Ibridi cinesi Erectus/Sapiens di 900 mila anni: il Corriere riscrive la storia?

Erectus/Sapiens

Ibridi Erectus/Sapiens? Finalmente ne parla uno scienziato sul Corriere della Sera

Su la Lettura del Corriere della Sera del 29 luglio 2018 è apparso un articolo rivoluzionario firmato dallo scienziato di fama internazionale Claudio Tuniz. Chi ha già letto il mio libro non potrà che meravigliarsi delle conferme che vi troveremo.

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Già il titolo del pezzo è una bomba: L’Homo sapiens arriva dall’Asia?

Il sottotitolo spiega:

La tesi più accreditata identifica nell’Africa la culla della specie umana. Ma scoperte recenti dimostrano che i nostri antenati vivevano nell’attuale Cina ben prima di quanto si pensasse. E i pochi denti rimasti dell’Uomo di Pechino danno nuove indicazioni.

Claudio Tuniz è proprio uno dei 10 autori dell’articolo Morfologia dentale interna dell’Homo erectus di Zhoukoudian. Nuovi dati da una vecchia collezione conservata all’Università di Uppsala, in Svezia, uscito sulla rivista scientifica Journal of Human Evolution.

Nell’articolo del Corriere, Tuniz sintetizza le informazioni che avevamo sugli ominidi fino a poco tempo fa. Scrive che in Europa e in Asia sarebbero vissute diverse specie umane (Erectus, Neanderthal, Denisovani e Floresiensis) finché i Sapiens, usciti dall’Africa 60 mila anni fa, le avrebbero soppiantate.

Questa, fino a tempi recenti, era la versione ufficiale alla quale bisognava attenersi. Che significa? Significa che questa versione implica una serie di premesse che non possono essere falsificate. Ad esempio: se la versione ufficiale afferma che i Sapiens sono nati in Africa e sono usciti dal continente nativo 60 mila anni fa, non possono esistere fossili Sapiens più antichi di 60 mila anni in qualsiasi altro continente. Altrimenti la versione ufficiale crolla.

E che problema c’è? – verrebbe da chiedere – se la versione ufficiale è corretta, non si troveranno mai delle prove che possano falsificarla.

Purtroppo la scienza funziona per paradigmi e le cose non sono così semplici come potrebbe pensare un lettore profano. Una volta che s’impone un certo paradigma, quindi una certa versione ufficiale, non basta una prova contraria per far crollare il paradigma.

Frodi archeologiche

Nel mio libro ho dedicato più di un paragrafo alle frodi archeologiche, così chiamate già da Vayson de Pradenne. In pratica, nell’attuale paradigma, se un paleoantropologo trovasse resti Sapiens in uno strato di 500 mila anni fa, si auto convincerebbe che si è sbagliato, che nonostante l’apparenza quei fossili non appartenevano a un Sapiens, oppure penserebbe che siano scivolati nello strato sbagliato ma il loro posto originale era un altro.

Tutte le università del pianeta, tutti i libri, tutti gli scienziati sono concordi con la versione ufficiale. Se il nostro paleoantropologo se ne uscisse dicendo: ehi, fermi tutti, ho trovato questo osso in una buca e adesso bisogna riscrivere la storia dell’umanità, nel migliore dei casi verrebbe deriso o ignorato, nel peggiore avrebbe compromesso la sua carriera.

De Pradenne analizza bene questi meccanismi ma spiega anche che non c’è una giustificazione: anche se in buonafede, se il nostro paleoantropologo non dichiarasse ciò che ha realmente scoperto, starebbe commettendo una frode archeologica. Poco importa che magari non ne sia del tutto consapevole.

Alla luce di questo, si può comprendere ciò che scrive Tuniz riguardo alle scoperte scientifiche che contraddicevano il paradigma del Sapiens recente nato in Africa.

Le scoperte che non confermavano questa storia non venivano prese in considerazione.

Wow! Dentro questa breve frase c’è un mondo che crolla, quel mondo che da decenni ci ripete che le cose sono andate in un certo modo perché la scienza ha scoperto che… Invece no, la verità è che ci ripetono che le cose sono andate in quel modo perché non considerano tutte le prove che dimostrano il contrario.

