Le leggi di Manu, il ‘peccato originale’ e le ibridazioni vietate nell’induismo

Le leggi di Manu

Il trattato di Manu sulla norma (Manavadharmasastra), conosciuto come Le leggi di Manu, è un testo hindu scritto in sanscrito intorno al II secolo a.C..

Ho letto questa edizione pubblicata da Einaudi, che lo definisce “uno dei più celebri testi antichi di norme etico-politico-giuridiche del mondo antico“.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido, starà per notare una seria di coincidenze interessanti.

Il prologo inizia così (1.1-2):

I grandi veggenti si recarono da Manu, che sedeva assorto, e, dopo avergli reso debitamente omaggio, pronunciarono le seguenti parole: “Acconsenti, o glorioso, a esporci correttamente, secondo la sequenza appropriata, le norme di tutte le classi, come anche di coloro che hanno un’origine intermedia.”

Le leggi di Manu e i quattro varna

La parola tradotta con classi è varna. La Treccani c’informa che varna, letteralmente,

significa «colore» ed è quindi da associare al colore della pelle, designa la gerarchia delle 4 classi, ciascuna delle quali costituisce un gruppo sociale chiuso, al quale si appartiene per via ereditaria e che prevede l’osservanza di regole precise riguardanti la commensalità e il matrimonio.

I quattro varna erano:

  1. i brahmani, sacerdoti e intellettuali, colore bianco;
  2. i ksatriya, guerrieri e nobili, colore rosso;
  3. i vaisya, mercanti e artigiani, colore giallo;
  4. i sudra, servi, colore nero.

Il sistema millenario delle caste, ufficialmente abolito solo nel 1950, continua ancora oggi a influenzare la mentalità indiana e a generare incredibili episodi di razzismo.

Ma un sistema che oggi è facilmente riconoscibile come oggettivamente sbagliato, avrà potuto avere un senso logico migliaia di anni fa, quando la situazione era diversa da quella attuale?

L’origine dei varna è narrata nell’antichissimo Rgveda, il cui componimento risale all’età del bronzo ma che si rifà a tradizioni orali circolanti, forse, da millenni. Per assurdo, quando hanno composto il Rgveda, gli autori si trovavano in una situazione già profondamente mutata rispetto a quando quella tradizione orale aveva preso il via.

I parallelismi con il Primo Testamento, a mio avviso, sono numerosi. Poi sarà il lettore a giudicare se e quanto siano forzati.

Le leggi di Manu e il Primo Testamento

Come Abramo che arriva da immigrato nella terra di Canaan e dovrà rapportarsi con le popolazioni autoctone, allo stesso modo i popoli indoari arrivano in India e dovranno rapportarsi con le popolazioni aborigene.

Come gli israeliti decidono di non mescolarsi (almeno in teoria) con i cananei, vietando i matrimoni misti, così gli indoari decidono di vietare i matrimoni tra membri di varna diversi. Ovviamente le due caste più alte erano riservate ai discendenti degli indoari ed erano inaccessibili ai popoli dravidi. Quindi il divieto di mescolare le caste, di fatto, impediva di mescolare popolazioni geneticamente diverse.

Come il figlio nato dai matrimoni tra israeliti e cananei era considerato un mamzer (un bastardo) e veniva escluso dal ‘popolo eletto’, così i figli (e i loro discendenti) nati dal varnasamkara (miscela delle classi), venivano degradati a dalit, una quinta classe di persone impure, indegne persino di fare gli schiavi come i sudra della quarta classe.

Così come la legge veterotestamentaria prevedeva la morte per i trasgressori, la stessa pena poteva colpire un sudra che si accoppiasse con una donna delle tre classi superiori (vedi qui).

Così come gli israeliti consideravano i cananei dei subumani, allo stesso modo gli autori del trattato che stiamo leggendo consideravano i popoli aborigeni dei kinnara, dei semiuomini.

Dunque la domanda potrebbe essere la stessa che pongo ne L’origine dell’uomo ibrido: è possibile che questi divieti si riferissero, originariamente, agli incroci tra i discendenti di tipi umani diversi (Sapiens, Neanderthal, Denisova, ecc.)? Se sì, non si sarebbe trattato (originariamente) di razzismo ma di investimento parentale.

Le leggi di Manu e l’età dell’oro

In 1.39 si legge che [i dieci grandi veggenti generarono] i kinnara, le scimmie… La Nota 21 spiega:

I kinnara, letteralmente semiuomini, sorta di centauri rappresentati talvolta con il corpo umano e la testa equina, appartengono all’immaginario mitico. Si pensa tuttavia che in origine il termine si riferisse anche alle popolazioni aborigene che abitavano nelle foreste.

Come nella Genesi, viene ricordata un’età dell’oro nella quale le persone vivevano più a lungo e, subito dopo, una graduale riduzione di longevità (1.83):

Nell’età krta gli esseri umani realizzano tutti i propri scopi e vivono quattrocento anni, senza malattie, ma nell’età treta e in quelle successive l’arco della vita si accorcia di un quarto alla volta.

Manca solo un concetto riconducibile al peccato originale… o forse no?

La pecca originale

Nei riti di abilitazione è scritto (2.27):

La pecca del seme e dell’utero viene eliminata per mezzo delle offerte nel fuoco durante la gestazione, del rito della nascita, della cerimonia del primo taglio di capelli e della legatura con l’erba munja.

Quindi ai nuovi nati veniva trasmessa una pecca che era presente nel seme e nell’utero dei genitori. Sembra quasi di leggere sant’Agostino… E se il peccato originale, trasmesso dai genitori ai figli, si eliminerebbe (almeno in parte) con il Battesimo, anche la pecca originale si eliminava con una particolare cerimonia.

Il Battesimo, per i cristiani, è una seconda nascita, è la ri-nascita attraverso lo Spirito. È quel sacramento, almeno secondo la dottrina tradizionale, che trasforma le creature di Dio in figli di Dio.

Allo stesso modo la legatura trasforma gli induisti in dvija, termine che significa esattamente nato due volte, l’equivalente di battezzato. Infatti in 2.172 si legge:

[Prima di aver ricevuto la legatura] egli non deve recitare alcuna parte del Veda, giacché egli è come un sudra fintantoché non nasca nel Veda.

Però a differenza del Battesimo cristiano che può essere ricevuto da tutti, i sudra e i dalit, le ultime due caste indiane, non possono nascere due volte.

Le leggi di Manu e l’esclusione dei figli degeneri

Il terzo capitolo si apre con il matrimonio. In 3.5 sembra di scorgere indicazioni che oggi potremmo definire genetiche:

Come sposa per i nati-due-volte si raccomanda una donna [della stessa classe] che appartenga a una discendenza diversa da quella della madre e a un lignaggio differente da quello del padre, e che sia vergine.

In 3.7 è scritto che bisogna evitare famiglie

dove siano villosi, o soffrano di emorroidi, o siano afflitte da tubercolosi, dispepsia, epilessia, vitiligine o lebbra.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido ricorderà interi paragrafi dedicati a queste malattie e le connessioni con gli incroci.

Tutta la prima parte del capitolo 10 è dedicata alle classi miste.

10.6: i figli generati dai nati-due-volte in donne della classe immediatamente inferiore sono soltanto simili ai padri, ma non identici, e disprezzati, a causa della difettosità materna.

10.10: è stato tramandato che sei sono i figli ‘degeneri’.

E cioè quelli nati dall’incrocio della prima classe con le altre tre, della seconda classe con le ultime due e della terza classe con la quarta. In 10.28 vengono chiamati esclusi, com’era escluso il mamzer del Primo Testamento.

Le leggi di Manu e il primo comandamento

10.42: Grazie alla potenza delle pratiche dell’ardore e a quella del seme, però, essi possono conseguire qui in terra, nelle generazioni successive, uno status per nascita superiore o inferiore nel consesso umano.

10.57: Un individuo sconosciuto, segnato da un incarnato inadeguato e nato da una matrice ibrida, sarà riconoscibile come un non-arya…

10.59: chi è nato da una cattiva matrice non può in alcun modo sopprimere la propria natura.

10.61: il regno in cui nascano tali ‘figli del degrado’, che guastano le classi, va rapidamente in rovina, insieme ai suoi abitanti.

Sembra di leggere Isaia 57,4: Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda?

In 10.64, invece, sembra possa esserci un parallelo con il primo comandamento:

Se un individuo nato da padre brahmana e da madre sudra procrea con una donna superiore a lui, l’inferiore ottiene una nascita superiore dopo la settima generazione.

Il paragrafo si chiude con questa frase (10.72):

Lodano il seme, giacché esseri nati da grembi animali sono divenuti, grazie al potere del seme, veggenti acclamati e onorati.

Insomma, le leggi di Manu sono molto interessanti e ci sarebbero anche altri punti da evidenziare. Forse lo farò in un altro articolo. Questo lo chiudo con un brano che sembra anticipare le parabole di Gesù:

2.112-113: Non si deve seminare la conoscenza dove non vi siano né conformità alla norma (dharma) né ricchezza, o neanche un equivalente desiderio di obbedire, così come non si getta un buon seme nella terra salmastra. Chi si attiene al Veda preferisca morire insieme alla conoscenza, giacché persino nell’estremo stato di eccezione non la si semina dove il terreno non è fertile.

Testimonianza inedita di un sacerdote cattolico che vide uno Yeti in Tibet

yeti

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido, ricorderà che alcuni paragrafi di uno degli ultimi capitoli sono dedicati agli uomini selvaggi (compreso il fantomatico Yeti).

Padre Ludovico Secco, che ho avuto il piacere di conoscere a Farra D’Alpago lo scorso ottobre, mi ha scritto una e-mail dopo aver letto il mio libro:

…A parte questo vorrei contribuire al segmento che riguarda l’uomo selvaggio con una breve testimonianza di un missionario italiano nel Tibet.

Non sono riuscito a incontrarlo personalmente perché ignoravo la sua esistenza ma fortuitamente ho potuto avere un suo memoriale.

Ho potuto visitare nel 2010 i luoghi della sua missione e passare nei posti citati dalla sua testimonianza.  Sono certo della serietà del passo che le mando e che ritengo susciterà il suo interesse.

La zona del Tibet è quella di Kanding che dista una ventina di chilometri dal passo Ja-kia-ken citato nella testimonianza. A pochi chilometri dalla città di Kanding esiste un bellissimo lago che ha il nome di “lago dell’uomo selvaggio” o dello Yeti.

Le allego l’articolo testimonianza. Il volume da cui è tratto non è pubblicato e personalmente ne ho fatto una traduzione dal francese (l’autore p. Ferdinando Pecoraro era delle missioni estere di Parigi)…“.

