Le leggi di Manu, il ‘peccato originale’ e le ibridazioni vietate nell’induismo

Le leggi di Manu

Il trattato di Manu sulla norma (Manavadharmasastra), conosciuto come Le leggi di Manu, è un testo hindu scritto in sanscrito intorno al II secolo a.C..

Ho letto questa edizione pubblicata da Einaudi, che lo definisce “uno dei più celebri testi antichi di norme etico-politico-giuridiche del mondo antico“.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido, starà per notare una seria di coincidenze interessanti.

Il prologo inizia così (1.1-2):

I grandi veggenti si recarono da Manu, che sedeva assorto, e, dopo avergli reso debitamente omaggio, pronunciarono le seguenti parole: “Acconsenti, o glorioso, a esporci correttamente, secondo la sequenza appropriata, le norme di tutte le classi, come anche di coloro che hanno un’origine intermedia.”

Le leggi di Manu e i quattro varna

La parola tradotta con classi è varna. La Treccani c’informa che varna, letteralmente,

significa «colore» ed è quindi da associare al colore della pelle, designa la gerarchia delle 4 classi, ciascuna delle quali costituisce un gruppo sociale chiuso, al quale si appartiene per via ereditaria e che prevede l’osservanza di regole precise riguardanti la commensalità e il matrimonio.

I quattro varna erano:

  1. i brahmani, sacerdoti e intellettuali, colore bianco;
  2. i ksatriya, guerrieri e nobili, colore rosso;
  3. i vaisya, mercanti e artigiani, colore giallo;
  4. i sudra, servi, colore nero.

Il sistema millenario delle caste, ufficialmente abolito solo nel 1950, continua ancora oggi a influenzare la mentalità indiana e a generare incredibili episodi di razzismo.

Ma un sistema che oggi è facilmente riconoscibile come oggettivamente sbagliato, avrà potuto avere un senso logico migliaia di anni fa, quando la situazione era diversa da quella attuale?

L’origine dei varna è narrata nell’antichissimo Rgveda, il cui componimento risale all’età del bronzo ma che si rifà a tradizioni orali circolanti, forse, da millenni. Per assurdo, quando hanno composto il Rgveda, gli autori si trovavano in una situazione già profondamente mutata rispetto a quando quella tradizione orale aveva preso il via.

I parallelismi con il Primo Testamento, a mio avviso, sono numerosi. Poi sarà il lettore a giudicare se e quanto siano forzati.

Le leggi di Manu e il Primo Testamento

Come Abramo che arriva da immigrato nella terra di Canaan e dovrà rapportarsi con le popolazioni autoctone, allo stesso modo i popoli indoari arrivano in India e dovranno rapportarsi con le popolazioni aborigene.

Come gli israeliti decidono di non mescolarsi (almeno in teoria) con i cananei, vietando i matrimoni misti, così gli indoari decidono di vietare i matrimoni tra membri di varna diversi. Ovviamente le due caste più alte erano riservate ai discendenti degli indoari ed erano inaccessibili ai popoli dravidi. Quindi il divieto di mescolare le caste, di fatto, impediva di mescolare popolazioni geneticamente diverse.

Come il figlio nato dai matrimoni tra israeliti e cananei era considerato un mamzer (un bastardo) e veniva escluso dal ‘popolo eletto’, così i figli (e i loro discendenti) nati dal varnasamkara (miscela delle classi), venivano degradati a dalit, una quinta classe di persone impure, indegne persino di fare gli schiavi come i sudra della quarta classe.

Così come la legge veterotestamentaria prevedeva la morte per i trasgressori, la stessa pena poteva colpire un sudra che si accoppiasse con una donna delle tre classi superiori (vedi qui).

Così come gli israeliti consideravano i cananei dei subumani, allo stesso modo gli autori del trattato che stiamo leggendo consideravano i popoli aborigeni dei kinnara, dei semiuomini.

Dunque la domanda potrebbe essere la stessa che pongo ne L’origine dell’uomo ibrido: è possibile che questi divieti si riferissero, originariamente, agli incroci tra i discendenti di tipi umani diversi (Sapiens, Neanderthal, Denisova, ecc.)? Se sì, non si sarebbe trattato (originariamente) di razzismo ma di investimento parentale.

Le leggi di Manu e l’età dell’oro

In 1.39 si legge che [i dieci grandi veggenti generarono] i kinnara, le scimmie… La Nota 21 spiega:

I kinnara, letteralmente semiuomini, sorta di centauri rappresentati talvolta con il corpo umano e la testa equina, appartengono all’immaginario mitico. Si pensa tuttavia che in origine il termine si riferisse anche alle popolazioni aborigene che abitavano nelle foreste.

Come nella Genesi, viene ricordata un’età dell’oro nella quale le persone vivevano più a lungo e, subito dopo, una graduale riduzione di longevità (1.83):

Nell’età krta gli esseri umani realizzano tutti i propri scopi e vivono quattrocento anni, senza malattie, ma nell’età treta e in quelle successive l’arco della vita si accorcia di un quarto alla volta.

Manca solo un concetto riconducibile al peccato originale… o forse no?

La pecca originale

Nei riti di abilitazione è scritto (2.27):

La pecca del seme e dell’utero viene eliminata per mezzo delle offerte nel fuoco durante la gestazione, del rito della nascita, della cerimonia del primo taglio di capelli e della legatura con l’erba munja.