Le ultime scoperte retrodatano l’origine del Sapiens

Ma così funzionano i paradigmi: riescono a resistere per un tempo limitato alle scoperte che li smentiscono, un po’ modellandosi attorno ai nuovi studi, finché le prove contrarie non diventano così numerose e importanti che il paradigma non può che crollare. E più il paradigma è durato, più grosso sarà il botto.

Tuniz elenca le scoperte che negli ultimi tre anni hanno modificato la versione ufficiale:

  1. scoperti denti Sapiens in Cina di oltre 100 mila anni fa;
  2. dimostrato che i Sapiens erano arrivati in Australia 65 mila anni fa;
  3. dimostrato che i Sapiens vivevano in Medio Oriente e in India 180 mila anni fa;
  4. scoperti resti Sapiens in Marocco di oltre 300 mila anni fa.

Quindi le scoperte eretiche accantonate negli anni Ottanta e Novanta, acquistano oggi nuova credibilità. Cito Tuniz:

Fu ad esempio accantonata l’idea che esistessero in Cina forme «di transizione» tra Erectus e Sapiens, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa. Eppure resti di specie umane ibride furono rinvenute negli anni Ottanta e Novanta, a Dali e a Yunxian, nella Cina centrale, e i relativi studi vennero pubblicati. Ora nuove scoperte impongono di riconsiderare l’ipotesi di un incrocio fra Sapiens ed Erectus e le date di arrivo di Sapiens in Asia e Oceania.

Ecco la bomba! Incroci tra Sapiens ed Erectus, esattamente come ho ipotizzato nel libro L’origine dell’uomo ibrido.

Ma non è finita qui. L’articolo è corredato da una mappa in cui sono segnati i reperti fossili ritrovati in Cina. Le forme transizionali di Dali e Yunxian risalgono, rispettivamente, a 250 mila e 900 mila anni fa!

Ibridi Erectus/Sapiens: com’è possibile?

E giustamente Tuniz si chiede:

come spiegare gli ibridi Erectus/Sapiens cinesi più antichi?

E risponde così:

Diventa sempre più credibile l’ipotesi che diversi gruppi e specie umane convivessero, sia in Africa che in Asia, durante i cambi climatici del Pleistocene, dedicandosi a sporadici incroci genetici. I fossili «di transizione» in Cina potrebbero quindi essere spiegati con l’elevata biodiversità umana che caratterizzava l’Asia del Pleistocene.

Potrebbero essere spiegati così? Non lo so, non sono uno scienziato come Tuniz. E siccome non sono uno scienziato, e non devo pubblicare su riviste scientifiche, e non ho una carriera davanti, mi posso permettere di ipotizzare semplici risposte che al momento vengono ignorate o derise dagli esperti.

Se io trovassi i resti di un mulo di 50 milioni di anni, cosa penserei? Penserei che asini e cavalli si incrociano da almeno 50 milioni di anni e quindi asini e cavalli devono essere ancora più antichi del mulo che ho trovato. Ci sarebbe qualcosa di assurdo in questo ragionamento? Credo di no.

Analogamente: sono stati trovati ibridi Erectus/Sapiens vecchi di 900 mila anni. Seguendo lo stesso ragionamento si arriva a ipotizzare che Sapiens ed Erectus devono essere più antichi di quegli ibridi che sono stati trovati. Ci sarebbe qualcosa di assurdo in questo ragionamento? Sì: contraddice il paradigma che vuole i Sapiens una specie recente.

Ma siccome io non sono uno scienziato, me ne frego dei paradigmi e questa è esattamente l’ipotesi che sostengo nel mio libro, uscito giusto un anno fa, il 15 agosto 2017. E dopo un anno, a differenza dei libri di alcuni esperti che vengono smentiti dopo ogni nuova scoperta, L’origine dell’uomo ibrido sembra trovare sempre più piccole e grandi conferme.

Altre conferme?