Padre Ludovico, che ringrazio tanto, mi ha autorizzato a pubblicare le sue traduzioni dei due brani del memoriale che trovate di seguito e della biografia di padre Ferdinando Pecoraro scritta da Jean Moriceau.

La testimonianza l’ho lasciata integrale mentre ho tagliato il secondo brano e la biografia tenendo solo ciò che è inerente al tema di questo articolo.

Anche le foto sono state scattate da padre Ludovico in Tibet, nei pressi del luogo in cui padre Ferdinando avrebbe visto lo Yeti.

La testimonianza

Altro oggetto misterioso di cui la stampa si diverte a parlare da più di 40 anni è lo ‘YETI’ o ‘abominevole uomo delle nevi’ come lo ha chiamato in seguito Paris Match.

Un giorno nell’autunno del 1949, tornavo da Mosimien dove ero andato ad acquistare dei cereali: mais, fagioli, grano saraceno, fave… per i miei orfani e quelli delle suore Fmm.

La carovana di una decina di animali (Dzo, muli, cavalli) avanzava lentamente guidati da Hong Kuing (il soldato rosso) un superstite dell’armata di Mao ai tempi della Lunga Marcia, abbandonato morente al margine della strada.

I padri l’avevano raccolto e le suore curato e guarito ma… era rimasto muto. Era orgoglioso di portarmi il fucile da caccia e la borsa con la macchina fotografica.

Precedevo la carovana di un 200 metri ed ero arrivato quasi in cima al passo Ya kia Ken, (oltre quattromila metri). Restavano soltanto quattro ore di marcia per arrivare a Semakiao e camminando cercavo di recitare il breviario.

Il sentiero passava all’inizio di un ruscello e proprio dall’altro lato a dieci metri da me una betulla che aveva già perduto le foglie (s’era d’autunno) era cresciuta in mezzo a un boschetto di bambù nani.

Sull’albero giocavano una decina di scimmiette. Allora tenendo il breviario con la sinistra (distrazione!) mi sono divertito a lanciare loro dei sassolini. E’ stato divertente vedere come quelle là mi imitassero, come se anch’esse volessero lanciarmi qualcosa.

Ad un certo punto tra le foglie morte e gli aghi di pino non trovo più dei sassolini; allora afferro una grossa pietra e la lancio ai piedi della betulla.

Come reazione sento uno strano scricchiolio e dal folto dei bambù spunta una testa enorme: faccia piatta, lunga capigliatura che scendeva molto più in basso delle spalle, separata da una discriminatura diritta che la divideva alla sommità del cranio.

Il colore di quell’essere era di un crema-caffè. Quanto era alto? Non potevo vederlo se non dal busto in su che emergeva dai bambù, mentre la testa poteva avere su per giù una volta e mezza le misure della mia.

A quella altitudine i bambù sono alti circa due metri perciò l’animale doveva avere una statura per lo meno di due metri e mezzo, a meno che non fosse ritto su un sasso o su un tronco.

La ‘bestia’ mi fissava con calma, mentre io… la guardavo… perplesso! Reggendo sempre il breviario nella mano sinistra, ho cercato di indietreggiare con prudenza verso il passo. D’altro canto ero preoccupato per quelli della carovana.

A gesti, cerco di attrarre l’attenzione di Hong Kuin il muto che guida la carovana. Ma con sorpresa lo sento gridare: ”Yè Jen….Yè Jen!…” (L’uomo selvaggio in cinese), proprio lui che non riusciva ad articolare una parola!

Lo choc era stato così forte da ridargli (almeno in parte) la parola perché da allora ha potuto continuare a comunicare. Potete ben credere che per quanto mi riguarda non ho avuto né l’idea né tanto meno il coraggio di chiedere a quell’individuo di fornirmi i suoi connotati.

A quel tempo Paris Macht non aveva ancora parlato dell’’abominevole uomo delle nevi’ ma quando sono arrivato a Kanding dalle suore, ho raccontato loro come fatto curioso, il divertente incontro.

“Ah…sì – ha risposto una di loro – è lo Ye Yen (l’uomo selvaggio)!” Quel lunedì perciò, alla fine del pranzo ho chiesto ad Andrè: “Ma esiste veramente questo Ye jen?” “Ma certo!” “E tu l’hai mai visto?” “Io no ma mio padre, e due dei miei zii l’hanno già incontrato”.

È curioso il fatto che nonostante il grande interesse suscitato, dopo mezzo secolo nessuno sia ancora riuscito a scoprire questo misterioso animale. Il governo cinese in anni recenti ha dato mandato a un’equipe di decine di specialisti, l’incarico di cercare questo ‘individuo’ in un’area spazio di centinaia di chilometri quadrati a nord del Sichuan; non hanno potuto trovare che delle tracce.

È possibile che l’animale che ho incontrato sia lo stesso che viene chiamato YeTi? Io ne sono convinto. Potrebbe darsi che sia una specie di primate nel quale una disfunzione ormonale ha causato uno sviluppo eccezionale.

Del resto esistono anche umani con statura di oltre due metri. Potrebbe essere che abbiano avuto la sorte in questo, di avere qualcosa in comune con le scimmie.

Escursione al ‘Lago dell’uomo selvaggio’ Ye jen hai – 28 agosto

Giovedì 28 agosto, alzata all’aurora e celebrazione antelucana dell’eucarestia nella stanza d’albergo, colazione sbrigata più velocemente degli altri giorni e padre Ly che ci aspetta all’ingresso con un minibus di un’età ‘più che rispettabile’ a giudicare dalle apparenze. Si va al lago dell’uomo selvaggio, (in cinese Yé Jen Hai) un lago racchiuso tra le montagne a 21 chilometri dalla città. Posto a un’altitudine di 3700 metri sembra essere il lago più alto del sud-est asiatico.

‘Lago dell’uomo selvaggio’, capirete come il nome stesso mi incuriosisca. Non sarà per caso che il nome derivi da qualche leggenda? Piuttosto penso che sia estremamente probabile che lo Yeti, ‘l’uomo selvaggio’ sia stato visto specialmente da queste parti. Naturalmente non ne ho la certezza ma se questo appellativo non conferma in modo esplicito la mia esperienza (come ho già riferito in altra parte) non la smentisce affatto.

Nella biografia scritta da Jean Moriceau c’è l’episodio dello Yeti

Ferdinando Pecoraro nasce a Telve di Valsugana in diocesi di Trento il 2 agosto 1921 dal matrimonio di Ermenegildo e Angela Bardi.

Nel 1931 i genitori emigrano in Francia per cercarvi lavoro stabilendosi a Betlehem nel comune di Goumois (Haut-Doubs).

Il 29 giugno del 1946 riceve l’ordinazione diaconale e il 21 dicembre dello stesso anno diventa sacerdote. Poco dopo (1 gennaio 1947) riceve l’obbedienza per la missione di Ta-Tsien-Lu (Marche Tibetane).

Solo in luglio del 1948 potrà partire per la missione di Ta-Tsien-Lu insieme a padre George Dozance, per la strada che lo porta a scavalcare il colle Eul-Lan-Shan (la montagna delle due orecchie 3437 metri) per discendere verso Luting.

Un giorno mentre tornava da Mosimien, giunto al colle Ya-Kia-Ken, in compagnia di un catechista, mentre camminava a fianco della cavalcatura recitando il breviario, alzando gli occhi scorse una creatura gigantesca dal torso peloso e con la testa dotata di una folta capigliatura, che spuntava da un boschetto di bambù nani alti due metri. Quell’essere scimmiesco antropomorfo era forse il leggendario “abominevole uomo delle nevi”? A dire di padre Pecò anche il catechista lo vide. Rapidamente lo strano essere disparve nel folto dei bambù nani.

Ibridi cinesi Erectus/Sapiens di 900 mila anni: il Corriere riscrive la storia?

Erectus/Sapiens

Ibridi Erectus/Sapiens? Finalmente ne parla uno scienziato sul Corriere della Sera

Su la Lettura del Corriere della Sera del 29 luglio 2018 è apparso un articolo rivoluzionario firmato dallo scienziato di fama internazionale Claudio Tuniz. Chi ha già letto il mio libro non potrà che meravigliarsi delle conferme che vi troveremo.

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Già il titolo del pezzo è una bomba: L’Homo sapiens arriva dall’Asia?

Il sottotitolo spiega:

La tesi più accreditata identifica nell’Africa la culla della specie umana. Ma scoperte recenti dimostrano che i nostri antenati vivevano nell’attuale Cina ben prima di quanto si pensasse. E i pochi denti rimasti dell’Uomo di Pechino danno nuove indicazioni.

Claudio Tuniz è proprio uno dei 10 autori dell’articolo Morfologia dentale interna dell’Homo erectus di Zhoukoudian. Nuovi dati da una vecchia collezione conservata all’Università di Uppsala, in Svezia, uscito sulla rivista scientifica Journal of Human Evolution.

Nell’articolo del Corriere, Tuniz sintetizza le informazioni che avevamo sugli ominidi fino a poco tempo fa. Scrive che in Europa e in Asia sarebbero vissute diverse specie umane (Erectus, Neanderthal, Denisovani e Floresiensis) finché i Sapiens, usciti dall’Africa 60 mila anni fa, le avrebbero soppiantate.

Questa, fino a tempi recenti, era la versione ufficiale alla quale bisognava attenersi. Che significa? Significa che questa versione implica una serie di premesse che non possono essere falsificate. Ad esempio: se la versione ufficiale afferma che i Sapiens sono nati in Africa e sono usciti dal continente nativo 60 mila anni fa, non possono esistere fossili Sapiens più antichi di 60 mila anni in qualsiasi altro continente. Altrimenti la versione ufficiale crolla.

E che problema c’è? – verrebbe da chiedere – se la versione ufficiale è corretta, non si troveranno mai delle prove che possano falsificarla.

Purtroppo la scienza funziona per paradigmi e le cose non sono così semplici come potrebbe pensare un lettore profano. Una volta che s’impone un certo paradigma, quindi una certa versione ufficiale, non basta una prova contraria per far crollare il paradigma.

Frodi archeologiche

Nel mio libro ho dedicato più di un paragrafo alle frodi archeologiche, così chiamate già da Vayson de Pradenne. In pratica, nell’attuale paradigma, se un paleoantropologo trovasse resti Sapiens in uno strato di 500 mila anni fa, si auto convincerebbe che si è sbagliato, che nonostante l’apparenza quei fossili non appartenevano a un Sapiens, oppure penserebbe che siano scivolati nello strato sbagliato ma il loro posto originale era un altro.

