a Yahweh, abbandonano le mogli e i figli. Non sembra che i matrimoni misti e gli anni di convivenza li abbiano deviati dal culto legittimo;
  2. vengono allontanati anche i figli. Se il divieto era tale perché le donne pagane avrebbero potuto far deviare i mariti dal culto a Yahweh, di certo i figli non avrebbero potuto rappresentare alcun pericolo.

Sempre in Esdra si legge un altro brano che esclude completamente la possibilità che il divieto servisse per salvaguardare l’ortodossia religiosa di Israele. Tra gli esiliati rimpatriati ce ne sono alcuni che

non avevano potuto indicare se il loro casato e la loro discendenza fossero d’Israele. (Esdra 2,59)

E altri:

cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono e furono allora esclusi dal sacerdozio. (Esdra 2,62)

Qui non si tratta di fedeltà al culto. Un uomo poteva pure essere il più devoto d’Israele ma se non poteva dimostrare che i suoi antenati non si erano mai incrociati con altri popoli, veniva escluso. Si capisce che i matrimoni misti non riguardavano solo i diretti interessati ma tutta la discendenza bastarda.

E infatti nella Bibbia si parla proprio di mamzer, parola che è stata tradotta con bastardo.

Il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,3)

Altro che influenza dei culti pagani. Qui è chiaro che il vero prodotto peccaminoso dei matrimoni misti erano i figli bastardi e tutta la loro discendenza. E non tutti i bastardi erano bastardi allo stesso modo. Mentre gli incroci con i cananei erano persi per sempre (neppure alla decima generazione), gli incroci con gli edomiti e gli egiziani erano recuperabili:

I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,9)

Questa discriminazione è assolutamente inspiegabile per chi sostiene che il divieto serviva solo a salvaguardare la purezza del culto.

Altre parole, oltre a mamzer, possono significare bastardo. La Bibbia di Gerusalemme traduce la parola sheqer con bastardo, almeno in questo passo del profeta Isaia:

Ora, venite qui, voi, figli della maliarda, progenie di un adultero e di una prostituta. Di chi vi prendete gioco? Contro chi allargate la bocca e tirate fuori la lingua? Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda? (Isaia 57,3s)

Come avevo già scritto in un altro articolo, le sacerdotesse cananee adoravano le divinità della fertilità e si prostituivano all’interno dei templi. In questo brano di Isaia il rimando è chiaro: la maliarda, la maga, è la sacerdotessa, la prostituta sacra, la donna cananea. L’adultero è l’israelita che ha tradito la donna del suo popolo e ha trasgredito il divieto di Dio sui matrimoni misti. I figli di questo incrocio sono figli del peccato, prole bastarda.

Pure il termine nokri può significare bastardo e infatti viene tradotto così in questa metafora del profeta Geremia che non ha bisogno di spiegazioni:

Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda? (Geremia 2,21)

Stesso discorso vale per il termine zuwr, usato dal profeta Osea in un brano più che esplicito:

Sono stati infedeli verso il Signore, generando figli bastardi: la nuova luna li divorerà insieme con i loro campi. (Osea 5,7)

Quanti lettori occasionali della Bibbia sono a conoscenza del fatto che l’infedeltà verso il Signore generava figli bastardi? Spero si sia capito che non sto trattando un argomento secondario, anzi.

Tutto il Primo Testamento ripete fino allo sfinimento lo stesso concetto: gli israeliti dovevano evitare di generare figli ibridi con i cananei. Qualcuno potrebbe pensare, a questo punto, che gli israeliti fossero un po’ razzisti. O addirittura che fosse razzista Dio stesso. Invece la motivazione, secondo me, è diversa ed è molto più profonda. E ne parlerò nel prossimo articolo. Se invece non avete voglia di aspettare, potete leggere subito il mio libro, L’origine dell’uomo ibrido.