Chi sono i Malakim del Vecchio Testamento? Angeli? Alieni? O altro?

I malakim del Vecchio Testamento sono degli angeli, come vuole una certa tradizione cristiana, oppure sono degli extraterrestri, come ipotizzano diversi autori contemporanei?

Cosa significa l’ebraico malakim?

In un articolo precedente avevo dato la mia interpretazione dello scandaloso peccato di Cam e avevo annunciato che avrei mostrato in seguito il parallelismo tra la trasgressione del figlio di Noè, avvenuta dopo il diluvio, e la trasgressione delle figlie di Lot, avvenuta dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra.

Prima, però, è necessario analizzare una figura misteriosa che appare nel racconto di Sodoma e Gomorra e in centinaia di altri passi. Per la precisione, come possiamo leggere sull’utilissimo sito Biblehub, la parola ebraica malak (singolare di malakim) ricorre 213 volte: 110 volte viene tradotta con angelo (o angeli), 100 volte con messaggero (o messaggeri), 2 volte con ambasciatori e una volta con inviati.

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Il significato letterale della parola malakim è proprio messaggeri. Quando gli autori sacri scrivevano il termine malakim, intendevano esattamente indicare dei messaggeri. Se oggi un autore italiano contemporaneo scrivesse di messaggeri, secondo voi a cosa intenderebbe riferirsi? Ad angeli? Ad Alieni? O a messaggeri? Secondo me, a messaggeri.

Quindi il mistero è svelato: i malakim sono messaggeri. Ma il problema sorge adesso: che significa messaggeri? E quindi: che significa malakim?

Chi erano i malakim?

Il vocabolario Treccani definisce messaggero:

Chi reca ad altri un messaggio, un annuncio o anche una richiesta di notizie, come incarico abituale o occasionale.

La difficoltà nell’interpretare correttamente queste figure, nasce, in parte, dal fatto che oggi i messaggeri non si usano più. Se devo dire una cosa a un amico che abita a 500 km, prendo lo smartphone e gli scrivo, non certo mi metto a cercare una persona che si faccia 500 km per andare a parlare con il mio amico.

Nel I millennio a.C., invece, non c’erano i cellulari e quindi c’erano i malakim, i messaggeri. Ovviamente la gente comune non aveva bisogno di malakim perché non aveva la necessità d’intrattenere relazioni con abitanti di città e villaggi tanto distanti.

I malakim erano dunque i messaggeri dei re perché, loro sì, dovevano intrattenere relazioni con i sovrani degli altri popoli: se il faraone egiziano doveva comunicare con il re ittita, non certo saliva personalmente in groppa a un cammello per farsi migliaia di km. Quindi incaricava il suo malak.

Attenzione adesso: se egiziani e ittiti  non avevano buoni rapporti, il viaggio del malak rischiava di finire male. Arrivato in terra nemica, chiunque avrebbe potuto ucciderlo con il risultato che il suo messaggio non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per questo motivo, con il tempo, si era trovata una soluzione che, se ai nostri occhi potrebbe sembrare strana, all’epoca riusciva a garantire la sicurezza dei malakim.

Il malak di un re, nell’antichità, rappresentava lo stesso re. Se gli ittiti avessero ucciso o maltrattato il malak del faraone d’Egitto, è come se avessero ucciso o maltrattato il faraone stesso, è come se avessero dichiarato guerra agli egiziani. Al contrario: trattare bene un malak, equivaleva a trattare bene il suo re; offrirgli ospitalità con tutti i riguardi del caso, equivaleva a ospitare il re stesso.

Nel Nuovo Testamento, che è scritto in greco e quindi non può contenere la parola ebraica malak, Gesù parla proprio dei messaggeri dei re:

quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. [Luca 14,31s]

I malakim di Dio

Adesso che sappiamo chi erano i messaggeri dei re, sorge un altro problema: il Vecchio Testamento non parla solo dei malakim dei re ma anche dei malakim di Dio. Si tratta di angeli, alieni o cosa?