Tutte le università del pianeta, tutti i libri, tutti gli scienziati sono concordi con la versione ufficiale. Se il nostro paleoantropologo se ne uscisse dicendo: ehi, fermi tutti, ho trovato questo osso in una buca e adesso bisogna riscrivere la storia dell’umanità, nel migliore dei casi verrebbe deriso o ignorato, nel peggiore avrebbe compromesso la sua carriera.

De Pradenne analizza bene questi meccanismi ma spiega anche che non c’è una giustificazione: anche se in buonafede, se il nostro paleoantropologo non dichiarasse ciò che ha realmente scoperto, starebbe commettendo una frode archeologica. Poco importa che magari non ne sia del tutto consapevole.

Alla luce di questo, si può comprendere ciò che scrive Tuniz riguardo alle scoperte scientifiche che contraddicevano il paradigma del Sapiens recente nato in Africa.

Le scoperte che non confermavano questa storia non venivano prese in considerazione.

Wow! Dentro questa breve frase c’è un mondo che crolla, quel mondo che da decenni ci ripete che le cose sono andate in un certo modo perché la scienza ha scoperto che… Invece no, la verità è che ci ripetono che le cose sono andate in quel modo perché non considerano tutte le prove che dimostrano il contrario.

Le ultime scoperte retrodatano l’origine del Sapiens

Ma così funzionano i paradigmi: riescono a resistere per un tempo limitato alle scoperte che li smentiscono, un po’ modellandosi attorno ai nuovi studi, finché le prove contrarie non diventano così numerose e importanti che il paradigma non può che crollare. E più il paradigma è durato, più grosso sarà il botto.

Tuniz elenca le scoperte che negli ultimi tre anni hanno modificato la versione ufficiale:

  1. scoperti denti Sapiens in Cina di oltre 100 mila anni fa;
  2. dimostrato che i Sapiens erano arrivati in Australia 65 mila anni fa;
  3. dimostrato che i Sapiens vivevano in Medio Oriente e in India 180 mila anni fa;
  4. scoperti resti Sapiens in Marocco di oltre 300 mila anni fa.

Quindi le scoperte eretiche accantonate negli anni Ottanta e Novanta, acquistano oggi nuova credibilità. Cito Tuniz:

Fu ad esempio accantonata l’idea che esistessero in Cina forme «di transizione» tra Erectus e Sapiens, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa. Eppure resti di specie umane ibride furono rinvenute negli anni Ottanta e Novanta, a Dali e a Yunxian, nella Cina centrale, e i relativi studi vennero pubblicati. Ora nuove scoperte impongono di riconsiderare l’ipotesi di un incrocio fra Sapiens ed Erectus e le date di arrivo di Sapiens in Asia e Oceania.

Ecco la bomba! Incroci tra Sapiens ed Erectus, esattamente come ho ipotizzato nel libro L’origine dell’uomo ibrido.

Ma non è finita qui. L’articolo è corredato da una mappa in cui sono segnati i reperti fossili ritrovati in Cina. Le forme transizionali di Dali e Yunxian risalgono, rispettivamente, a 250 mila e 900 mila anni fa!

Ibridi Erectus/Sapiens: com’è possibile?

E giustamente Tuniz si chiede:

come spiegare gli ibridi Erectus/Sapiens cinesi più antichi?

E risponde così:

Diventa sempre più credibile l’ipotesi che diversi gruppi e specie umane convivessero, sia in Africa che in Asia, durante i cambi climatici del Pleistocene, dedicandosi a sporadici incroci genetici. I fossili «di transizione» in Cina potrebbero quindi essere spiegati con l’elevata biodiversità umana che caratterizzava l’Asia del Pleistocene.

Potrebbero essere spiegati così? Non lo so, non sono uno scienziato come Tuniz. E siccome non sono uno scienziato, e non devo pubblicare su riviste scientifiche, e non ho una carriera davanti, mi posso permettere di ipotizzare semplici risposte che al momento vengono ignorate o derise dagli esperti.

Se io trovassi i resti di un mulo di 50 milioni di anni, cosa penserei? Penserei che asini e cavalli si incrociano da almeno 50 milioni di anni e quindi asini e cavalli devono essere ancora più antichi del mulo che ho trovato. Ci sarebbe qualcosa di assurdo in questo ragionamento? Credo di no.

Analogamente: sono stati trovati ibridi Erectus/Sapiens vecchi di 900 mila anni. Seguendo lo stesso ragionamento si arriva a ipotizzare che Sapiens ed Erectus devono essere più antichi di quegli ibridi che sono stati trovati. Ci sarebbe qualcosa di assurdo in questo ragionamento? Sì: contraddice il paradigma che vuole i Sapiens una specie recente.

Ma siccome io non sono uno scienziato, me ne frego dei paradigmi e questa è esattamente l’ipotesi che sostengo nel mio libro, uscito giusto un anno fa, il 15 agosto 2017. E dopo un anno, a differenza dei libri di alcuni esperti che vengono smentiti dopo ogni nuova scoperta, L’origine dell’uomo ibrido sembra trovare sempre più piccole e grandi conferme.

Altre conferme?

Chi ha letto il libro, forse ricorderà che parlo in diversi capitoli delle conseguenze delle ibridazioni, tra le quali nanismo, gigantismo e malattie varie. Ecco cosa scrive Tuniz:

Perfino il minuscolo Homo floresiensis potrebbe essere il risultato di un incrocio fra Sapiens ed Erectus, dato che si è recentemente scoperto, studiando gli incroci fra diverse specie di babbuini, che i loro discendenti, lungi dall’assumere i caratteri degli antenati, possono variare le loro dimensioni anatomiche (per esempio rimpicciolendosi) e assumere caratteristiche del tutto nuove, anche patologiche.

Dio creò Adamo vegetariano, poi un grave peccato rese gli uomini onnivori

adamo vegetariano

Stiamo per analizzare un particolare della Bibbia molto importante ma che spesso non viene considerato con la dovuta attenzione: gli autori del libro della Genesi hanno scritto che Dio creò Adamo vegetariano e solo successivamente l’umanità diventò onnivora. La trasformazione, come vedremo, avvenne a causa di un grave peccato.

Nel primo capitolo della Genesi, Dio crea la prima coppia, la benedice e la invita a moltiplicarsi; subito dopo si legge [Genesi 1,29]:

Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo».

Se i riferimenti all’alimentazione finissero qui, si potrebbe pensare che gli autori sacerdotali abbiano semplicemente evitato di elencare tutti i cibi disponibili. Invece, leggendo il nono capitolo della Genesi, si scopre che la costruzione del testo era tutt’altro che casuale.

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È appena terminato il diluvio e Dio si rivolge agli otto componenti della famiglia di Noè: li benedice, li invita a moltiplicarsi e subito dopo si legge [Genesi 9,3]:

Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe.

La formula di Genesi 9 è identica a quella di Genesi 1: benedizione, invito a moltiplicarsi e donazione degli alimenti. Addirittura viene specificato che gli animali serviranno da cibo come già le verdi erbe. È una citazione esplicita al primo capitolo.

Adamo vegetariano e perfetto

È evidente che ci troviamo di fronte a un messaggio che gli autori volevano fosse ben chiaro: Dio ha creato l’uomo perfetto e quindi vegetariano; poi è successo qualcosa che ha modificato la natura umana e Dio concede a questa nuova umanità, non più perfetta, una dieta adeguata.

Prima di capire cosa possa essere successo, è necessario fare una precisazione: gli autori di Genesi 1 e 9, i due capitoli in questione, erano sacerdoti israeliti vissuti nel VI secolo a.C.. All’epoca il popolo di Israele non era vegetariano; venivano consumati regolarmente sia carne, sia pesce. E questi autori non potevano certo aver conosciuto i primi uomini, vissuti centinaia di migliaia di anni prima. Ovviamente non si può neanche pretendere che una tradizione orale sopravviva per migliaia e migliaia di generazioni. Quindi la domanda è: perché degli autori onnivori hanno sentito il bisogno di scrivere che l’uomo perfetto, creato da Dio, fosse vegetariano?

La trasformazione

L’unica risposta possibile è che già 2500 anni fa, nel Vicino Oriente, si era raggiunto un alto livello di sensibilità e un grande rispetto verso ogni forma di vita. Gli autori, che pure uccidevano e mangiavano animali, si rendevano conto che c’era qualcosa di sbagliato in quel modo di alimentarsi. Avranno ragionato così: se il nostro intimo avverte qualcosa di disumano nell’uccidere un animale, significa che questo cibo non poteva far parte del disegno originale e perfetto di Dio. Il senso di colpa che provavano mangiando carne, non veniva avvertito quando si consumavano i vegetali. Ecco dunque spiegato come degli autori onnivori abbiano proiettato nel passato l’idea di un uomo perfetto e, quindi, vegetariano.

Ora rimane l’ultima domanda, che è fondamentale: come sono riusciti a giustificare una simile trasformazione dell’umanità? Nel senso: una volta compreso che l’uomo perfetto doveva essere vegetariano, quale peccato avrebbe potuto mutare così radicalmente la nostra natura?

I peccati ereditari

Prima di Genesi 9, quando Dio prende atto del cambiamento avvenuto (o che sarebbe avvenuto di lì a poco), vengono commessi diversi peccati ma solo due di questi avranno conseguenze sulla discendenza dei trasgressori.

Questo è un concetto che oggi rimane difficile da accettare: l’idea che il peccato di una persona possa avere conseguenze sui suoi figli, sui suoi nipoti, e così via. Eppure esistono diversi esempi di eventi simili. Pensiamo a una donna incinta che beve alcolici tutti i giorni: suo figlio nascerà con dei problemi di salute eppure è un bambino innocente. Il peccato della madre, in questo caso, ricadrà sul figlio. Oppure pensiamo a un uomo che non dimostra alcuna forma di affetto verso suo figlio e, anzi, lo picchia, magari senza un motivo. Il bambino crescerà con gravi disturbi psicologici e, con ogni probabilità, se riuscirà a trovare una donna con la quale formare una famiglia, sarà incapace a sua volta di insegnare una sana affettività a suoi figli. Ecco che il peccato di un uomo avrà ripercussioni nefaste non su una ma addirittura su due generazioni di innocenti.

Da sant’Agostino a Dubarle

Tutta la Bibbia parla continuamente di peccati ereditari. Già sant’Agostino se n’era accorto e, più recentemente, il grande teologo André-Marie Dubarle. Un peccato che ha modificato la natura umana, trasformando l’uomo da vegetariano a onnivoro, deve rientrare in questa categoria. Infatti i peccati non ereditari, come l’assassinio di Abele da parte di Caino, non potrebbero in alcun modo essere la causa di una mutazione dell’intera umanità.