Quindi ai nuovi nati veniva trasmessa una pecca che era presente nel seme e nell’utero dei genitori. Sembra quasi di leggere sant’Agostino… E se il peccato originale, trasmesso dai genitori ai figli, si eliminerebbe (almeno in parte) con il Battesimo, anche la pecca originale si eliminava con una particolare cerimonia.

Il Battesimo, per i cristiani, è una seconda nascita, è la ri-nascita attraverso lo Spirito. È quel sacramento, almeno secondo la dottrina tradizionale, che trasforma le creature di Dio in figli di Dio.

Allo stesso modo la legatura trasforma gli induisti in dvija, termine che significa esattamente nato due volte, l’equivalente di battezzato. Infatti in 2.172 si legge:

[Prima di aver ricevuto la legatura] egli non deve recitare alcuna parte del Veda, giacché egli è come un sudra fintantoché non nasca nel Veda.

Però a differenza del Battesimo cristiano che può essere ricevuto da tutti, i sudra e i dalit, le ultime due caste indiane, non possono nascere due volte.

Le leggi di Manu e l’esclusione dei figli degeneri

Il terzo capitolo si apre con il matrimonio. In 3.5 sembra di scorgere indicazioni che oggi potremmo definire genetiche:

Come sposa per i nati-due-volte si raccomanda una donna [della stessa classe] che appartenga a una discendenza diversa da quella della madre e a un lignaggio differente da quello del padre, e che sia vergine.

In 3.7 è scritto che bisogna evitare famiglie

dove siano villosi, o soffrano di emorroidi, o siano afflitte da tubercolosi, dispepsia, epilessia, vitiligine o lebbra.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido ricorderà interi paragrafi dedicati a queste malattie e le connessioni con gli incroci.

Tutta la prima parte del capitolo 10 è dedicata alle classi miste.

10.6: i figli generati dai nati-due-volte in donne della classe immediatamente inferiore sono soltanto simili ai padri, ma non identici, e disprezzati, a causa della difettosità materna.

10.10: è stato tramandato che sei sono i figli ‘degeneri’.

E cioè quelli nati dall’incrocio della prima classe con le altre tre, della seconda classe con le ultime due e della terza classe con la quarta. In 10.28 vengono chiamati esclusi, com’era escluso il mamzer del Primo Testamento.

Le leggi di Manu e il primo comandamento

10.42: Grazie alla potenza delle pratiche dell’ardore e a quella del seme, però, essi possono conseguire qui in terra, nelle generazioni successive, uno status per nascita superiore o inferiore nel consesso umano.

10.57: Un individuo sconosciuto, segnato da un incarnato inadeguato e nato da una matrice ibrida, sarà riconoscibile come un non-arya…

10.59: chi è nato da una cattiva matrice non può in alcun modo sopprimere la propria natura.

10.61: il regno in cui nascano tali ‘figli del degrado’, che guastano le classi, va rapidamente in rovina, insieme ai suoi abitanti.

Sembra di leggere Isaia 57,4: Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda?

In 10.64, invece, sembra possa esserci un parallelo con il primo comandamento:

Se un individuo nato da padre brahmana e da madre sudra procrea con una donna superiore a lui, l’inferiore ottiene una nascita superiore dopo la settima generazione.

Il paragrafo si chiude con questa frase (10.72):

Lodano il seme, giacché esseri nati da grembi animali sono divenuti, grazie al potere del seme, veggenti acclamati e onorati.

Insomma, le leggi di Manu sono molto interessanti e ci sarebbero anche altri punti da evidenziare. Forse lo farò in un altro articolo. Questo lo chiudo con un brano che sembra anticipare le parabole di Gesù:

2.112-113: Non si deve seminare la conoscenza dove non vi siano né conformità alla norma (dharma) né ricchezza, o neanche un equivalente desiderio di obbedire, così come non si getta un buon seme nella terra salmastra. Chi si attiene al Veda preferisca morire insieme alla conoscenza, giacché persino nell’estremo stato di eccezione non la si semina dove il terreno non è fertile.

Dio creò Adamo vegetariano, poi un grave peccato rese gli uomini onnivori

adamo vegetariano

Stiamo per analizzare un particolare della Bibbia molto importante ma che spesso non viene considerato con la dovuta attenzione: gli autori del libro della Genesi hanno scritto che Dio creò Adamo vegetariano e solo successivamente l’umanità diventò onnivora. La trasformazione, come vedremo, avvenne a causa di un grave peccato.

Nel primo capitolo della Genesi, Dio crea la prima coppia, la benedice e la invita a moltiplicarsi; subito dopo si legge [Genesi 1,29]:

Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo».

Se i riferimenti all’alimentazione finissero qui, si potrebbe pensare che gli autori sacerdotali abbiano semplicemente evitato di elencare tutti i cibi disponibili. Invece, leggendo il nono capitolo della Genesi, si scopre che la costruzione del testo era tutt’altro che casuale.

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È appena terminato il diluvio e Dio si rivolge agli otto componenti della famiglia di Noè: li benedice, li invita a moltiplicarsi e subito dopo si legge [Genesi 9,3]:

Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe.

La formula di Genesi 9 è identica a quella di Genesi 1: benedizione, invito a moltiplicarsi e donazione degli alimenti. Addirittura viene specificato che gli animali serviranno da cibo come già le verdi erbe. È una citazione esplicita al primo capitolo.