Prima di tutto occorre sapere che gli autori sacri consideravano Dio come il re dei re:

il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen. [1Timoteo 6,15s]

Dato che gli autori sacri immaginavano Dio come il re dei re, proiettavano sul sovrano celeste gli attributi che osservavano nei sovrani terreni, enfatizzandoli. Più i re erano potenti, più servitori potevano permettersi a corte. E Dio doveva essere il più potente dei potenti, ecco perché nella visione di Daniele si legge:

mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti. [Daniele 7,10]

Così come Dio possedeva i suoi servitori e la sua corte, come fosse un re, allo stesso modo doveva possedere i suoi messaggeri, i suoi malakim, esattamente come i sovrani.

Se un re che doveva mandare un messaggio non si doveva scomodare e inviava un messaggero, figuriamoci se poteva scomodarsi Dio, il re dei re, quando doveva comunicare qualcosa agli uomini.

Ed esattamente come i malakim dei re rappresentavano i re in persona, i malakim di Dio rappresentavano Dio in persona.

Alla luce di questa spiegazione, proviamo a leggere uno dei passi più famosi e male interpretati di sempre. Vedremo che tenendo conto di quanto detto fin qui, tutto tornerà alla perfezione. Si tratta di Genesi 18.

Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. [18,1s]

Già troviamo un’apparente contraddizione: il Signore appare ad Abramo ma Abramo vede tre uomini. Com’è possibile? L’apparente confusione continua:

Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». [18,2-5]

Sembra che Abramo e gli autori che abbiano scritto questo brano siano degli psicopatici. Passano continuamente dal singolare al plurale.

Abramo vide i tre uomini e corse loro incontro (plurale) poi si rivolge loro dicendo “Mio Signore… ai tuoi occhi, non passare… senza fermarti” (singolare) e infine “lavatevi… accomodatevi… ristoratevi… potrete proseguire…” (di nuovo il plurale!).

Tutto il capitolo alterna il singolare del Signore al plurale dei tre uomini. Un intero capitolo che non avrebbe alcun senso se non venisse letto con la chiave d’interpretazione che ho esposto sopra**. I tre uomini sono i messaggeri di Dio ma rappresentano Dio stesso. Ecco perché Abramo vede tre uomini ma li chiama “mio Signore“; ecco perché ci tiene tanto a ospitarli e a trattarli con i migliori dei modi: è come se Abramo stesse ospitando Dio in persona!

Dopo i convenevoli, i tre uomini si dividono. Due vanno verso Sodoma mentre uno rimane con Abramo:

Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. [18,22]

Il capitolo successivo, infatti, si apre così:

I due angeli [malakim] arrivarono a Sòdoma sul far della sera mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. [19,1]

Ecco svelata la vera identità di quegli uomini! La Bibbia italiana traduce con angeli ma la parola ebraica è malakim. Il brano continua:

Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. [19,1]

Esattamente come Abramo, Lot vede nella presenza dei malakim, la presenza stessa di Dio.

Questa interpretazione, inoltre, rispecchia in pieno la mentalità degli israeliti e degli ebrei che hanno talmente tanto rispetto per Dio che, ancora oggi, evitano di pronunciare il suo nome. Autori con una simile forma mentis, non potevano scrivere che Dio si manifestasse agli uomini e comunicasse con loro personalmente. L’escamotage di attribuire dei messaggeri a Dio come fosse un re, è un’ottima trovata per inserire i giusti intermediari nei racconti.

Adesso che sappiamo chi sono i malakim, nel prossimo articolo scopriremo chi sono i figli di Dio, i bene ha Elohim di Genesi 6 che pure fanno tanto discutere… Infine saremo pronti per scoprire il parallelo tra il diluvio e Sodoma.

** Alcuni provano a vedere nei tre uomini rappresentanti il Signore, un segno della Trinità di Dio ma 1. gli autori all’epoca non credevano assolutamente che Dio fosse uno e trino; 2. se così fosse, tutte le volte che appaiono i malakim, dovrebbero essere in 3 e invece non è così.

Cabala: Adamo mescolò il suo seme in un “luogo inappropriato”

Ho già parlato dello Zohar in questo articolo, quando si allude a un Caino ibrido generato da una qof, una scimmia. Ho trovato un altro passo interessante che confermerebbe che il peccato di Adamo, almeno per gli ebrei cabalisti, fosse riconducibile a un atto di ibridazione.

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Lo Zohar, il libro dello Splendore, è il testo più importante della tradizione cabalistica. Si tratta di un’opera abbastanza esoterica, di non facile interpretazione. Io mi baso sull’edizione a cura di Giulio Busi (Giulio Einaudi Editore, 2008).