I peccati ereditari commessi prima di Genesi 9, dicevamo, sono due: il famoso peccato originale e gli avvenimenti narrati in Genesi 6. Ho già trattato gli argomenti nel blog e quindi non posso che rimandare il lettore curioso ai rispettivi articoli: qui parlo della trasgressione di Adamo, qui degli accoppiamenti tra figli di Dio e figlie dell’uomo.

Due indizi

Rapporto uomo/animali

Per comprendere la natura di queste trasgressioni, la Genesi ci fornisce, oltre al cambio di dieta, altri importanti indizi. Il primo riguarda il rapporto tra gli uomini e gli animali. In Genesi 1,28 è scritto:

dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.

Per dominare non si deve intendere un dominio tirannico. Gli autori volevano semplicemente dire che l’uomo è ontologicamente superiore agli altri esseri viventi. Invece, in Genesi 9,2, il rapporto cambia:

Il timore e il terrore di voi sia in tutti gli animali della terra e in tutti gli uccelli del cielo.

È come se, dopo i peccati che hanno modificato la natura umana, gli animali si rendessero conto che l’uomo è diventato una specie pericolosa, come se istintivamente percepissero che l’uomo non è più in armonia col resto del creato, una scheggia impazzita in quello che una volta era il paradiso terrestre.

Genealogie

Il secondo indizio è rintracciabile in ampi brani che oggi si leggono con superficialità, come semplici elenchi privi di senso. Sto parlando delle genealogie. Quasi tutto il quinto capitolo della Genesi (sempre di tradizione sacerdotale) è occupato dalla genealogia dei discendenti di Set (figlio di Adamo). Ciò che dovrebbe colpire sono le età dei patriarchi che, in media, vivevano 900 anni. Ovviamente vale il discorso fatto sopra: gli autori non potevano conoscere l’età di questi personaggi e quindi, se le hanno inserite, lo hanno fatto per mandare un messaggio. Quale?

In Genesi 4 viene elencata la genealogia dei discendenti di Caino. Qui non viene specificata l’età dei patriarchi, evidentemente perché la longevità dei cainiti, a differenza di quella dei setiti, non era rilevante: i cainiti vivevano tanto quanto noi. Se invece i setiti vivevano 900 anni, significa che i setiti erano diversi da noi. I discendenti di Set avevano mantenuto quella perfezione originaria con la quale Dio aveva creato la prima coppia. Invece la stirpe di Caino aveva perso quella perfezione. Ecco qual è il messaggio che volevano passasse: il peccato originale di Adamo si era trasmesso solo a un ramo dell’albero genealogico. Com’è possibile?

Estinzione per ibridazione degli uomini perfetti

Tutto torna se si capisce cosa avevano in testa gli autori: Set era il figlio perfetto della prima coppia perfetta mentre Caino era il figlio ibrido che Adamo aveva procreato con una femmina sub-umana, quel serpente del giardino dell’Eden che, come dicono ormai da tempo i biblisti cattolici, non rappresentava il diavolo ma, appunto, una femmina di una specie inferiore, scimmiesca.

A questo punto ci ritroviamo l’umanità divisa in due tipologie: da una parte gli uomini perfetti e dall’altra gli uomini ibridi. Ecco chi sono i figli di Dio (setiti) e i figli dell’uomo (cainiti) che s’incrociano in Genesi 6. Si tratta di una seconda e definitiva ibridazione di massa al termine della quale Dio constaterà il cambiamento biologico di tutti i suoi figli creati perfetti e concederà loro di cibarsi anche degli animali.

In Genesi 10, infatti, viene presentata l’ultima genealogia, quella dei discendenti di Noè. Qui le età dei patriarchi diminuiscono progressivamente: da 900 fino a 100 anni. Gli autori descrivono, con questo metodo letterario, un reale fenomeno biologico a cui oggi viene dato il nome di estinzione per ibridazione.

Onnivori o vegetariani?

La tradizione sacerdotale voleva spiegare la causa della doppia natura umana e lo ha fatto servendosi, tra le altre cose, pure dell’aspetto alimentare: se da una parte l’istinto ci spinge a voler mangiare la carne, dall’altra la coscienza ci fa sentire in colpa perché sentiamo che è sempre sbagliato uccidere, che questa non può essere la nostra natura originaria.

Onnivori o vegetariani? Alla domanda che oggi scatena tante diatribe, la Genesi ha risposto 2500 anni fa: Dio ha creato l’uomo vegetariano ma a causa del peccato la morte è entrata nel mondo… Da allora siamo diventati onnivori.

Il lettore capitato qui per la prima volta potrebbe rimanere spiazzato, me ne rendo conto. Se così fosse, lo invito a leggere questo articolo nel quale spiego che, per gli autori sacri, era considerato una sorta di ibridazione anche l’accoppiamento tra un israelita e un cananeo, ritenuto alla stregua di una bestia. Per tale motivo, infatti, i matrimoni misti erano severamente proibiti e rientrano nella categoria dei peccati ereditari, dato che potevano dar vita a un figlio che l’Antico Testamento definisce mamzer (termine ebraico tradotto con bastardo).

Il peccato di Sodoma non fu l’omosessualità: un malinteso durato millenni

sodoma

Tutti conoscono (o pensano di conoscere) la biblica storia di Sodoma e Gomorra e quasi tutti sono convinti che la causa della distruzione sia stata l’omosessualità che veniva praticata dagli abitanti. Stiamo per vedere che non fu così…

Qual è stato il peccato di Sodoma? La sodomia, verrebbe subito da rispondere. Ed è la risposta corretta. Ma cosa significa esattamente sodomia?

Il discorso è abbastanza complesso e per esaurirlo in un articolo dovrò sintetizzarlo e semplificarlo (spero non troppo). Per chi fosse interessato ad approfondire, ho trattato l’argomento nel libro L’origine dell’uomo ibrido.

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Sodomia = rapporti omosessuali?

Il vocabolario Treccani definisce sodomia:

Termine che indica, nell’uso corrente, rapporti omosessuali tra individui di sesso maschile, mentre più propriam. indica ogni forma di rapporto sessuale per via anale, per cui si distingue una s. omosessuale e una s. eterosessuale.

Nell’uso corrente la sodomia indica i rapporti omosessuali e, proprio per questo motivo, nell’immaginario collettivo gli abitanti di Sodoma sono diventati tutti gay. Ma pure due eterosessuali possono peccare di sodomia. E non solo. Si può peccare di sodomia anche senza un partner umano.

Il famoso psichiatra e neurologo von Krafft-Ebing, autore di un classico sulla sessuologia (Psicopatia sessuale), scrive [Richard von Krafft-Ebing, Psicopatia Sessuale, rielaborazione del Dott. Alexander Hartwich, Edizioni Mediterranee, 1964, p. 85]:

Le relazioni sessuali fra persone e animali rientrano nella cosiddetta zoofilia. Questa degenerazione veniva chiamata un tempo sodomia.

Il dizionario etimologico conferma:

Peccato contro natura: da Sodoma, antica città della Palestina, in cui era praticata ogni sorta di lussuria.

Dunque i rapporti anali, omosessuali e non, rientrano sì nella sodomia ma non ne esauriscono il significato; la sodomia racchiude tutti i rapporti non finalizzati alla procreazione, in particolare se in vase indebito, in un orifizio illecito, compreso quello di un animale.

Chi erano gli abitanti di Sodoma?

I sodomiti, verrebbe subito da rispondere. Ed è la risposta corretta. Ma chi erano i sodomiti? Non può che dircelo la Genesi che nomina per la prima volta la nostra città in questo passo [Genesi 10,19]:

Il confine dei Cananei andava da Sidone in direzione di Gerar fino a Gaza, poi in direzione di Sòdoma, Gomorra, Adma e Seboìm fino a Lesa.

Quindi i sodomiti erano i cananei. I cananei sono i discendenti di Canaan. Canaan era il “nipote” di Noè. Nipote tra virgolette perché, come abbiamo visto in questo articolo, Canaan è il figlio di un incesto avvenuto tra Cam, figlio di Noè e la moglie dello stesso Noè. Presto vedremo che, anche nel racconto di Sodoma, viene narrato l’incesto tra Lot e le sue figlie. Ma proseguiamo per gradi.

La Genesi dice quale fu il peccato della città?

In Genesi 13,13 troviamo un’anticipazione che riguarda la perversione della città:

Ora gli uomini di Sòdoma erano malvagi e peccavano molto contro il Signore.

Da questa prima informazione generica è impossibile risalire ai peccati specifici che venivano commessi. Ed è evidente che non si accenni minimamente all’omosessualità.

Nel capitolo successivo [Genesi 14,2] leggiamo che alcuni re

mossero guerra contro Bera re di Sòdoma, Birsa re di Gomorra.

La Bibbia di Gerusalemme [pagina 48] nota a riguardo:

Il carattere fittizio del racconto è ravvisabile nei nomi dei re di Sòdoma e di Gomorra: Bera e Birsa sono i re «nella malizia» e «nella cattiveria», nuova allusione al peccato delle due città.

Malizia e cattiveria, neanche qui si parla di festini LGBT.

Prima di analizzare il racconto oggetto dell’articolo, troviamo l’ultima anticipazione in Genesi 18,20s:

Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».

Neanche qui si accenna minimamente all’omosessualità.

L’ultimo peccato dei sodomiti

Genesi 19 inizia così:

I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera.

La parola ebraica tradotta con angeli è malakim. Chi sono i malakim? Ho dedicato a queste figure un articolo che invito a leggere perché è propedeutico alla comprensione del ragionamento che sto per sviluppare.

Una cosa è certa: i malakim non erano degli angeli come li intendiamo noi oggi. E basta proseguire con la lettura del testo per dimostrarlo. Infatti i due malakim vengono accolti da Lot che li invita a dormire a casa sua, ma:

Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono attorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!».

Questo brano, se letto con superficialità, sembrerebbe contenere un riferimento al peccato di omosessualità. Ma analizziamolo meglio.

Ciò che dovrebbe richiamare la nostra attenzione è il fatto che Lot stia ospitando due angeli/malakim mentre i sodomiti chiedono: dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Come uomini? Non erano angeli? Se vi state ponendo questa domanda, vi ho sgamato: non avete letto l’articolo propedeutico sui malakim.

Se i due uomini ospitati da Lot fossero stati realmente due uomini, i sodomiti avrebbero palesemente dichiarato di voler commettere un peccato di violenza omosessuale. Ma il testo è chiaro: Lot sta ospitando due angeli/malakim, non due uomini.

Il vero peccato dei sodomiti, in un certo senso, è duplice: prima di tutto non hanno riconosciuto la divinità di quei personaggi e in secondo luogo ambivano addirittura a mescolare due realtà, quella divina e quella umana, che erano considerate distinte e dovevano rimanere separate.