Adamo vegetariano e perfetto

È evidente che ci troviamo di fronte a un messaggio che gli autori volevano fosse ben chiaro: Dio ha creato l’uomo perfetto e quindi vegetariano; poi è successo qualcosa che ha modificato la natura umana e Dio concede a questa nuova umanità, non più perfetta, una dieta adeguata.

Prima di capire cosa possa essere successo, è necessario fare una precisazione: gli autori di Genesi 1 e 9, i due capitoli in questione, erano sacerdoti israeliti vissuti nel VI secolo a.C.. All’epoca il popolo di Israele non era vegetariano; venivano consumati regolarmente sia carne, sia pesce. E questi autori non potevano certo aver conosciuto i primi uomini, vissuti centinaia di migliaia di anni prima. Ovviamente non si può neanche pretendere che una tradizione orale sopravviva per migliaia e migliaia di generazioni. Quindi la domanda è: perché degli autori onnivori hanno sentito il bisogno di scrivere che l’uomo perfetto, creato da Dio, fosse vegetariano?

La trasformazione

L’unica risposta possibile è che già 2500 anni fa, nel Vicino Oriente, si era raggiunto un alto livello di sensibilità e un grande rispetto verso ogni forma di vita. Gli autori, che pure uccidevano e mangiavano animali, si rendevano conto che c’era qualcosa di sbagliato in quel modo di alimentarsi. Avranno ragionato così: se il nostro intimo avverte qualcosa di disumano nell’uccidere un animale, significa che questo cibo non poteva far parte del disegno originale e perfetto di Dio. Il senso di colpa che provavano mangiando carne, non veniva avvertito quando si consumavano i vegetali. Ecco dunque spiegato come degli autori onnivori abbiano proiettato nel passato l’idea di un uomo perfetto e, quindi, vegetariano.

Ora rimane l’ultima domanda, che è fondamentale: come sono riusciti a giustificare una simile trasformazione dell’umanità? Nel senso: una volta compreso che l’uomo perfetto doveva essere vegetariano, quale peccato avrebbe potuto mutare così radicalmente la nostra natura?

I peccati ereditari

Prima di Genesi 9, quando Dio prende atto del cambiamento avvenuto (o che sarebbe avvenuto di lì a poco), vengono commessi diversi peccati ma solo due di questi avranno conseguenze sulla discendenza dei trasgressori.

Questo è un concetto che oggi rimane difficile da accettare: l’idea che il peccato di una persona possa avere conseguenze sui suoi figli, sui suoi nipoti, e così via. Eppure esistono diversi esempi di eventi simili. Pensiamo a una donna incinta che beve alcolici tutti i giorni: suo figlio nascerà con dei problemi di salute eppure è un bambino innocente. Il peccato della madre, in questo caso, ricadrà sul figlio. Oppure pensiamo a un uomo che non dimostra alcuna forma di affetto verso suo figlio e, anzi, lo picchia, magari senza un motivo. Il bambino crescerà con gravi disturbi psicologici e, con ogni probabilità, se riuscirà a trovare una donna con la quale formare una famiglia, sarà incapace a sua volta di insegnare una sana affettività a suoi figli. Ecco che il peccato di un uomo avrà ripercussioni nefaste non su una ma addirittura su due generazioni di innocenti.

Da sant’Agostino a Dubarle

Tutta la Bibbia parla continuamente di peccati ereditari. Già sant’Agostino se n’era accorto e, più recentemente, il grande teologo André-Marie Dubarle. Un peccato che ha modificato la natura umana, trasformando l’uomo da vegetariano a onnivoro, deve rientrare in questa categoria. Infatti i peccati non ereditari, come l’assassinio di Abele da parte di Caino, non potrebbero in alcun modo essere la causa di una mutazione dell’intera umanità.

I peccati ereditari commessi prima di Genesi 9, dicevamo, sono due: il famoso peccato originale e gli avvenimenti narrati in Genesi 6. Ho già trattato gli argomenti nel blog e quindi non posso che rimandare il lettore curioso ai rispettivi articoli: qui parlo della trasgressione di Adamo, qui degli accoppiamenti tra figli di Dio e figlie dell’uomo.

Due indizi

Rapporto uomo/animali

Per comprendere la natura di queste trasgressioni, la Genesi ci fornisce, oltre al cambio di dieta, altri importanti indizi. Il primo riguarda il rapporto tra gli uomini e gli animali. In Genesi 1,28 è scritto:

dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.

Per dominare non si deve intendere un dominio tirannico. Gli autori volevano semplicemente dire che l’uomo è ontologicamente superiore agli altri esseri viventi. Invece, in Genesi 9,2, il rapporto cambia:

Il timore e il terrore di voi sia in tutti gli animali della terra e in tutti gli uccelli del cielo.

È come se, dopo i peccati che hanno modificato la natura umana, gli animali si rendessero conto che l’uomo è diventato una specie pericolosa, come se istintivamente percepissero che l’uomo non è più in armonia col resto del creato, una scheggia impazzita in quello che una volta era il paradiso terrestre.