Chi ha letto il libro, forse ricorderà che parlo in diversi capitoli delle conseguenze delle ibridazioni, tra le quali nanismo, gigantismo e malattie varie. Ecco cosa scrive Tuniz:

Perfino il minuscolo Homo floresiensis potrebbe essere il risultato di un incrocio fra Sapiens ed Erectus, dato che si è recentemente scoperto, studiando gli incroci fra diverse specie di babbuini, che i loro discendenti, lungi dall’assumere i caratteri degli antenati, possono variare le loro dimensioni anatomiche (per esempio rimpicciolendosi) e assumere caratteristiche del tutto nuove, anche patologiche.

Genetista di fama internazionale: «Gli scimmioni derivano dall’uomo, non il contrario»

Giuseppe Sermonti è stato docente universitario di Genetica dal 1964, dapprima a Camerino, poi a Palermo e infine a Perugia, dove, dal 1974 al 1986, ha diretto l’Istituto di Genetica. È stato per tre anni presidente dell’Associazione Genetica Italiana e vicepresidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica tenutosi a Mosca nel 1978. In questo periodo fu nominato direttore dell’International School for General Genetics del Centro Ettore Majorana e successivamente direttore responsabile dei corsi quadriennali di Microbial Breeding, presso l’International School for General Genetics.

Il professor Sermonti è uno degli scienziati che ho citato nell’ultima presentazione del libro Lorigine dell’uomo ibrido ad Andria, di cui vi propongo un estratto che in rete sta accendendo un po’ di discussioni… Subito dopo troverete l’articolo di Sermonti, Dopo l’uomo la scimmia, pubblicato sul sito Airesis, sito che purtroppo non viene più aggiornato dal 2007 ma che possedeva un comitato scientifico come questo.

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Dopo l’uomo la scimmia

Evoluzionismo ed antievoluzionismo: il Peter Pan dei primati

Giuseppe Sermonti – scrittore, saggista, già docente di genetica all’Università di Perugia.

Il cervello ha un grande volume nel feto, e si riduce, in rapporto al corpo, con la crescita. Un grande cervello è un carattere infantile. Nella foto, un feto umano di sette settimane.

La teoria evoluzionista, che fa discendere l’uomo dalla scimmia, ha confinato nel regno delle favole l’antropologia biblica, che vuole l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Eppure i dati delle più recenti ricerche della paleontologia e della biologia molecolare sembrano indicare la grande antichità dell’uomo e il carattere secondario e derivato degli scimmioni africani. Riacquistano così significato le antiche mitologie, nelle quali l’animalesco trae le sue origini dall’umano.

La cultura occidentale si trova da oltre un secolo, di fronte ad una doppia antropogonia. Nella tradizione biblica l’uomo è creato direttamente dal Signore, a sua immagine e somiglianza. A questa antropogonia se ne sovrappone un’altra, di origine scientifica, secondo la quale l’uomo emerge dalla bestialità scimmiesca, per il gioco delle leggi di natura, senza bisogno del Signore. Si tratta di un’interpretazione di tipo gnostico che vede la creazione iniziale come l’atto malvagio di un demiurgo, e l’emergenza dell’uomo come un processo di liberazione dal male attraverso la conoscenza. [E. Samek Ludovici, La gnosi e la genesi delle forme, rivista di biologia 74 (1-2) pp. 55-86, Perugia 1981]

L’interpretazione biologica ha guadagnato sempre più credito e l’uomo moderno è invitato a considerare l’antropogonia biblica come una favola, o come una metafora o come un raccontino per l’ingenuità dei primitivi.