Il vero peccato di Sodoma? Hybris

Nell’antica Grecia esisteva un tipo di peccato che, come vedremo, è molto simile alla trasgressione che volevano commettere i sodomiti: si tratta della hybris (υβρις). Era un peccato gravissimo. Esiodo, ad esempio, individua la causa della decadenza dell’umanità proprio nella hybris. Spesso viene tradotta con tracotanza, violenza ma si tratta di approssimazioni.

Secondo il professor Paolo Cipolla, tracotanza

è un modo, sicuramente approssimativo ma forse uno dei meno infelici, di rendere il termine greco hybris, che nella sua complessità polisemica indica propriamente qualsiasi azione o atteggiamento umano volto a trascendere i limiti imposti dalle leggi divine, commettendo crimini e violenze, spinti da eccessiva fiducia in se stessi. [La hybris di Serse nei Persiani di Eschilo fra destino e responsabilità, in Studia humanitatis, Saggi in onore di Roberto Osculati, a cura di Arianna Rotondo, Viella, 2011, p. 29]

Quali sono i personaggi mitici più carichi di hybris?

Tra i personaggi che il mito classico delinea come campioni di hybris figurano in particolare i centauri, caratterizzati da costumi assai brutali. La loro sconfitta da parte dei Lapiti nella Centauromachia simboleggia il trionfo della consapevolezza e della misura sulla barbarie più sfrenata e selvaggia. [Anna Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina, UTET, 1999, pp. 375-376]

I centauri erano degli ibridi e infatti il dizionario etimologico c’informa che ibrido deriva proprio dal greco ybris:

eccesso, violenza ed anche lascivia, lussuria, onde ybrizein, eccederei giusti confini, essere sfrenato, ed anche stuprare. Dicesi di animale nato da generanti dissimili, perché reputasi tale procreazione oltrepassare i limiti imposti dalla natura.

I lettori abitudinari del mio blog, a questo punto, avranno già fatto i loro collegamenti. Per alcuni teologi anche la trasgressione di Adamo può essere considerata un peccato di hybris. E la hybris poteva essere “trasmessa” alla stirpe del peccatore. In un prossimo articolo espanderò questi aspetti.

Il parallelo Sodoma/Diluvio

Finalmente siamo arrivati alla conclusione. La Bibbia di Gerusalemme [pagina 59] la butta lì così:

La storia di Sodoma, distrutta per il peccato dei suoi abitanti, può essere stata in origine un parallelo transgiordano al racconto del diluvio.

Alla luce delle considerazioni effettuate fin qui, possiamo evidenziare sei paralleli tra Genesi 67 e Genesi 19.

1 – Inizialmente Dio prende atto del peccato degli uomini:

DILUVIO: Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre.

SODOMA: Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave.

2 – Esistono però due famiglie di giusti che verranno salvate dall’imminente castigo divino, rispettivamente quella di Noè e quella di Lot:

DILUVIO: Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli.

SODOMA: Su, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città.

3 – Al peccato segue la punizione-distruzione:

DILUVIO: eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti.

SODOMA: quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore.

4 – Il peccato di Sodoma, che abbiamo appena analizzato, è speculare al peccato dei figli di Dio che scatenarono il Diluvio perché si erano uniti alle figlie dell’uomo. Un’altra mescolanza, un’altra ibridazione alla quale ho dedicato un articolo a parte.

5 – L’incesto finale. Come dopo il diluvio, a causa del vino, avviene un incesto tra i pochi sopravvissuti della famiglia di Noè, lo stesso identico incesto avviene a causa del vino tra i pochi sopravvissuti della famiglia di Lot.

Nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, come avviene dappertutto. Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così daremo vita a una discendenza da nostro padre.

6 – Come dall’incesto di Cam con sua madre nasce Canaan, capostipite dei maledetti cananei, così dall’incesto delle figlie di Lot nascono Moab e Ammon, capostipiti dei maledetti Moabiti e Ammoniti.

Mauro Biglino a La Zanzara dice cose scioccanti sulla prostituzione

mauro biglino

Dato che nel mio libro parlo abbondantemente dei culti cananei della fertilità (e quindi di prostituzione sacra) un lettore mi ha segnalato la puntata de La Zanzara che ha ospitato Mauro Biglino, il 13 aprile 2018.

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Secondo Mauro Biglino la Bibbia non condanna la prostituzione

Cruciani presenta Mauro Biglino come «professore e grande biblista» e gli chiede, questo è il senso: «Dato che il Papa ha detto che andare a prostitute è un atto criminale, il testo sacro fornisce le basi a questa affermazione?».

Mauro Biglino risponde che nel testo sacro è scritto «l’esatto opposto». Cruciani rilancia: «Quindi il Papa condanna la prostituzione ma, se andasse a leggere la Bibbia, la prostituzione è tutt’altro che condannata, o sbaglio?». E Biglino conferma: «Esattamente».

Che Cruciani ignori completamente il contenuto della Bibbia, non mi sorprende. Ma che a un «professore e grande biblista» sfugga un concetto centrale del Vecchio Testamento, mi lascia perplesso.

Nella Bibbia si parla spesso di prostituzione

La prostituzione rituale è in assoluto la seconda pratica più condannata (la prima è questa) di tutto l’Antico Testamento. Per accertarsene non serve leggere l’intera Bibbia o L’origine dell’uomo ibrido, basta andare sul sito bibbia.net (o qualsiasi altro portale che riporti i testi della Bibbia) e cercare «prostitu» (così troviamo tutti i passi in cui sono presenti le parole: prostituta, prostitute, prostituzione, ecc.).

Solo nel Vecchio Testamento otteniamo 103 risultati. Come mai così tanti? Semplice: nell’antico Vicino Oriente quasi tutti i popoli veneravano divinità della fertilità. Il motivo è che ci troviamo nella famosa mezzaluna fertile, un territorio nel quale l’agricoltura diede ottimi risultati e permetteva che grandi popoli venissero sfamati. All’epoca non si conosceva la biologia come la conosciamo oggi e l’esperienza di un piccolo seme che diventa un grosso albero pieno di cibi da mangiare veniva vissuta come un miracolo.

La prostituzione sacra

Fu a causa di un tale mistero che nacquero la dea della terra e il dio del cielo. La terra era vista come un grosso utero, che accoglieva il seme che gli uomini piantavano (tanto che ancora oggi si parla di Madre Terra); il cielo era il dio maschile che con le sue piogge fecondava la terra e faceva nascere la vita. Il rapporto cielo/terra era identico al rapporto uomo/donna: se quest’ultimo dava vita a un bambino, il primo produceva un vegetale; ma sempre di un accoppiamento si trattava.

Ed ecco che nacquero i riti magici di fertilità: mentre nelle religioni si chiede alla divinità, sperando di essere ascoltati ed esauditi, nella magia l’uomo obbliga il divino a piegarsi al suo volere, compiendo, appunto, i riti magici. In questo caso, per obbligare il cielo a fecondare ben bene la terra, cosa bisognava fare, secondo voi? Quale rito magico potevano essersi inventati? Esatto: l’orgia rituale e la prostituzione sacra.

I peccati di Israele

Quando gli israeliti arrivarono nella terra promessa, la terra di Canaan, vi trovarono i popoli cananei che erano devoti praticanti dei riti di fertilità: avevano i loro templi con le loro sacerdotesse (prostitute sacre) e lì passavano tanto tempo a pregare… E indovinate quale simbolo veniva utilizzato per rappresentare la fertilità? Il serpente (… sì, esattamente quel serpente!).

Tutto il Primo Testamento parla degli israeliti che erano tentati dall’abbandonare la religione di Yahweh per seguire i culti libertini di Canaan. E in tutti i libri si parla della prostituzione, di quanto Yahweh non la sopportasse e delle volte che il popolo d’Israele ha peccato, finendo per seguire i riti di fertilità.

Ma il fatto che gli israeliti abbiano peccato più di una volta, nel corso di secoli, non significa che nella Bibbia è scritto che la prostituzione vada bene. Affermare ciò che ha affermato Biglino è come dire che la chiesa cattolica è favorevole alla pedofilia, dato che ci sono dei preti pedofili.

Alcune citazioni

Comunque vi invito a leggere i 103 passi; poi ditemi se certe affermazioni, in una delle trasmissioni radio più seguite d’Italia, non lasciano perplessi anche voi.

Qui ne riporto solo alcuni, giusto per chi non ha tempo/voglia di andare a leggerli tutti.

Non fare alleanza con gli abitanti di quella terra, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te [Esodo 34,15]

E il testo continua:

Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie, altrimenti, quando esse si prostituiranno ai loro dèi, indurrebbero anche i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi. [Esodo 34,16]

Non profanare tua figlia prostituendola, perché il paese non si dia alla prostituzione e non si riempia di infamie. [Levitico 19,29]

Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, disonora suo padre; sarà arsa con il fuoco. [Levitico 21,9]

Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele. [Deuteronomio 23,18]

Non porterai nel tempio del Signore, tuo Dio, il dono di una prostituta né il salario di un cane (cane = sacerdote maschio che si prostituiva), qualunque voto tu abbia fatto, poiché tutti e due sono abominio per il Signore, tuo Dio. [Deuteronomio 23,19]

Purtroppo sono pochissime le persone che hanno letto la Bibbia e quindi chiunque può permettersi di dire qualsiasi cosa, tanto chi ascolta non ha gli strumenti per replicare.

Il Rabbino capo d’Israele cita il Talmud: «Neri come scimmie» e conferma un importante concetto

La notizia, com’era prevedibile, ha scatenato polemiche a livello mondiale. In Italia è stata riportata da Il Giornale e dall’Huffpost, solo per citarne due.

Protagonista della triste vicenda è Yitzhak Yosef, rabbino capo degli ebrei sefarditi di Israele, che, in un sermone, ha paragonato le persone di colore a delle scimmie.

A denunciare per primo il sermone razzista è stato il sito ebraico Ynet. Il Giornale scrive:

Il suo entourage lo ha difeso spiegando che la citazione era presa da un passo del Talmud, il testo sacro considerato fondamento e base della legge ebraica.

Sul sito Ynet non si parla solo di scimmie ma pure di “sub-umani“. Non so quale trattato del Talmud abbia citato il rabbino ma sapevo già che nel Talmud venivano affrontati argomenti simili.

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La pessima uscita del rabbino dimostra che i testi antichi non possono essere citati come se fossero stati scritti ieri. Se sono antichi ci sarà un motivo, no? Quello che oggi è giustamente considerato razzismo, migliaia di anni fa poteva essere la normalità. Nel corso delle mie letture mi sono imbattuto in numerosi studiosi che facevano notare la stessa cosa: quasi tutti i popoli antichi hanno avuto la tendenza a considerare umani solo se stessi, a discapito dei popoli limitrofi.