Genealogie

Il secondo indizio è rintracciabile in ampi brani che oggi si leggono con superficialità, come semplici elenchi privi di senso. Sto parlando delle genealogie. Quasi tutto il quinto capitolo della Genesi (sempre di tradizione sacerdotale) è occupato dalla genealogia dei discendenti di Set (figlio di Adamo). Ciò che dovrebbe colpire sono le età dei patriarchi che, in media, vivevano 900 anni. Ovviamente vale il discorso fatto sopra: gli autori non potevano conoscere l’età di questi personaggi e quindi, se le hanno inserite, lo hanno fatto per mandare un messaggio. Quale?

In Genesi 4 viene elencata la genealogia dei discendenti di Caino. Qui non viene specificata l’età dei patriarchi, evidentemente perché la longevità dei cainiti, a differenza di quella dei setiti, non era rilevante: i cainiti vivevano tanto quanto noi. Se invece i setiti vivevano 900 anni, significa che i setiti erano diversi da noi. I discendenti di Set avevano mantenuto quella perfezione originaria con la quale Dio aveva creato la prima coppia. Invece la stirpe di Caino aveva perso quella perfezione. Ecco qual è il messaggio che volevano passasse: il peccato originale di Adamo si era trasmesso solo a un ramo dell’albero genealogico. Com’è possibile?

Estinzione per ibridazione degli uomini perfetti

Tutto torna se si capisce cosa avevano in testa gli autori: Set era il figlio perfetto della prima coppia perfetta mentre Caino era il figlio ibrido che Adamo aveva procreato con una femmina sub-umana, quel serpente del giardino dell’Eden che, come dicono ormai da tempo i biblisti cattolici, non rappresentava il diavolo ma, appunto, una femmina di una specie inferiore, scimmiesca.

A questo punto ci ritroviamo l’umanità divisa in due tipologie: da una parte gli uomini perfetti e dall’altra gli uomini ibridi. Ecco chi sono i figli di Dio (setiti) e i figli dell’uomo (cainiti) che s’incrociano in Genesi 6. Si tratta di una seconda e definitiva ibridazione di massa al termine della quale Dio constaterà il cambiamento biologico di tutti i suoi figli creati perfetti e concederà loro di cibarsi anche degli animali.

In Genesi 10, infatti, viene presentata l’ultima genealogia, quella dei discendenti di Noè. Qui le età dei patriarchi diminuiscono progressivamente: da 900 fino a 100 anni. Gli autori descrivono, con questo metodo letterario, un reale fenomeno biologico a cui oggi viene dato il nome di estinzione per ibridazione.

Onnivori o vegetariani?

La tradizione sacerdotale voleva spiegare la causa della doppia natura umana e lo ha fatto servendosi, tra le altre cose, pure dell’aspetto alimentare: se da una parte l’istinto ci spinge a voler mangiare la carne, dall’altra la coscienza ci fa sentire in colpa perché sentiamo che è sempre sbagliato uccidere, che questa non può essere la nostra natura originaria.

Onnivori o vegetariani? Alla domanda che oggi scatena tante diatribe, la Genesi ha risposto 2500 anni fa: Dio ha creato l’uomo vegetariano ma a causa del peccato la morte è entrata nel mondo… Da allora siamo diventati onnivori.

Il lettore capitato qui per la prima volta potrebbe rimanere spiazzato, me ne rendo conto. Se così fosse, lo invito a leggere questo articolo nel quale spiego che, per gli autori sacri, era considerato una sorta di ibridazione anche l’accoppiamento tra un israelita e un cananeo, ritenuto alla stregua di una bestia. Per tale motivo, infatti, i matrimoni misti erano severamente proibiti e rientrano nella categoria dei peccati ereditari, dato che potevano dar vita a un figlio che l’Antico Testamento definisce mamzer (termine ebraico tradotto con bastardo).

Tra il primo e il secondo comandamento c’è una frase censurata da secoli (Esodo 20,5)

Quali sono il primo e il secondo comandamento secondo la tradizione cattolica? Leggiamo su Cathopedia, l’enciclopedia cattolica:

I – Non avrai altro Dio all’infuori di me.
II – Non nominare il nome di Dio invano.

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La tradizione della Chiesa ha sintetizzato nei dieci comandamenti una serie di istruzioni che Mosè ha ricevuto da Dio. Le istruzioni sono elencate in due brani paralleli, nel capitolo 20 del libro dell’Esodo e nel capitolo 5 del libro del Deuteronomio. Potete leggerli integralmente sul sito bibbia.net, cliccando qui e qui.

Sul sito del Vaticano c’è la versione online del Catechismo della Chiesa Cattolica con una pagina dedicata a ciascun comandamento.

Nella pagina del primo comandamento (clicca qui) è riportato il brano integrale dell’Esodo da cui il comandamento (Non avrai altro Dio all’infuori di me) è stato tratto:

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.

Si tratta, lo ripetiamo, del capitolo 20 dell’Esodo, versetti dal 2 al 5.

Stesso discorso vale per il secondo comandamento (clicca qui). In questo caso (Non nominare il nome di Dio invano) è praticamente identico al brano corrispondente dell’Esodo:

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio.

È il versetto 7 del capitolo 20 dell’Esodo.

Il lettore attento avrà notato che il versetto 6 dell’Esodo non viene fatto rientrare né nel primo comandamento, che termina al versetto 5, né nel secondo comandamento, che inizia con il versetto 7. Per la precisione il brano del primo comandamento, come vedremo, viene tagliato a metà del versetto 5. Quindi il Catechismo e la tradizione della Chiesa, per qualche motivo, hanno deciso di saltare un versetto e mezzo (la seconda parte di Esodo 20,5 e tutto Esodo 20,6).