A pagina 340-342 si parla dei discendenti di Canaan, che dagli israeliti erano considerati schiavi. Ma chi era Canaan? In Genesi è scritto che Noè ebbe tre figli: Sem, Cam e Iafet. Canaan era uno dei figli di Cam quindi era un nipote di Noè. Gli israeliti, invece, discendono dalla stirpe di Sem. Allora lo Zohar si chiede come mai ci sia questa differenza tra Cam e gli altri due fratelli:

Potresti obiettare che [Cam] era fratello di Sem e di Iafet: perché dunque non era come loro?

In pratica gli autori si chiedono come sia possibile che da un padre buono (Noè, in questo caso) nasca un figlio cattivo (Cam). Prima di rispondere analizzano la situazione opposta, quella in cui si verifica che da un antenato cattivo (Cam) nasca un discendente buono (Eliezer).

Allo stesso modo, alla stirpe di Cam apparteneva anche Eliezer, il sevo di Abramo. Perché non fu [un malvagio] come [Cam], ma un giusto […]?

[Devi sapere che] tutto ciò dipende dal segreto dello svolgersi della luce dall’oscurità: in quanto discendente di Cam, il servo di Abramo proveniva dall’oscurità […].

Quindi dall’oscurità, da una stirpe malvagia (Cam), può capitare che nasca la luce, un uomo giusto (Eliezer).

Ma può capitare anche il contrario, come abbiamo visto con Cam (malvagio) figlio di Noè (giusto). E lo Zohar propone altri due esempi: quello di Ismale (malvagio) figlio di Abramo (giusto) e quello di Esaù (malvagio) figlio di Isacco (giusto).

Ma [vi è anche uno svolgersi] dell’oscurità dalla luce, come nel caso di Ismaele che uscì da Abramo, e di Esaù, [che uscì] da Isacco.

Fin qui il ragionamento non contiene nulla di eclatante. Ma adesso arriva il bello. Infatti gli autori spiegheranno qual è il segreto che causa la nascita di figli malvagi da genitori giusti. Il lettore deve sapere che Ismaele ed Esaù erano stati generati da Abramo e da Isacco con due donne cananee.

Il segreto è che la causa di questo è la mescolanza delle gocce [del seme] in un luogo inappropriato. [Se ne rende colpevole] chi mescola la propria goccia [di seme] con una serva […]: costoro sono male e oscurità, mentre la sua goccia è bene e luce […].

Ho già parlato dei matrimoni misti che erano assolutamente vietati nel Vecchio Testamento qui, mentre di qua ho parlato dei figli bastardi che nascevano dagli incroci. Chi segue questo blog, dunque, non si stupirà dalle affermazioni dello Zohar.

Però non è finita qui, perché il libro dello Splendore si spinge oltre, fino a collegare la mescolanza del seme buono in un luogo inappropriato al peccato di Adamo. Infatti il brano continua:

Chi mischia il bene con il male, trasgredisce la parola del suo Signore, che disse: Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai.

Il rimando è proprio a Genesi 2,17, all’unico divieto che Dio impose ad Adamo. Quindi il significato è inequivocabile: Adamo, che violerà quel divieto, andrà a mescolare il suo seme buono in un luogo inappropriato, esattamente come faranno Abramo e Isacco tempo dopo.

Se vi state chiedendo quale luogo inappropriato potesse esistere ai tempi di Adamo, significa che non avete letto né il mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, né questo articolo.

Vecchio Testamento, ciò di cui non conviene parlare: perché erano proibiti i matrimoni misti?

Nell’era del politicamente corretto, e considerando tutto ciò che è avvenuto lo scorso secolo, è comprensibile provare un po’ di disagio nell’affrontare un tema centrale del Vecchio Testamento: la proibizione dei matrimoni misti.

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La maggior parte delle persone non conosce minimamente questo argomento che attraversa tutto il Primo Testamento. Non sto parlando di qualche passo isolato e collaterale alla storia del popolo d’Israele ma, come vedremo, di una delle proibizioni più insistenti della Bibbia. Forse la più insistente in assoluto.

La verità è che tanti cristiani non leggono il loro libro sacro e conoscono solo i passi più famosi, quelli che magari vengono letti a Messa e che subiscono una selezione a monte. Selezione giusta, a mio modesto avviso, perché tanti brani, senza la necessaria contestualizzazione, non potrebbero essere compresi e, anzi, rischierebbero di confondere più che di innalzare spiritualmente il fedele.