Nello stesso momento, poiché l’uomo ha bisogno di confortare con significati e valori la propria origine, si è attuata una mitizzazione dell’origine bestiale dell’uomo, con la conseguente riformulazione di tutte le nostre giustificazioni e speranze. [J. R. Durant, Il mito dell’evoluzione umana, Rivista di Biologia, 74 (1-2-) pp. 125-151, Perugia 1981]

A questo punto si deve dire che l’antropogonia biologica, lungi dall’essere una realtà scientificamente comprovata, è uno dei capitoli più oscuri ed equivoci della nostra scienza moderna, e che l’origine scimmiesca degli uomini è stata sostenuta contro ogni prova neontologica e paleontologica. I risultati più recenti concordano nell’escludere una derivazione dell’uomo dalle scimmie ominidi attuali (scimpanzé, gorilla, orango) o passate, e presentano piuttosto gli scimmioni come specie derivate, recenti e senza futuro biologico. [G. Sermonti La luna nel bosco: saggio sull’origine della scimmia, Rusconi, Milano 1985]

Primitività dell’uomo.

Contrariamente a quanto Darwin affermava e a quanto comunemente si crede, l’uomo non si distingue dalle altre specie di primati per essere particolarmente evoluto e specializzato. All’opposto, così come i primati rappresentano un gruppo primitivo tra i Mammiferi, l’uomo rappresenta una specie primitiva all’interno dei Primati.

Confronto tra i crani fetali e adulti di scimpanzé e di uomo.
Il cranio scimmiesco adulto è molto più alterato nelle proporzioni di quello umano.

La grandezza del cervello umano è stata presa a misura della evoluzione della nostra specie. Il valore di questo dato ponderale è molto discutibile. Se fosse il peso assoluto del cervello a segnare l’intelligenza, la balena e l’elefante ci supererebbero di molto. Se, come pare più giusto, si dovesse valutare il peso cerebrale in relazione al peso del corpo, lo scoiattolo saimiri, il tursoide, il topolino e la tupaia avrebbero più intelligenza di noi. Nello scoiattolo saimiri il cervello rappresenta l’8% del corpo, nell’uomo il 2%. Il grosso cervello è carattere di tutti i primati e si trova in particolare in quelli considerati più primitivi (tursiope, tupaia). [R. Holloway, I cervelli degli ominidi fossili in Gli antenati dell’uomo, Le Scienze, quaderno 17 ottobre 1984]

Nel neonato umano il peso relativo del cervello è quasi il 10% del peso corporeo e nel neonato di scimpanzé pressappoco lo stesso. Un valore enorme rispetto al 2% che l’uomo raggiungerà nella maturità.

Il grosso cervello (per quel che conta) è un carattere primitivo e infantile, e non una caratteristica tardiva e adulta.

Quasi tutti gli altri caratteri umani hanno una configurazione primitiva e originaria, sono cioè vicini alle conformazioni tipiche dell’ordine e presenti nei più antichi Primati fossili. Il cranio sferoidale, senza creste o arcate prominenti, è un tratto primitivo, così come i piccoli denti bassi e regolari, senza canini emergenti, che si osservano nel driopiteco (10 milioni di anni fa) e nel ramapiteco (15 milioni di anni fa).

La mano umana ha l’architettura primitiva della mano dei tetrapodi. Le cinque lunghe e dritte dita chiudono una serie magica, 1.2.3.4.5., ovvero, radio+ulna, tre+quattro ossicini del metacarpo, cinque ossa del carpo che si continuano nelle falangi. Il piede presenta la plantigrada tipica dei mammiferi più primitivi, mettendo al suo servizio una perfetta integrità strutturale, con la stessa serie 1.2.3.4.5. della mano. Il parallelismo delle falangi del piede è presente nell’embrione di quasi tutti i primati, mentre il distacco dell’alluce è carattere che interviene solo al termine dello sviluppo embrionale degli scimmioni.

La stazione eretta (cui la paleontologia assegna la venerabile età di 5-6 milioni di anni) è anch’essa un tratto primitivo. Essa comporta una base del cranio arrotondata e aperta in un forame occipitale centrale, articolato su un collo verticale. Questa è la condizione che preserva più integro l’allineamento delle vertebre e la sfericità del cranio, che sono caratteri embrionali. L’appoggio sulle nocche degli scimmioni e la stazione quadrupede comportano la torsione della nuca, l’arretramento del forame occipitale e la costrizione della base cranica. Durante lo sviluppo embrionale dei Primati il forame occipitale, inizialmente centrale, migra posteriormente. [M Westenhöfer, Die Grundlagen meiner Theorie von Eigenweg der Menschen, Carl Winter, Heidelberg 1948]