Perché? Forse si tratta di passi irrilevanti? O forse sono frasi poco convenienti? Il brano censurato, è questo:

Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Più che irrilevanti, sembrano concetti sconvenienti. Già sant’Agostino si era scervellato parecchio su cosa potesse significare che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Anche teologi contemporanei come André-Marie Dubarle hanno riflettuto molto su questa frase.

È difficile razionalizzare l’idea che un Dio geloso possa punire i figli e i nipoti innocenti di un peccatore. Dato che pure i teologi faticano a spiegarselo, meglio che i fedeli sprovveduti non la leggano proprio, così hanno un pensiero in meno. La sfortuna, però, ha voluto che questa frase sconveniente capitasse proprio lì, in uno dei testi più famosi di tutta la Bibbia: all’interno dei 10 comandamenti e, come se non bastasse, tra il primo e il secondo!

E se invece si trovasse in un testo fondamentale proprio perché è una frase fondamentale? Chi ha già letto il mio libro, saprà che, per me, quel concetto sconveniente è una delle chiavi più importanti per comprendere il significato più profondo di tutto l’Antico Testamento.

Se non avete letto il libro, dovete almeno leggere i due articoli che precedono questo che state leggendo: il primo, sui matrimoni misti proibiti e il secondo, sui figli bastardi che venivano generati quando si violava il divieto dei matrimoni misti.

Se non avete letto il libro e neanche gli articoli propedeutici, non ve la prendete se non capirete il prosieguo del discorso.

La gelosia, che gli autori sacri attribuiscono a Dio in diversi libri, è spesso connessa al divieto dei matrimoni misti e alla raccomandazione di non seguire i culti pagani dei popoli cananei:

Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di quella terra, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu allora mangeresti del loro sacrificio. Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie. (Esodo 34,14-16)

Che la frase censurata sul Dio geloso e sulla punizione che ricade sulle generazioni successive sia connessa con il divieto dei matrimoni misti, trova conferma in un altro brano.

Quando gli israeliti infrangevano la proibizione e si accoppiavano con i cananei, i figli di questi incroci venivano chiamati bastardi e venivano esclusi dalla comunità del signore:

Il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,3)

Qui ci troviamo in una situazione simile a quella del primo comandamento perché il peccato del genitore, colpevole di aver generato un figlio da un matrimonio misto, ricade sul figlio bastardo innocente. E non solo il figlio ma tutta la discendenza di quel figlio dovrà scontare il peccato dell’antenato. È come se la discendenza bastarda contraesse un peccato che si trasmette di generazione in generazione.

Cosa vi ricorda questo concetto? A sant’Agostino non sfuggì l’analogia tra questo peccato ereditario e il peccato originale che, come questo, sarebbe stato commesso da un progenitore e poi si sarebbe trasmesso alla discendenza innocente. Agostino, infatti, che aveva studiato a fondo l’Antico Testamento, denunciava la presenza, in esso, di una pluralità di peccati ereditari. Dubarle, che pure se ne intendeva, dato che ha scritto due libri sul peccato originale, ha dedicato uno studio alla strana teoria del santo d’Ippona: La molteplicità dei peccati ereditari nella tradizione agostiniana.

A differenza del peccato originale, che avrebbe contagiato tutta l’umanità, il peccato in questione contagia solo un ramo dell’umanità, solo la discendenza bastarda. Sempre Agostino sosteneva che questo peccato degli israeliti si sarebbe sommato, negli sfortunati discendenti, a quello di Adamo.

Ma allora perché nella frase che stiamo analizzando Dio punisce la colpa dei padri nei figli solo fino alla terza e alla quarta generazione? La risposta la troviamo in un altro passo che parla di bastardi. Ma bastardi diversi. Mentre gli incroci israeliti x cananei generavano una discendenza irrecuperabile, gli incroci israeliti x edomiti e israeliti x egiziani, erano recuperabili:

Non avrai in abominio l’Edomita, perché è tuo fratello. Non avrai in abominio l’Egiziano, perché sei stato forestiero nella sua terra. I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,8s)

Ecco dunque spiegata la frase censurata dalla tradizione.

Però sorge una domanda: perché Dio avrebbe dovuto punire i figli e i nipoti generati dagli incroci? La risposta potrei averla trovata in una vecchia edizione del 1827 de Il milione di Marco Polo, questa.

Nel secondo volume, a pagina 399, c’è una nota del conte Baldelli Boni. Sta parlando di uno strano gruppo di indigeni di Sumatra (Indonesia), gli Orang-Gugu. Erano una popolazione poco numerosa che «differiva di poco dagli Orang-Utani», erano «coperti di pelo» e si differenziavano dagli Orang-Utani «solo per l’uso della parola».

Fu condotto uno di questi a Labun, ebbe figli da una donna del paese che erano meno pelosi del padre, alla terza generazione divennero come gli altri.