Giusto per correttezza, ne cito uno (non il più importante ma solo il primo che sono riuscito a ritrovare):

In una società unirazziale vi sarà poco stimolo a considerare creature di aspetto molto diverso come «uomini» o partner nell’accoppiamento.

[…] il genere umano può suddividersi in specie distinte che non si considerano reciprocamente «uomini». [Bjorn Kurten, Non dalle scimmie, Einaudi, 1972, pagina 132]

La Bibbia ebraica, che noi conosciamo come Antico Testamento, è stata scritta proprio in un periodo nel quale i popoli non si consideravano reciprocamente uomini. Quindi non si può citare il Talmud (che si rifà alla Bibbia ebraica) senza tener conto di questa concezione.

Non solo: come cerco di dimostrare in tutto il mio libro L’origine dell’uomo ibrido, è possibile che due/tremila anni fa, proprio nel Vicino Oriente, convivessero popolazioni dai tratti più “moderni” e popolazioni dai tratti più “neanderthaloidi”. Se la mia ipotesi fosse esatta, il famoso divieto dei matrimoni misti non rappresenterebbe più una proibizione “razzista” ma rientrerebbe nel fenomeno che i biologi evoluzionisti chiamano “investimento parentale”.

Insomma, per comprendere il vero senso di un testo antico, non possiamo prenderlo alla lettera come fanno i fondamentalisti: dobbiamo sempre contestualizzarlo e cercare di leggervi ciò che ci avrebbero letto gli antichi autori.

Vi lascio a due paginette del mio libro (capitolo 5) nelle quali analizzo due passi di due trattati del Talmud: Kilayim (misture, miscugli, mescolanze, confusione) e Pesachim (Pasque). Buona lettura!

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Il Kilayim è composto da nove capitoli in cui viene descritta ogni possibile combinazione tra tipi diversi, per quanto riguarda i semi, gli innesti tra piante, gli incroci animali, il lavoro con le bestie da traino e gli indumenti composti da più tessuti. Vi si specifica ciò che è consentito e ciò che non lo è, e le rispettive punizioni da applicare ai trasgressori. Leggendolo si ha la sensazione che gli ebrei dovessero essere terrorizzati dai miscugli. Nel penultimo capitolo, nella quinta mishnah (insegnamento), compaiono degli strani esseri chiamati wild man-like creatures, letteralmente: creature simili a uomini selvaggi. La nota 23 dei traduttori riporta il termine originale ebraico e spiega: «Forse uno scimpanzé o un gorilla […] Alcune versioni rendono “uomo delle montagne”». Inizialmente la mishnah sembra considerarli degli animali: «creature simili a uomini selvaggi sono considerati come appartenenti alla categoria degli hayyah» perché la nota 9 c’informa che per hayyah s’intendono, in questo trattato, dei non meglio specificati animali da caccia. Però poco più avanti leggiamo: «Quando sono morti, i loro cadaveri trasmettono impurità agli uomini e agli oggetti sensibili che si trovano sotto lo stesso tetto, così come i cadaveri degli esseri umani». La nota 26 chiarisce: «Significa che le creature alle quali ci si riferisce sono ritenute come appartenenti alla specie umana». Ci troviamo di fronte a un rompicapo: questa creatura ambigua è considerata un essere umano ma allo stesso tempo un selvaggio, qualcosa di simile a uno scimpanzé o a un gorilla. L’originale ebraico è השדהאדני (adonay sadeh), reso con signore del campo, signore della terra o signore della steppa. Sempre all’interno dello stesso capitolo del Kilayim troviamo un’altra creatura, chiamata in ebraico behemah. La versione inglese la lascia così, senza tradurla, perché anche in questo caso non c’è un termine che possa renderla perfettamente. Nel Primo Testamento ricorre 190 volte e, di solito, è tradotta con bestia, animale, bestiame. Una sola volta compare il suo plurale: behemoth, in un famoso e problematico passo del libro di Giobbe (40,15-24) nel quale è stata tradotta, in maniera abbastanza fantasiosa, con ippopotamo. Fortunatamente la Bibbia di Gerusalemme aggiunge nella nota: «ippopotamo: behemoth è il plurale di una parola che significa “bestia”, “bestiame”. Tale forma può designare sia la bestia che il bruto per antonomasia».

C’è un altro trattato del Talmud che potrebbe aiutarci a fare un pochino di chiarezza. Leggiamo sul Pesachim (Pasque):

I nostri rabbini hanno insegnato: lasciate sempre che un uomo venda tutto ciò che ha e sposi la figlia di uno studioso. Se non trova la figlia di uno studioso, che sposi la figlia di uno dei grandi uomini della sua generazione. Se non trova la figlia di uno dei grandi uomini della sua generazione, che sposi la figlia del capo della sinagoga. Se non trova la figlia del capo della sinagoga, che sposi la figlia di un tesoriere di beneficenza. Se non trova la figlia di un tesoriere di beneficenza, che sposi la figlia di un maestro di scuola elementare, ma non lasciate che sposi la figlia di un membro del popolo della terra (am ha-arez) perché sono detestabili e le loro mogli sono parassite, e delle loro figlie si dice: maledetto chi giace con qualsiasi tipo di bestia.

Quest’ultima frase, come c’informa la nota 4 dei traduttori, è una citazione del Deuteronomio (27,21): «Maledetto chi giace con qualsiasi bestia (behemah)!». Tutto il popolo dirà: «Amen»». La parola bestia, in ebraico, è behemah ed evidentemente gli antichi rabbini non l’associavano, almeno in certi casi, solo a semplici animali. Secondo il Talmud, dunque, la behemah è la figlia della moglie di un membro del popolo della terra e quindi si suppone che il termine non si riferisca a un animale ma a un essere umano, una donna, forse una donna bestiale, selvaggia ma una donna. Infatti l’accenno al popolo della terra non può che far tornare in mente quel signore della terra che abbiamo incontrato nel trattato Kilayim, creatura a metà tra un uomo e un animale (gorilla o scimpanzé) che viene definito simile a un wild man, a un uomo selvaggio. Il popolo della terra rappresenterebbe l’insieme di queste persone bestiali, selvagge…

I figli di Dio e le figlie degli uomini: chi erano e cosa succede in Genesi 6?

Il brano è famosissimo:

i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. [Genesi 6,2]

Ma cosa significa? Perché gli autori hanno sentito il bisogno di dividere l’umanità in due categorie?

Nelle puntate precedenti, abbiamo visto qual è stato lo scandaloso peccato di Cam, poi abbiamo anticipato che tutta la storia che ruota attorno al diluvio e alla trasgressione del figlio di Noè è praticamente identica a quella che ruota attorno a Sodoma e al peccato delle figlie di Lot. Per analizzare nel dettaglio questo parallelo che rivelerà un colpo di scena, erano necessarie due premesse: capire chi fossero i malakim che distruggeranno Sodoma (e lo abbiamo capito qui) e capire chi sono i bene ha Elohim, i figli di Dio che scateneranno il diluvio (e lo capiremo adesso).

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Angeli caduti, alieni, divinità, oppure…

Esistono diverse interpretazioni del brano in questione. Le tre più importanti, a mio avviso, sono queste (a cui aggiungo una quarta, molto in voga negli ultimi anni):

  1. i figli di Dio erano angeli zozzoni che si sono accoppiati con le figlie degli uomini che erano semplicemente delle donne;
  2. è solo l’eco di un mito, simile alle storie delle divinità greche che generano semidei unendosi con gli umani;
  3. i figli di Dio erano la discendenza di Set e le figlie degli uomini la discendenza di Caino;
  4. i figli di Dio sono extraterrestri che si sono accoppiati con le le figlie degli uomini che erano semplicemente delle donne.

Alieni, divinità, angeli caduti: si è detto di tutto. Come trovare una soluzione all’enigma? La logica e qualche informazione  di carattere storico potrebbero aiutarci.

La Genesi è il primo libro della Bibbia. La Bibbia è un’insieme di libri e di brani scritti in periodi diversi. Non tutti sanno, ad esempio, che il primo capitolo della Genesi è stato scritto nel VI secolo a.C. mentre i capitoli 2, 3 e 4 nel X secolo a.C.. Com’è possibile che il capitolo 1 sia stato scritto 400 anni dopo il capitolo 2? Semplice: si trattava di racconti indipendenti che, a un certo punto, i redattori finali hanno messo insieme dando alla Genesi (e alla Bibbia) la forma che è giunta fino ai nostri giorni.

I redattori finali, in alcuni casi, avranno dovuto modificare e adattare brani indipendenti per dare loro una parvenza di continuità. Ovviamente non ci sono sempre riusciti alla perfezione e quindi la Bibbia rimane un libro unico nel suo genere: noi siamo abituati a leggere libri scritti da un solo autore in pochi mesi o in pochi anni. La Bibbia è un insieme di libri scritti da centinaia di autori nell’arco di un millennio. Immaginiamo il lavoro allucinante dei redattori finali: un po’ come se noi dovessimo prendere migliaia di brani, i più antichi dell’anno 1000 d.C., i più recenti scritti ieri, e assemblarli per dare vita a una storia sequenziale, che parli del senso della vita e che, nel limite del possibile, non si debba contraddire… Mica è un lavoro da poco!

Comunque, il punto da tenere presente è che sono stati i redattori finali a inserire la storia dei figli di Dio e delle figlie dell’uomo all’inizio del capitolo 6 di Genesi. Questi redattori non erano degli psicopatici che inserivano brani a caso: se l’hanno messo lì, è perché loro ci vedevano una continuità con ciò che era stato inserito precedentemente. Ed eccoci arrivati a scoprire l’acqua calda: per comprendere il senso del capitolo 6 di un libro (che sia la Genesi o Il codice Da Vinci poco importa), bisogna sapere cosa c’è scritto nei primi cinque capitoli che lo precedono.

Mezzo articolo per spiegare questa banalità? Eh sì, perché tre delle quattro possibili interpretazioni del nostro brano enigmatico, sono da scartare sulla base di questa considerazione logica. I primi 5 capitoli di Genesi non parlano da nessuna parte né di angeli, né di alieni, né di divinità (in stile greco).

I figli di Dio, il Gatto e la Volpe

Immaginiamo di non aver mai letto la fiaba di Pinocchio e un giorno ci capiti in mano il libro di Collodi: apriamo una pagina a caso e leggiamo che si parla di due truffatori che si stanno prendendo gioco del povero burattino. Urca! Chi saranno mai? Bonnie e Clyde? Lupin e Jigen? La fata Turchina e Geppetto?