Tutti i caratteri che abbiamo menzionato collegano l’uomo all’embrione proprio e degli altri Primati, e lo indicano come specie giovanile e primigenia, spostandone la comparsa lontanissimo nel passato, oltre la testimonianza, pur impressionante, dei reperti fossili portati alla luce negli ultimi venti anni. Mentre nel 1960 si attribuiva al genere Homonon più di mezzo milione di anni, nel 1980 le datazioni di fossili del nostro genere hanno raggiunto i quattro milioni di anni.

Non tenterò un esame, neppure sommario, dei fossili degli ominidi africani, se non per ribadire che essi testimoniano la grande antichità della stazione eretta. E’ mia convinzione, come quella di autorevoli paleoantropologi, che essi non siano i nostri ascendenti, ma rami laterali di un cespuglio dalla base del quale è emersa la nostra forma. [E. Genet-Varcin, Problèmes de Philogénie chez les hominidés d’un point de vue morphologique , Ann. Paleont. Vértébrés, 61 (“) pp. 211-233, 1975 e S. J Gould, Questa idea della vita, Editori Riuniti pp. 48-554, Roma 1984]

Fossili di scimmioni del tipo dello scimpanzé, del gorilla e dell’orango, benché a lungo cercati, non sono mai stati trovati. Queste forme sono, per quanto ne sappiamo, molto più recenti della forma umana e attribuire il ruolo di nostri ascendenti ad essi o a forme ad essi simili (come voleva Darwin) è trasformare quello che fu un errore scientifico in un falso scientifico.

Molecole e cromosomi

Lo sviluppo della biologia molecolare a partire dagli anni sessanta ha consentito il confronto biochimico tra le specie viventi.. Attraverso un criterio obiettivo di valutazione è divenuto possibile definire la “vicinanza biochimica” tra le specie. Specie giudicate lontane dai sistematici risultarono biochimicamente lontane, specie vicine risultarono biochimicamente molto simili. Confrontando i dati biochimici con quelli paleontologici fu anche possibile trasformare le distanze molecolari in tempi storici.

La Forma umana è inscrivibile nel cerchio e nel quadrato (Leonardo). Al confronto la povera forma scimmiesca appare sproporzionata e deforme.

Si postulò una costanza del ritmo di mutazione nel tempo, si calcolò (per varie proteine) il tempo medio richiesto per una singola modificazione, e si riuscirono così a calcolare, su base molecolare, i tempi di divergenza, cioè le epoche in cui due specie in esame avevano cominciato a registrare nelle loro molecole modifiche indipendenti, avevano cominciato a differenziarsi biochimicamente. [R. E. Dickerson, Struttura e funzione di un ‘antica proteina, Le Scienze, 47, Luglio 1972]

Una delle più sconcertanti risultanze della comparazione molecolare fu la incredibile vicinanza tra l’uomo e gli scimmioni africani. Tradotta in milioni di anni, secondo i principi del cosiddetto “orologio molecolare”, la divergenza tra uomini e scimpanzé risultò di 1,3 milioni di anni, [M. Goodman, in “Progr. Biophys. Molec. Biol”, 38, pp. 105-164, 1981] una data che fu poi corretta a 4-5 milioni di anni. Si trattava, comunque, d’un epoca inferiore alle più antiche documentazioni fossili relative ai primi ominidi (5-6 milioni di anni) in contraddizione con l’idea che gli ominidi derivassero dagli scimmioni.

Un’analisi più sottile delle modificazioni molecolari successive alla divergenza tra uomini e scimmioni rivelò un’altra situazione inattesa. Le modifiche erano state molto più numerose sulla linea scimmiesca che sulla linea umana. Ciò corrispondeva alla constatazione che l’ascendente comune tra uomo e scimmioni aveva una struttura molecolare molto vicina a quella dell’uomo moderno.