Nel caso di Sumatra descritto dal nostro conte, sarebbe stata la donna di Labun a violare quella che per gli israeliti era la proibizione dei matrimoni misti. La donna, accoppiandosi con un Orang-Gugu avrebbe generato un figlio bastardo, ibrido, che avrebbe ereditato metà del suo DNA dal padre selvaggio. Non solo: la metà del DNA selvaggio del figlio si sarà poi trasmessa alla seconda generazione e così il nipote della donna peccatrice avrebbe avuto ancora un 25% di DNA Gugu. Alla terza generazione sarebbe arrivato un DNA ancora più diluito, il 12,5%, che avrebbe fatto apparire l’individuo in questione come gli altri.

Ci siamo: in un contesto come quello di Sumatra la frase censurata che stiamo analizzando, diventa comprensibilissima: sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione.

La punizione non sarebbe un’azione diretta di Dio ma la semplice conseguenza genetica di un incrocio che avrebbe causato problemi psicofisici ai discendenti.

La mia ipotesi è che alcuni popoli che vivevano nella terra di Canaan erano geneticamente diversi dagli israeliti. Secondo la moderna paleogenetica, proprio in Palestina, si sarebbero verificati i primi incroci tra Sapiens e Neanderthal. I cananei potevano essere una popolazione più neanderthaloide rispetto agli israeliti.

Nel mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, riporto molte prove a sostegno di questa ipotesi. Ne cito solo un paio:

Il gatto Bengala è un ibrido tra il gatto domestico e il gatto leopardo, un gatto selvatico. A causa del carattere nervoso e turbolento, l’Enciclopedia del Gatto[1] c’informa che il Bengala è ritenuto un gatto domestico solo dopo la terza generazione perché prima può continuare ad avere comportamenti tipici della specie selvaggia. Qualcosa di simile accade allo sciacallo ibrido, incrocio tra lo sciacallo e il cane: i tratti selvaggi dello sciacallo perdurano negli ibridi fino alla terza generazione, come documentato da un esperimento condotto in India[2].

[1]Enciclopedia del gatto, tutte le razze riconosciute, storia, curiosità, caratteristiche, De Vecchi, 2010.

[2] Robert A. Sterndale, Natural history of the Mammalia of India and Ceylon, 1884, pp. 238-239.

Ma nella Bibbia ci sono indizi che i cananei fossero geneticamente diversi dagli israeliti? Sì, molti. Ne parlerò in un prossimo articolo. Se invece non volete aspettare, potete leggere il mio libro.

Lilith, la prima moglie di Adamo, è la protagonista del peccato originale

Tutti sanno che nel racconto del peccato originale, narrato nei capitoli 2 e 3 del libro della Genesi, ci sono tre personaggi: Adamo, Eva e il serpente. Ma forse le cose sono un pochino più complesse.

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La tradizione ebraica ha sempre immaginato che, oltre alla prima donna, che comunemente si identifica con Eva, ci fosse un’altra figura femminile, che è stata chiamata Lilith.

Il Dizionario di usi e leggende ebraiche (Alan Unterman, Editori Laterza, 1994), alla voce Lilith scrive:

La prima moglie di Adamo.

Da dove nasce questa credenza se nel testo biblico non viene nominata nessun’altra donna? Per la verità, come vedremo tra poco, le donne nominate sono proprio due…

In Genesi 2,23 Adamo vede la prima donna appena creata da Dio e pronuncia la famosa frase:

Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta.

Intanto alcuni hanno notato che la frase sembra voler alludere a una sorta di primo tentativo andato a male. Infatti Adamo dice «Questa volta…» , come se ci fosse stata una donna precedente che non era osso dalle sua ossa e carne dalla sua carne.

In ogni caso, è questo il passo in cui Adamo, che aveva appena terminato di imporre il nome a tutti gli animali, impone il nome anche alla nuova arrivata: «La si chiamerà donna».

Imporre il nome a qualcosa aveva un significato molto profondo per gli israeliti: il nome rappresentava, in un certo senso, l’essenza di quel qualcosa, la sua vera natura e il suo destino. Marco Sales (La Sacra Bibbia commentata da padre Marco Sales, Volume I, Genesi, Esodo, Levitico, L.I.C.E.T., 1918, pagina 80) spiega a riguardo:

L’autore sacro fa osservare che ogni nome imposto da Adamo è il vero nome, ossia corrisponde perfettamente alla natura dei diversi animali.

Quindi il vero nome della compagna di Adamo è donna. La parola che è stata tradotta nell’italiano donna, in ebraico è issah. Adamo, invece, è la traduzione dell’ebraico adam, che significa uomo. La prima coppia, dunque, non poteva che essere uomo e donna, adamissah.

Ed Eva che fine ha fatto?

Eva viene nominata, per la prima volta, in Genesi 3,20, dopo che è avvenuto il peccato originale:

L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

La parola tradotta in italiano con Eva è hawwah. E ancora una volta è Adamo a imporre il vero nome a Eva. Ma quindi il vero nome di questo personaggio femminile è issah o hawwah? Donna o Eva? Oppure si tratta di due personaggi femminili differenti, uno dei quali potrebbe corrispondere alla famosa Lilith?

Non mi risulta che gli esperti abbiano mai dato troppo peso a questo doppio nome. Chi ha notato la particolarità di una donna con due nomi differenti, ha ipotizzato che il nome cambia in quanto cambia l’essenza della donna in questione: prima del peccato era la donna, tratta dall’uomo; dopo il peccato diventa Eva, la madre di tutti i viventi.