Possiamo ipotizzare le interpretazioni più fantasiose e tutte avrebbero lo stesso valore, ossia zero. Solo leggendo il nostro libro dall’inizio scopriremo la soluzione e cioè che quei due truffatori sono il Gatto e la Volpe.

Torniamo alle due stirpi di Genesi 6 e chiediamoci: è possibile trovare riferimenti a stirpi distinte nei capitoli precedenti? La risposta è: decisamente sì. Prima di tutto se ne parla in Genesi 2-3, nel racconto del “peccato originale”, come abbiamo già visto qui.

Dopo la trasgressione di Adamo, Dio si rivolge al serpente e dice:

Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe. [Genesi 3,15]

In maniera esplicita si parla di due stirpi distinte, la stirpe della donna e la stirpe del serpente. Che siano l’equivalente dei figli di Dio e e delle figlie dell’uomo? Cerchiamo altri indizi.

In Genesi 4, Caino uccide Abele e poi viene elencata la genealogia di Caino [4,17-22]. Subito dopo viene introdotta la discendenza di Set:

Adamo di nuovo conobbe sua moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set. «Perché – disse – Dio mi ha concesso un’altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso». [Genesi 4,25]

Il capitolo 5 inizia così:

Questo è il libro della discendenza di Adamo. [Genesi 5,1]

E prosegue elencando la genealogia di Set.

Attenzione: come mai nel capitolo precedente i discendenti d Caino non sono stati presentati come discendenti di Adamo? Che differenza c’è tra la stirpe di Caino e quella di Set? Ci risponde il capitolo 5:

Nel giorno in cui Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati. Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua immagine, secondo la sua somiglianza, e lo chiamò Set. [Genesi 5,1-3]

Questo è un passo fondamentale: se lo comprendiamo, capiremo chi sono i figli di Dio e le figlie dell’uomo.

Adamo era un figlio di Dio

Prima di tutto ci viene riproposta la famosa formula di Genesi 1,26 e ci viene spiegato cosa fosse questa immagine e somiglianza che l’uomo aveva con Dio. Adamo, che è il padre di Set, lo genera a sua immagine e somiglianza; per analogia Dio doveva essere considerato come il padre di Adamo, dato che lo genera a sua immagine e somiglianza. E se Dio era il padre di Adamo, Adamo era un figlio di Dio.

Questa concezione rimarrà invariata per secoli. dato che ancora Luca, nel suo Vangelo, elenca ripercorre la genealogia di Gesù fino ad Adamo:

Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Mattat, figlio di Levi, […] figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio. [Luca 3,23-38]

Per Luca, Adamo era figlio di Dio, lo scrive esplicitamente. E Adamo era un figlio di Dio perché, abbiamo visto, a immagine e somiglianza di Dio. Ma dato che Adamo genera Set a sua immagine e somiglianza, ne segue che Set fosse anche a immagine e somiglianza di Dio e quindi anche Set era un figlio di Dio.

Infatti se A (Dio) = B (Adamo) e B (Adamo) = C (Set), allora A (Dio) = C (Set). E lo stesso ragionamento vale per tutti i discendenti di Set. Ecco svelato chi sono i figli di Dio del capitolo 6: la stirpe di Set.

C’è anche un altro particolare rivelatore: Genesi 5 ‘informa che Adamo generò UN figlio a sua immagine e somiglianza e lo chiamò Set. Ma all’epoca Adamo aveva generato anche un altro figlio, Caino. Perché si parla di UN SOLO figlio a immagine del padre? A immagine di chi era stato generato Caino?

Nel libro L’origine dell’uomo ibrido, mi soffermo molto su questo aspetto. In un articolo non posso fare altrettanto e quindi mi accingo alla conclusione.

Dopo il capitolo 3 in cui si parla di due stirpi, il capitolo 4 in cui si parla dettagliatamente della discendenza di Caino, il capitolo 5 in cui si parla dettagliatamente della discendenza di Set, arriva il capitolo 6 che inizia così:

i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta.

Come abbiamo visto, i figli di Dio erano i discendenti di Set e quindi le figlie degli uomini non potevano essere altro che le donne della discendenza di Caino.

Il testo è chiaro e solo non leggendo (o non comprendendo) i capitoli precedenti si possono avere dubbi a riguardo. Gli autori hanno cercato di concentrare tutta l’attenzione del lettore, fino al capitolo 5, nella distinzione dell’umanità in due categorie. E nel capitolo 6 queste due categorie si mescolano.

L’ibridazione tra le due stirpi sarà considerata un peccato, il più grave dei peccati, dato che scatenerà la più grande delle punizioni: il diluvio universale.

Perché era considerato un peccato che i setiti si mescolassero coi cainiti? E perché c’è un’analogia tra tali accoppiamenti e quelli di cui si parla nel racconto di Sodoma? A queste domande risponderò nel prossimo articolo.

Grazie per avermi dedicato il tuo tempo! 🙂

Genetista di fama internazionale: «Gli scimmioni derivano dall’uomo, non il contrario»

Giuseppe Sermonti è stato docente universitario di Genetica dal 1964, dapprima a Camerino, poi a Palermo e infine a Perugia, dove, dal 1974 al 1986, ha diretto l’Istituto di Genetica. È stato per tre anni presidente dell’Associazione Genetica Italiana e vicepresidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica tenutosi a Mosca nel 1978. In questo periodo fu nominato direttore dell’International School for General Genetics del Centro Ettore Majorana e successivamente direttore responsabile dei corsi quadriennali di Microbial Breeding, presso l’International School for General Genetics.

Il professor Sermonti è uno degli scienziati che ho citato nell’ultima presentazione del libro Lorigine dell’uomo ibrido ad Andria, di cui vi propongo un estratto che in rete sta accendendo un po’ di discussioni… Subito dopo troverete l’articolo di Sermonti, Dopo l’uomo la scimmia, pubblicato sul sito Airesis, sito che purtroppo non viene più aggiornato dal 2007 ma che possedeva un comitato scientifico come questo.

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Dopo l’uomo la scimmia

Evoluzionismo ed antievoluzionismo: il Peter Pan dei primati

Giuseppe Sermonti – scrittore, saggista, già docente di genetica all’Università di Perugia.

Il cervello ha un grande volume nel feto, e si riduce, in rapporto al corpo, con la crescita. Un grande cervello è un carattere infantile. Nella foto, un feto umano di sette settimane.

La teoria evoluzionista, che fa discendere l’uomo dalla scimmia, ha confinato nel regno delle favole l’antropologia biblica, che vuole l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Eppure i dati delle più recenti ricerche della paleontologia e della biologia molecolare sembrano indicare la grande antichità dell’uomo e il carattere secondario e derivato degli scimmioni africani. Riacquistano così significato le antiche mitologie, nelle quali l’animalesco trae le sue origini dall’umano.

La cultura occidentale si trova da oltre un secolo, di fronte ad una doppia antropogonia. Nella tradizione biblica l’uomo è creato direttamente dal Signore, a sua immagine e somiglianza. A questa antropogonia se ne sovrappone un’altra, di origine scientifica, secondo la quale l’uomo emerge dalla bestialità scimmiesca, per il gioco delle leggi di natura, senza bisogno del Signore. Si tratta di un’interpretazione di tipo gnostico che vede la creazione iniziale come l’atto malvagio di un demiurgo, e l’emergenza dell’uomo come un processo di liberazione dal male attraverso la conoscenza. [E. Samek Ludovici, La gnosi e la genesi delle forme, rivista di biologia 74 (1-2) pp. 55-86, Perugia 1981]

L’interpretazione biologica ha guadagnato sempre più credito e l’uomo moderno è invitato a considerare l’antropogonia biblica come una favola, o come una metafora o come un raccontino per l’ingenuità dei primitivi.

Nello stesso momento, poiché l’uomo ha bisogno di confortare con significati e valori la propria origine, si è attuata una mitizzazione dell’origine bestiale dell’uomo, con la conseguente riformulazione di tutte le nostre giustificazioni e speranze. [J. R. Durant, Il mito dell’evoluzione umana, Rivista di Biologia, 74 (1-2-) pp. 125-151, Perugia 1981]

A questo punto si deve dire che l’antropogonia biologica, lungi dall’essere una realtà scientificamente comprovata, è uno dei capitoli più oscuri ed equivoci della nostra scienza moderna, e che l’origine scimmiesca degli uomini è stata sostenuta contro ogni prova neontologica e paleontologica. I risultati più recenti concordano nell’escludere una derivazione dell’uomo dalle scimmie ominidi attuali (scimpanzé, gorilla, orango) o passate, e presentano piuttosto gli scimmioni come specie derivate, recenti e senza futuro biologico. [G. Sermonti La luna nel bosco: saggio sull’origine della scimmia, Rusconi, Milano 1985]

Primitività dell’uomo.

Contrariamente a quanto Darwin affermava e a quanto comunemente si crede, l’uomo non si distingue dalle altre specie di primati per essere particolarmente evoluto e specializzato. All’opposto, così come i primati rappresentano un gruppo primitivo tra i Mammiferi, l’uomo rappresenta una specie primitiva all’interno dei Primati.

Confronto tra i crani fetali e adulti di scimpanzé e di uomo.
Il cranio scimmiesco adulto è molto più alterato nelle proporzioni di quello umano.

La grandezza del cervello umano è stata presa a misura della evoluzione della nostra specie. Il valore di questo dato ponderale è molto discutibile. Se fosse il peso assoluto del cervello a segnare l’intelligenza, la balena e l’elefante ci supererebbero di molto. Se, come pare più giusto, si dovesse valutare il peso cerebrale in relazione al peso del corpo, lo scoiattolo saimiri, il tursoide, il topolino e la tupaia avrebbero più intelligenza di noi. Nello scoiattolo saimiri il cervello rappresenta l’8% del corpo, nell’uomo il 2%. Il grosso cervello è carattere di tutti i primati e si trova in particolare in quelli considerati più primitivi (tursiope, tupaia). [R. Holloway, I cervelli degli ominidi fossili in Gli antenati dell’uomo, Le Scienze, quaderno 17 ottobre 1984]

Nel neonato umano il peso relativo del cervello è quasi il 10% del peso corporeo e nel neonato di scimpanzé pressappoco lo stesso. Un valore enorme rispetto al 2% che l’uomo raggiungerà nella maturità.

Il grosso cervello (per quel che conta) è un carattere primitivo e infantile, e non una caratteristica tardiva e adulta.

Quasi tutti gli altri caratteri umani hanno una configurazione primitiva e originaria, sono cioè vicini alle conformazioni tipiche dell’ordine e presenti nei più antichi Primati fossili. Il cranio sferoidale, senza creste o arcate prominenti, è un tratto primitivo, così come i piccoli denti bassi e regolari, senza canini emergenti, che si osservano nel driopiteco (10 milioni di anni fa) e nel ramapiteco (15 milioni di anni fa).