Ma se siete capitati su questo blog è perché volete saperne di più e quindi indossate la corazza della pazienza e preparatevi a scoprire un concetto tabù della Bibbia.

Prima di partire, una piccola premessa: credo che l’argomento, oltre a essere politicamente scorretto, venga accantonato perché, chi lo conosce, non ne comprende il significato più profondo. Non credo che ci sia una cospirazione per tenere i fedeli all’oscuro della questione; penso piuttosto che il ragionamento dei teologi sia più o meno questo: è vero, gli israeliti non potevano incrociarsi con i cananei, ed è vero pure che il divieto viene ribadito continuamente… ma probabilmente era il frutto di una mentalità oggi superata e quindi perché approfondirlo? Perché perdere tempo a indagarlo?

La mia conclusione è diametralmente opposta: io non ne voglio parlare come se fosse una delle tante curiosità che si possono trovare nella Bibbia; per me il concetto che ruota attorno alla proibizione dei matrimoni misti è fondamentale per capire non solo il Primo Testamento, ma tutta la storia dell’uomo. E alla fine vi sarà chiaro il motivo.

Il popolo d’Israele vivrà in Palestina ma il primo patriarca, Abramo, non era nato in Palestina, era un immigrato. Nella cartina che segue possiamo ripercorrere il suo viaggio.

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Abramo parte da Ur, con sua moglie Sara, e arriva a Canaan, l’attuale Palestina. Qui la coppia avrà un figlio, Isacco. Isacco crescerà in mezzo ai cananei e, arrivato all’età del matrimonio, avrebbe sicuramente sposato una donna di Canaan, se non fosse successo qualcosa di strano.

Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco». (Genesi 24,1-4)

L’ultimo desiderio di Abramo è che suo figlio non sposi una cananea. Come mai? Era solo la fissa di un anziano? Isacco infatti sposerà Rebecca, figlia dei parenti di Abramo, dalla quale avrà due bambini, Giacobbe ed Esaù. Esaù prenderà due mogli.

Quando Esaù ebbe quarant’anni, prese in moglie Giuditta, figlia di Beerì l’Ittita, e Basmat, figlia di Elon l’Ittita. Esse furono causa d’intima amarezza per Isacco e per Rebecca. (Genesi 26,34s)

Chi erano gli ittiti? Facciamo rispondere al professor Francesco Bianchi :

Tutti i commentatori hanno attribuito queste notizie alla fonte sacerdotale, nella quale i cananei vengono chiamati «ittiti». (La donna del tuo popolo, Città Nuova Editrice, 2005, p. 37)

Quindi il matrimonio del figlio con le donne cananee, causano una profonda amarezza nei genitori. E la madre spera di salvare almeno l’altro figlio.

E Rebecca disse a Isacco: «Ho disgusto della mia vita a causa delle donne ittite: se Giacobbe prende moglie tra le Ittite come queste, tra le ragazze della regione, a che mi giova la vita?» (Genesi 27,46)

E Isacco replica ciò che aveva già fatto suo padre Abramo.

Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su, va’ in Paddan-Aram, nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi là una moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre. (Genesi 28,1s)

Così Giacobbe sposerà Lia e Rachele, due sue cugine. Giacobbe è anche il terzo e ultimo dei patriarchi, colui che cambierà nome in Israele. I figli di Israele si trasferiranno in Egitto. Per secoli i loro discendenti abiteranno lì, fino all’arrivo di Mosè, che farà uscire il suo popolo dall’Egitto e lo guiderà fino al ritorno nella terra di Canaan.

Prima, però, Mosè stringerà l’Alleanza con Yahweh. Tra le altre cose, Dio si raccomanda:

Guàrdati bene dal far alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare, perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te. […] Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie. (Esodo 34,11-16)

È chiaro che questa proibizione che viene attribuita a Dio, era già conosciuta da tempo se all’epoca di Abramo e Isacco il divieto, di fatto, veniva già osservato.

Più avanti il divieto viene ribadito:

Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni […] Non costituirai legami di parentela con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli. (Deuteronomio 7,1-3)

Violare la proibizione era così grave che chi trasgrediva non faceva una bella fine. Riporto un episodio emblematico in cui la protagonista è una donna madianita, altro popolo che viveva nella terra di Canaan.