Certo, potrebbe essere una spiegazione valida. Ma alcuni dettagli sembrerebbero avvalorare l’altra opzione, e cioè che gli autori abbiano voluto alludere a due personaggi distinti. Siamo pronti per tuffarci in questa scandalosa interpretazione?

Prima di tutto notiamo che, subito dopo il peccato, Eva diventa la madre di tutti i viventi, come se il peccato c’entrasse qualcosa con la procreazione degli uomini. Uomini? Perché non hanno scritto che Eva fu la madre di tutti gli uomini ma hanno scritto che fu la madre di tutti i viventi? Chi sono questi viventi?

La parola ebraica tradotta con viventi è hay. La Bibbia di Gerusalemme spiega nella nota:

Eva: etimologia popolare: il nome Eva, hawwah, è spiegato con il verbo hayah, «vivere».

La cosa curiosa è che da hayah, vivere, deriva anche il sostantivo hayyah, che significa bestie. Infatti sul sito biblehub.com è scritto che hay, viventi, può essere usato sia per gli uomini, sia per gli animali.

Questo spiegherebbe perché gli autori abbiano scritto che Eva fu la madre di tutti i viventi: perché volevano intendere che fu la madre sia degli uomini, sia delle bestie, e non solo degli uomini. Bestie in che senso? Ci arriviamo.

In Genesi 3,15 si parla per la prima volta di due stirpi:

Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe

In pochi hanno notato il paradosso. La stirpe è la discendenza di una coppia. Se all’epoca c’erano solo un uomo e una donna, com’è possibile ottenere due stirpi differenti? Per generare due stirpi servono, come minimo, tre soggetti. Che i tre soggetti fossero proprio adam, issah e hawwah?

Altro dettaglio importantissimo lo troviamo in Genesi 5,3, dopo che Caino ha ucciso Abele:

Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua immagine, secondo la sua somiglianza, e lo chiamò Set.

Quando Adamo generò Set, Abele era già morto ma Caino era vivo. Perché gli autori hanno scritto che Adamo generò un solo figlio a sua immagine? Si sono dimenticati di Caino? Avrebbero dovuto scrivere un altro figlio. O più semplicemente, come hanno notato da tempo i rabbini, gli autori volevano scrivere esattamente ciò che hanno scritto e cioè che solo Set era a immagine di Adamo, Caino no.

Ma se così fosse, a immagine di chi era Caino? Chi segue questo blog già saprà la risposta, che ho accennato qui.

Caino non era il figlio del primo uomo adam e della prima donna issah ma del primo uomo adam e di hawwah, che non era una donna, una issah ma una hayyah…

Questo fu il peccato originale commesso da Adamo. E Caino è il figlio di quel peccato, il figlio ibrido di quel peccato.

Ecco quali sono le due stirpi: la discendenza di Set, a immagine di Adamo (che a sua volta era a immagine di Dio) e la discendenza di Caino, che non era a immagine di Adamo e quindi neanche a immagine di Dio. Caino aveva solo la metà del patrimonio genetico del primo uomo mentre l’altra metà lo aveva ereditato da sua madre, una hayyah.

Per questo motivo i discendenti di Set saranno chiamati figli di Dio, mentre i discendenti di Caino saranno i figli dell’uomo o, in ebraico, i figli di adam.

Adamo era un figlio di Dio ma peccò di superbia e tentò di creare una discendenza tutta sua, sostituendosi a Dio. Perciò si accoppiò con una creatura inferiore, una femmina di una specie antropomorfa, generando un figlio ibrido, metà uomo e metà bestia.

In Genesi 6,4 assistiamo all’estinzione per ibridazione della stirpe dei figli di Dio

quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini.

Da quel momento in poi, siamo tutti discendenti di Caino, tutti uomini ibridi. Questo è il peccato originale che si trasmette dai genitori ai figli: un DNA rovinato delle ibridazioni (ibridazioni recentemente riconosciute anche dalla scienza), che è la causa di tutto il male che ci circonda, sia di quello fisico, sia di quello psicologico.

Se questa sintesi semplificata vi ha incuriosito, vi consiglio di leggere il libro L’origine dell’uomo ibrido.

Il serpente dell’Eden non era il diavolo. Lo dicono teologi ed esegeti cattolici

Per secoli si è creduto che, nel famoso racconto del peccato originale, il personaggio che compare all’inizio del capitolo 3 della Genesi, chiamato serpente, fosse il diavolo. In realtà l’associazione è sbagliata.

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Inizio subito citando André Wénin (docente di Ebraico biblico ed Esegesi dell’Antico Testamento all’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve, professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana dove insegna Teologia biblica) che ha scritto un libro dal titolo Dio, il diavolo e gli idoli (Edizioni Dehoniane Bologna, 2016). L’introduzione comincia così (pagina 7):

Bisogna dire chiaramente che la Bibbia non si interessa del diavolo.

Più avanti aggiunge (pagina 71):

Nella Bibbia ebraica non c’è praticamente traccia di demoni.

Noi oggi sappiamo cosa s’intende quando si parla del diavolo: era un angelo, il più bello degli angeli, che si è ribellato a Dio e per questo motivo è diventato il suo avversario.