Sia anatomicamente che molecolarmente l’uomo risultava il Peter Pan tra i Primati, cioè la specie che non si trasformava nel tempo, il bambino che non voleva crescere. [A. R. Templeton Phylogenetic inference from restriction endonuclease cleavage site maps… in Evolution 37, pp. 221-244, 1983]

I citologi, cioè gli studiosi dei cromosomi, comparando le mappe cromosomiche di uomo, scimpanzé e gorilla raggiunsero, indipendentemente, la stessa conclusione. L’ascendente comune di uomini e scimmioni aveva cromosomi virtualmente uguali a quelli dell’uomo moderno. Anche i citologi raggiunsero la conclusione che uomini e scimmie erano derivati da un proto-uomo, il che significava, in parole semplici, che la figura umana aveva preceduto quella scimmiesca. [J. J. Junis, O. Prakash, The origin of man: a chromosomal pictorial legacy, Science, 215, pp. 1525-30, 1982]

I dati molecolari e citologici hanno sostanziato dunque quello che i dati anatomici e paleontologici avevano indicato. La grande antichità dell’uomo, il carattere primario della nostra specie rispetto al carattere secondario e derivato degli scimmioni africani.

Pan e Satana

La caduta dell’umano nell’animalesco è un avvenimento di così grande drammaticità che ci dobbiamo attendere di trovarne una traccia nelle categorie del nostro spirito, una menzione nelle nostre mitologie. Un esame della mitologia greca e della storia sacra cristiana ci confronta subito con la narrazione della caduta in varie versioni, di cui mi limiterò a citare le due più importanti, che rappresentano due momenti cruciali nella religione olimpica e nelle religioni monoteistiche derivate dall’ebraismo.

Il cranio di un giovane gorilla tra i crani di quattro adulti. Si noti l’aspetto “umano” del cranio infantile. D questo confronto si sviluppò nelgli anni Venti l’ipotesi che l’uomo fosse una forma giovanile-generalizzata-originaria e gli scimmioni fossero forme senili- sspecializzate- derivate. (Museo di Storia Naturale di Salisburgo)

Un mito narra dell’unione del Dio Hermes, l’angelo dei greci, con una ninfa figlia di Driope. Dall’unione nasce un bambino-animale, un essere mezzo uomo e mezzo capro, che il padre porterà in Olimpo, dove sarà assunto alla divinità col nome di Pan. [K. Kereny, Dei ed Eroi della Grecia, vol.1 pp. 162-164, Garzanti, Milano 1976] Pan è il dio dei boschi e delle balze montane, inseguitore di ninfe, suonatore di flauto, custode del riposo meridiano, generatore della follia, dell’incubo, del panico. Questo dio-satiro assunse un ruolo centrale nell’Olimpo ellenico, e rappresenta il lato oscuro, selvaggio, passionale dell’uomo, una condizione estrema del dionisismo, all’opposto della distaccata purezza di Apollo. Nella storia sacra cristiana incontriamo una figura iconograficamente identica al Pan greco: Satana, il diavolo.

Questo satiro, che nella nostra religione non ha nessuna delle qualità gioiose e divine di Pan, è pura malvagità, è la raffigurazione del male assoluto. Anch’esso ha origine da una figura umana, da un a arcangelo arrogante che è punito da Dio e precipitato nel basso e nell’animalesco con tutta la sua razza. Nei bestiari proto-cristiani l’animalesco non è rappresentato dal capro, ma dalla scimmia, e precisamente dalla scimmia umanoide, priva della coda. Scrive il Physiologus (II-IV sec.) “…la scimmia è un immagine del demonio: essa ha infatti un principio, ma non una fine, cioè una coda, così come il demonio in principio era uno degli arcangeli, ma la sua fine non  si è trovata”. [Il Fisiologo, trad. it, Adelphi, Milano 1975]

I primi bestiari cristiani sono probabilmente di origine africana (egiziana) e si deve pensare che portino testimonianza di una tradizione primordiale, nella quale la scimmia derivata dall’umano appare come un simbolo fondamentale della storia sacra. L’origine dell’uomo dalla scimmia asserita da Darwin, oltre a contraddire una serie di prove naturalistiche, ribalta il fondamento della nostra sacralità, ponendo il male, sotto forma di scimmia, all’origine, e il bene come emancipazione dalla creazione primigenia. L’uomo razionale si salva da un cattivo demiurgo creatore.