Uno degli Israeliti venne e condusse ai suoi fratelli una donna madianita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità degli Israeliti, mentre essi stavano piangendo all’ingresso della tenda del convegno. Vedendo ciò, Fineès, figlio di Eleàzaro, figlio del sacerdote Aronne, si alzò in mezzo alla comunità, prese in mano una lancia, seguì quell’uomo di Israele nell’alcova e li trafisse tutti e due, l’uomo d’Israele e la donna, nel basso ventre. (Numeri 25,6-8)

Dopo la morte di Mosè, sarà Giosuè a far entrare Israele in Canaan e il condottiero, prima di morire, rivolge l’ultimo discorso al suo popolo.

Siate forti nell’osservare e mettere in pratica quanto è scritto nel libro della legge di Mosè, senza deviare da esso né a destra né a sinistra, senza mescolarvi con queste nazioni che rimangono fra voi. […] Perché, se vi volgete indietro e vi unite al resto di queste nazioni che sono rimaste fra voi e vi imparentate con loro e vi mescolate con esse ed esse con voi, sappiate bene che il Signore, vostro Dio, non scaccerà più queste nazioni dinanzi a voi. Esse diventeranno per voi una rete e una trappola, flagello ai vostri fianchi e spine nei vostri occhi, finché non sarete spazzati via da questo terreno buono, che il Signore, vostro Dio, vi ha dato. (Giosuè 23,6-13)

Giosuè è più che esplicito: deviare dalla legge di Mosè significava mescolarsi con i popoli della terra di Canaan.

Ma gli israeliti non riusciranno a seguire le sue raccomandazioni e, nel libro successivo, si legge:

Queste nazioni servirono a mettere Israele alla prova, per vedere se Israele avrebbe obbedito ai comandi che il Signore aveva dato ai loro padri per mezzo di Mosè. Così gli Israeliti abitarono in mezzo ai Cananei, […] ne presero in moglie le figlie, fecero sposare le proprie figlie con i loro figli. (Giudici 3,4-6)

La repulsione verso i matrimoni misti, che inizia con i patriarchi, arriverà fino all’esilio di Babilonia, circa un millennio dopo. Infatti Israele, dopo aver trascorso dei secoli a Canaan, viene espugnato dai babilonesi che deportano una parte del popolo a Babilonia. Dopo alcuni decenni di cattività, gli esiliati vengono liberati e tornano a Canaan. Qui scoprono che gli altri israeliti, quelli che non erano stati deportati, si erano mescolati con i cananei.

Il popolo d’Israele, i sacerdoti e i leviti non si sono separati dalle popolazioni locali, […] ma hanno preso in moglie le loro figlie per sé e per i loro figli: così hanno mescolato la stirpe santa con le popolazioni locali. (Esdra 9,1-2)

Potrei continuare a lungo con le citazioni ma penso che possano bastare. Avevate mai sentito dire che l’Alleanza di Israele con Dio implicava il divieto di incrociarsi con gli altri popoli? Quale motivazione poteva avere una simile proibizione? Alcuni tentano di spiegarla spostando il discorso sul lato spirituale, dicendo che imparentarsi con popoli pagani, a lungo andare, avrebbe causato l’apostasia del popolo eletto. Questo è sicuramente uno dei motivi alla base della proibizione. Ma forse non il principale.

La verità è che tutto il Primo Testamento parla di ibridazioni e delle conseguenze biologiche di tali incroci, come scriverò nel prossimo articolo.

Intanto vi lascio con un’altra citazione del libro del professor Bianchi:

S.J.D. Cohen ha proposto allora di individuare nel biblico “orrore” per le mescolanze fra piante, tessuti e animali la causa dell’ostilità contro i matrimoni misti. Applicando al mondo umano quanto essi pensavano accadesse negli incroci fra cavalli e asini, i rabbini avrebbero deciso che il frutto di questa unione seguisse la specie della madre eassimilarono l’unione fra ebrei e gentili a quella fra uomini e animali. (p. 140)

Se non avete voglia di attendere il prossimo articolo, v’informo che ho trattato questi argomenti, in maniera molto approfondita, nel mio libro L’origine dell’uomo ibrido.

Per leggere la seconda parte, clicca qui: Mamzer, i “bastardi” del Vecchio Testamento.