Il problema è che questa storia non era conosciuta dagli autori che hanno scritto il racconto che troviamo nei capitoli 2 e 3 della Genesi. Nel X secolo a.C. nessuno sapeva che un angelo si fosse rivoltato contro Dio. E infatti nel racconto della creazione non si parla né di angeli né di rivolte angeliche. Però all’improvviso compare questo serpente che solo successivamente, per la tradizione cristiana, è stato identificato col diavolo.

Invece, per gli autori israeliti, chi era il serpente?

Il cardinale Gianfranco Ravasi, biblista, teologo ed ebraista, scrive (La Bibbia di Gerusalemme, Antico Testamento, Pentateuco IEdizioni Dehoniane Bologna, 2006, pagine 378-379):

Questa tradizione [serpente identificato col diavolo, n.d.r.] continuerà, ed è anche l’opinione comune corrente.
Invece per l’autore antico l’idea del diavolo sicuramente non era ancora presente. Agli occhi di questo autore del X sec. a.C. l’idea era un’altra. Ed era un’idea molto più fine, molto più acuta.
Il serpente […] che l’autore aveva davanti agli occhi, era un serpente che rimandava ad una realtà precisa, nei cui confronti gli ebrei si sentivano costantemente attirati, nei cui confronti la profezia e prima della profezia le tradizioni bibliche, hanno dovuto continuamente protestare

Cos’è che all’epoca attirava costantemente gli israeliti? Il popolo d’Israele conviveva in Palestina con le popolazioni autoctone della terra di Canaan. I cananei non adoravano lo stesso Dio degli israeliti ma adoravano le divinità della fertilità, attraverso un culto nel quale la sessualità ricopriva un ruolo molto importante.

Il professor William Graham Cole, nel libro Sesso e amore nella Bibbia (Longanesi, 1967), parla delle divinità cananee (pagina 173):

Erano particolarmente responsabili della fecondità e della fertilità di ogni tipo e condizione. Il loro culto richiedeva apparentemente una specie di magia imitativa, in cui i devoti maschi e femmine accoppiavano sessualmente i loro corpi e spargevano il loro seme sui campi che desideravano fruttassero generose messi.  Orge, comprendenti l’uso di sostanze eccitanti e un’indiscriminata attività sessuale, avevano un posto di primo piano in questi culti e molti israeliti con piacere diventavano apostati per queste magiche e meravigliose divinità.

Ecco qual era, ai tempi degli autori, l’avversario di Dio: non il diavolo ma gli dei degli altri popoli. Wénin spiega (pagina 65):

Ma che ne è del diavolo? Se ci si limita all’Antico Testamento, bisogna riconoscere che il personaggio è quasi inesistente. Un po’ come se l’idolatria offrisse un contrasto sufficiente per pensare la verità di Dio a partire dalle sue contraffazioni. O come se la figura di un avversario non fosse veramente necessaria accanto ai concorrenti di Dio che gli umani fabbricano per se stessi. In ogni caso, bisogna constatare che solo nei testi più tardi dell’Antico Testamento il diavolo fa un timido ingresso nella Bibbia, nel momento in cui le figure dell’idolatria diventano meno pregnanti.

Ok, ma cosa c’entra il serpente dell’Eden con questo discorso? Ce lo spiega Carlos Mesters, uno dei maggiori esegeti brasiliani, autore di un libro dal titolo Paradiso terrestre, nostalgia o speranza? (Elle Di Ci, 1972, pagine 48-49):

I cananei erano un popolo che abitava già nella Palestina prima che vi giungessero gli ebrei. Avevano una religione propria fatta di riti incentrati attorno al culto della fertilità. La relazione con la divinità era intesa esclusivamente in termini di cerimonie e osservanze rituali. Non includeva nessuna esigenza etica. Non influiva sulla vita come forza trasformatrice. Una religione di questo genere era assai più gradevole che le dure esigenze della Legge di Dio, perché arrivava a rendere ufficiale e sacra la prostituzione che era ritenuta un rito e un’azione sacra. La prostituzione era vista e praticata come tentativo magico-superstizioso per vincere la morte e possedere la vita. Di questo insieme di magia, legato al culto della fertilità e della prostituzione, era simbolo il serpente. Questa identificazione arrivò al punto che la parola nagash significava allo stesso tempo serpente e pratica magica. […] Il grande pericolo e la grande tentazione del popolo era esattamente quel serpente.

Quindi nessun diavolo. Il serpente era il simbolo delle divinità cananee della fertilità, simbolo che gli israeliti vedevano raffigurato quando peccavano contro il loro Dio, entrando nei templi cananei in cui si trovavano le sacerdotesse, le prostitute sacre di Canaan.

Ravasi ci spiega allora cosa rappresentava originariamente il discorso tra Eva e il serpente (pagina 381):

La donna è presente qui non tanto perché è adescatrice, la tentatrice sessuale, come di solito dice, purtroppo, certa letteratura o certa opinione comune. La donna, in questo caso, invece, appare ormai, per l’ascoltatore attivo, con un volto molto preciso, con contorni ben definiti: è, in qualche modo, il segno della stessa sacerdotessa cananea dei culti pagani della fertilità. Serpente e donna erano i due elementi che il fedele ebreo incontrava quando riusciva a sottrarsi alle maglie della censura ufficiale del culto d’Israele e ad andare ne santuari cananei.

Ecco dunque svelato parte del significato del peccato originale. Per saperne di più, invito il lettore a seguire gli aggiornamenti di questo sito o a leggere il libro L’origine dell’uomo ibrido.