Nella nostra tradizione, al contrario, è l’uomo che introduce il male nel creato, e la sua redenzione, ad opera del Dio fatto uomo, rappresenta un ritorno alla purezza originaria.

ALCUNI COMMENTI ALL’ORIGINE DEGLI SCIMMIONI DALL’UOMO

Anche se scimmia e uomo hanno comune radice…questa è però…non la forma scimmiesca ma quella umana. L’espressione volgare, se si devono usare queste formule, dovrebbe suonare così: “la scimmia deriva dall’uomo”…
Max Westenöfer (1926) Heidelberg 1948

Gli ominidi non discendono dalle scimmie antropoidi, piuttosto gli scimmioni possono essere derivati dagli Ominidi…
Bjorn Kurtén, Einaudi 1972

Il venerabile antenato aveva si un cervello piccolo e una faccia grande, ma camminava in posizione eretta e le sue membra avevano le proporzioni a noi note nell’uomo.
André Leroi-Gourhan (1964) Einaudi 1977

Quale fanciullo di primati viventi è più simile, nella forma, agli stadi giovanili dei nostri antenati? La risposta deve essere: la nostra stessa forma infantile
Stephen Jay Gould, Cambridge Mass. 1977

Noi pensiamo che la derivazione degli Ominidi dal ceppo comune a tutti i Primati ha più probabilità di essere vera della filiazione dalla linea scimmiesca.
Pierre-P. Grassé, Adelphi 1979

Che tra i discendenti più elevati e lontani da un presunto modello umano originario possa trovarsi anche una scimmia antropomorfa è idea che non può sorprendere chi come me aderisce alle vedute di un’antropologia tradizionale
Emilio Servadio “Il Tempo” 1983

Sarei fiero di essere un antenato dello scimmione che a differenza di certi esseri umani è nobile e dignitoso.
Alberto Bevilacqua “Il Tempo” 1983

E’ giusto e logico che da un essere perfetto come l’uomo…possa scaturire uno scimpanzé…Non mi disturba affatto essere l’antenato di uno scimpanzé, mi disturberebbe invece esserne un discendente.
Pietro Chiara “Il Tempo ” 1983

Altri specialisti…si son detti: se a detta della paleontologia gli ominidi risalgono a ben cinque milioni di anni, allora per spiegare la nostra stretta parentela con lo scimpanzé o rivediamo la classificazione dei fossili smembrando la famiglia degli Ominidi, o facciamo derivare lo scimpanzé (per il quale mancano fossili) da questa famiglia…Io preferisco la buona biologia che offre poche certezze e tanti dubbi
Pietro Omodeo “L’Espresso” 1983

Potremmo anche formulare la nostra ipotesi dicendo che le scimmie derivano dall’uomo…
J. Gribbin, J. Charfas, Mondadori 1984

L’assenza di fossili di gorilla e scimpanzé conferma la probabilità di una loro derivazione molto recente in seno alla linea Ominide (bipede).
Francesco Fedele, Le Scienze, Quaderni 1984

Le prove cariologiche indicano che tra gli scimmioni africani viventi e gli uomini il miglior modello cromosomico per la condizione protoominide è Homo Sapiens
R. Stanyon, B. Chiarelli, K. Gottlieb, W. H. Patton, 1985

Ecco perché questa mascella riscrive la storia dell’umanità (e mette in crisi il darwinismo)

L’articolo scientifico è stato pubblicato il 26 gennaio 2018 su Science, da un gruppo interazionale di ricercatori diretti da Israel Hershkovitz dell’Università di Tel Aviv e Mina Weinstein-Evron dell’Università di Haifa.

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La scoperta di una mascella di Homo sapiens in Israele, vecchia di 185 mila anni, ha fatto scalpore in tutto il mondo. Ma forse non abbastanza.

Fino all’anno scorso si pensava che l’uomo moderno fosse comparso in Africa 200 mila anni fa e che poi fosse uscito dal continente circa 100 mila anni dopo. Adesso cambia tutto: se Homo sapiens si trovava fuori dall’Africa 85 mila anni prima, le possibilità sono tre:

  1. l’uomo moderno non è nato in Africa;
  2. l’uomo moderno è molto più antico di ciò che si credeva;
  3. l’uomo moderno non è nato in Africa ed è molto più antico di ciò che si credeva.

Gli scienziati non vogliono assolutamente abbandonare l’idea che l’uomo moderno sia comparso nel continente nero e quindi sono costretti ad affermare con forza il secondo punto: l’uomo moderno è molto più antico di ciò che si credeva.

Ma questa posizione porta a delle conseguenze rivoluzionarie.

Le Scienze ha scritto:

Gli esseri umani moderni si avventurarono fuori dall’Africa molto prima di quanto finora pensato. […] Va retrodatato di almeno 50.000 anni, tra 177.000-194.000 anni fa, il primo esodo di esseri umani moderni al di fuori dall’Africa.

Il National Geographic gli fa eco:

Gli antenati dell’uomo moderno si avventurarono fuori dall’Africa più di 50 mila anni prima di quanto ritenuto finora.

Jean-Jacques Hublin dell’Istituto Max Planck di Antropologia evolutiva di Lipsia, conferma che sta emergendo un modello

secondo il quale la storia della nostra specie è molto più antica di quanto pensassimo.

Il Corriere della Sera riporta le parole di Israel Hershkovitz:

Se la nostra specie era in Medio Oriente 200 mila anni fa vuol dire che non ci siamo evoluti 300 mila anni fa, ma molto prima.

Anche Darren Curnoe, paleontologo dell’Università del Nuovo Galles del Sud, a Sydney, è d’accordo:

le nostre ipotesi sulle origini della nostra specie stanno iniziando a cambiare molto rapidamente, dopo decenni caratterizzati dalla quasi immobilità della ricerca scientifica.

Ciò che gli esperti non sembrano prendere in considerazione, è un dato eclatante: più viene retrodatata l’origine dell’Homo sapiens, meno tempo rimane all’evoluzionismo darwiniano. La teoria dei neodarwinisti, che piccolissime e lentissime mutazioni graduali hanno dato vita all’uomo moderno in un tempo lunghissimo, scricchiola sempre più. Più l’uomo moderno è antico (scusate il gioco di parole), meno tempo rimane al gradualismo filetico per fare il suo mestiere.

Non solo: se i Sapiens sono così tanto antichi, significa che i vari ominidi non erano i nostri progenitori, dai quali ci saremmo evoluti ma i nostri cugini con i quali avremmo convissuto.

Insomma: nel nuovo modello che sta prendendo forma, da una parte viene a mancare il tempo per l’evoluzione, dall’altra vengono a mancare tutte quelle apparenti intergradazioni che si erano trovate tra gli uomini e gli animali antropomorfi.

E non è finita qui, c’è un ultimo aspetto importante da considerare: se Sapiens e altri tipi umani hanno convissuto per centinaia di migliaia di anni, che tipo di rapporti avranno avuto? Non avranno mica…?

Rolf Quam, che ha partecipato allo studio, ha detto:

durante un lungo periodo di tempo gli esseri umani moderni stavano potenzialmente interagendo con altri gruppi umani arcaici, che offrivano l’opportunità di scambi culturali e biologici.

Scambi biologici, esatto! L’uomo è molto più antico di quanto pensavano e ha passato centinaia di migliaia di anni a ibridarsi con altri tipi umani, proprio ciò che avevo ipotizzato molto prima della pubblicazione di questo nuovissimo studio, esattamente ad agosto 2017, quando è uscito il mio libro L’origine dell’uomo ibrido!

Il Corriere termina l’articolo commentando:

L’impressione è che la storia della nostra specie sia ancora tutta da scrivere.

Da scrivere… o da leggere? 🙂

[Fotografia di Gerhard Weber, Università di Vienna]