La mano umana ha l’architettura primitiva della mano dei tetrapodi. Le cinque lunghe e dritte dita chiudono una serie magica, 1.2.3.4.5., ovvero, radio+ulna, tre+quattro ossicini del metacarpo, cinque ossa del carpo che si continuano nelle falangi. Il piede presenta la plantigrada tipica dei mammiferi più primitivi, mettendo al suo servizio una perfetta integrità strutturale, con la stessa serie 1.2.3.4.5. della mano. Il parallelismo delle falangi del piede è presente nell’embrione di quasi tutti i primati, mentre il distacco dell’alluce è carattere che interviene solo al termine dello sviluppo embrionale degli scimmioni.

La stazione eretta (cui la paleontologia assegna la venerabile età di 5-6 milioni di anni) è anch’essa un tratto primitivo. Essa comporta una base del cranio arrotondata e aperta in un forame occipitale centrale, articolato su un collo verticale. Questa è la condizione che preserva più integro l’allineamento delle vertebre e la sfericità del cranio, che sono caratteri embrionali. L’appoggio sulle nocche degli scimmioni e la stazione quadrupede comportano la torsione della nuca, l’arretramento del forame occipitale e la costrizione della base cranica. Durante lo sviluppo embrionale dei Primati il forame occipitale, inizialmente centrale, migra posteriormente. [M Westenhöfer, Die Grundlagen meiner Theorie von Eigenweg der Menschen, Carl Winter, Heidelberg 1948]

Tutti i caratteri che abbiamo menzionato collegano l’uomo all’embrione proprio e degli altri Primati, e lo indicano come specie giovanile e primigenia, spostandone la comparsa lontanissimo nel passato, oltre la testimonianza, pur impressionante, dei reperti fossili portati alla luce negli ultimi venti anni. Mentre nel 1960 si attribuiva al genere Homonon più di mezzo milione di anni, nel 1980 le datazioni di fossili del nostro genere hanno raggiunto i quattro milioni di anni.

Non tenterò un esame, neppure sommario, dei fossili degli ominidi africani, se non per ribadire che essi testimoniano la grande antichità della stazione eretta. E’ mia convinzione, come quella di autorevoli paleoantropologi, che essi non siano i nostri ascendenti, ma rami laterali di un cespuglio dalla base del quale è emersa la nostra forma. [E. Genet-Varcin, Problèmes de Philogénie chez les hominidés d’un point de vue morphologique , Ann. Paleont. Vértébrés, 61 (“) pp. 211-233, 1975 e S. J Gould, Questa idea della vita, Editori Riuniti pp. 48-554, Roma 1984]

Fossili di scimmioni del tipo dello scimpanzé, del gorilla e dell’orango, benché a lungo cercati, non sono mai stati trovati. Queste forme sono, per quanto ne sappiamo, molto più recenti della forma umana e attribuire il ruolo di nostri ascendenti ad essi o a forme ad essi simili (come voleva Darwin) è trasformare quello che fu un errore scientifico in un falso scientifico.

Molecole e cromosomi

Lo sviluppo della biologia molecolare a partire dagli anni sessanta ha consentito il confronto biochimico tra le specie viventi.. Attraverso un criterio obiettivo di valutazione è divenuto possibile definire la “vicinanza biochimica” tra le specie. Specie giudicate lontane dai sistematici risultarono biochimicamente lontane, specie vicine risultarono biochimicamente molto simili. Confrontando i dati biochimici con quelli paleontologici fu anche possibile trasformare le distanze molecolari in tempi storici.

La Forma umana è inscrivibile nel cerchio e nel quadrato (Leonardo). Al confronto la povera forma scimmiesca appare sproporzionata e deforme.

Si postulò una costanza del ritmo di mutazione nel tempo, si calcolò (per varie proteine) il tempo medio richiesto per una singola modificazione, e si riuscirono così a calcolare, su base molecolare, i tempi di divergenza, cioè le epoche in cui due specie in esame avevano cominciato a registrare nelle loro molecole modifiche indipendenti, avevano cominciato a differenziarsi biochimicamente. [R. E. Dickerson, Struttura e funzione di un ‘antica proteina, Le Scienze, 47, Luglio 1972]

Una delle più sconcertanti risultanze della comparazione molecolare fu la incredibile vicinanza tra l’uomo e gli scimmioni africani. Tradotta in milioni di anni, secondo i principi del cosiddetto “orologio molecolare”, la divergenza tra uomini e scimpanzé risultò di 1,3 milioni di anni, [M. Goodman, in “Progr. Biophys. Molec. Biol”, 38, pp. 105-164, 1981] una data che fu poi corretta a 4-5 milioni di anni. Si trattava, comunque, d’un epoca inferiore alle più antiche documentazioni fossili relative ai primi ominidi (5-6 milioni di anni) in contraddizione con l’idea che gli ominidi derivassero dagli scimmioni.

Un’analisi più sottile delle modificazioni molecolari successive alla divergenza tra uomini e scimmioni rivelò un’altra situazione inattesa. Le modifiche erano state molto più numerose sulla linea scimmiesca che sulla linea umana. Ciò corrispondeva alla constatazione che l’ascendente comune tra uomo e scimmioni aveva una struttura molecolare molto vicina a quella dell’uomo moderno.

Sia anatomicamente che molecolarmente l’uomo risultava il Peter Pan tra i Primati, cioè la specie che non si trasformava nel tempo, il bambino che non voleva crescere. [A. R. Templeton Phylogenetic inference from restriction endonuclease cleavage site maps… in Evolution 37, pp. 221-244, 1983]

I citologi, cioè gli studiosi dei cromosomi, comparando le mappe cromosomiche di uomo, scimpanzé e gorilla raggiunsero, indipendentemente, la stessa conclusione. L’ascendente comune di uomini e scimmioni aveva cromosomi virtualmente uguali a quelli dell’uomo moderno. Anche i citologi raggiunsero la conclusione che uomini e scimmie erano derivati da un proto-uomo, il che significava, in parole semplici, che la figura umana aveva preceduto quella scimmiesca. [J. J. Junis, O. Prakash, The origin of man: a chromosomal pictorial legacy, Science, 215, pp. 1525-30, 1982]

I dati molecolari e citologici hanno sostanziato dunque quello che i dati anatomici e paleontologici avevano indicato. La grande antichità dell’uomo, il carattere primario della nostra specie rispetto al carattere secondario e derivato degli scimmioni africani.

Pan e Satana

La caduta dell’umano nell’animalesco è un avvenimento di così grande drammaticità che ci dobbiamo attendere di trovarne una traccia nelle categorie del nostro spirito, una menzione nelle nostre mitologie. Un esame della mitologia greca e della storia sacra cristiana ci confronta subito con la narrazione della caduta in varie versioni, di cui mi limiterò a citare le due più importanti, che rappresentano due momenti cruciali nella religione olimpica e nelle religioni monoteistiche derivate dall’ebraismo.

Il cranio di un giovane gorilla tra i crani di quattro adulti. Si noti l’aspetto “umano” del cranio infantile. D questo confronto si sviluppò nelgli anni Venti l’ipotesi che l’uomo fosse una forma giovanile-generalizzata-originaria e gli scimmioni fossero forme senili- sspecializzate- derivate. (Museo di Storia Naturale di Salisburgo)

Un mito narra dell’unione del Dio Hermes, l’angelo dei greci, con una ninfa figlia di Driope. Dall’unione nasce un bambino-animale, un essere mezzo uomo e mezzo capro, che il padre porterà in Olimpo, dove sarà assunto alla divinità col nome di Pan. [K. Kereny, Dei ed Eroi della Grecia, vol.1 pp. 162-164, Garzanti, Milano 1976] Pan è il dio dei boschi e delle balze montane, inseguitore di ninfe, suonatore di flauto, custode del riposo meridiano, generatore della follia, dell’incubo, del panico. Questo dio-satiro assunse un ruolo centrale nell’Olimpo ellenico, e rappresenta il lato oscuro, selvaggio, passionale dell’uomo, una condizione estrema del dionisismo, all’opposto della distaccata purezza di Apollo. Nella storia sacra cristiana incontriamo una figura iconograficamente identica al Pan greco: Satana, il diavolo.

Questo satiro, che nella nostra religione non ha nessuna delle qualità gioiose e divine di Pan, è pura malvagità, è la raffigurazione del male assoluto. Anch’esso ha origine da una figura umana, da un a arcangelo arrogante che è punito da Dio e precipitato nel basso e nell’animalesco con tutta la sua razza. Nei bestiari proto-cristiani l’animalesco non è rappresentato dal capro, ma dalla scimmia, e precisamente dalla scimmia umanoide, priva della coda. Scrive il Physiologus (II-IV sec.) “…la scimmia è un immagine del demonio: essa ha infatti un principio, ma non una fine, cioè una coda, così come il demonio in principio era uno degli arcangeli, ma la sua fine non  si è trovata”. [Il Fisiologo, trad. it, Adelphi, Milano 1975]

I primi bestiari cristiani sono probabilmente di origine africana (egiziana) e si deve pensare che portino testimonianza di una tradizione primordiale, nella quale la scimmia derivata dall’umano appare come un simbolo fondamentale della storia sacra. L’origine dell’uomo dalla scimmia asserita da Darwin, oltre a contraddire una serie di prove naturalistiche, ribalta il fondamento della nostra sacralità, ponendo il male, sotto forma di scimmia, all’origine, e il bene come emancipazione dalla creazione primigenia. L’uomo razionale si salva da un cattivo demiurgo creatore.

Nella nostra tradizione, al contrario, è l’uomo che introduce il male nel creato, e la sua redenzione, ad opera del Dio fatto uomo, rappresenta un ritorno alla purezza originaria.

ALCUNI COMMENTI ALL’ORIGINE DEGLI SCIMMIONI DALL’UOMO

Anche se scimmia e uomo hanno comune radice…questa è però…non la forma scimmiesca ma quella umana. L’espressione volgare, se si devono usare queste formule, dovrebbe suonare così: “la scimmia deriva dall’uomo”…
Max Westenöfer (1926) Heidelberg 1948

Gli ominidi non discendono dalle scimmie antropoidi, piuttosto gli scimmioni possono essere derivati dagli Ominidi…
Bjorn Kurtén, Einaudi 1972

Il venerabile antenato aveva si un cervello piccolo e una faccia grande, ma camminava in posizione eretta e le sue membra avevano le proporzioni a noi note nell’uomo.
André Leroi-Gourhan (1964) Einaudi 1977

Quale fanciullo di primati viventi è più simile, nella forma, agli stadi giovanili dei nostri antenati? La risposta deve essere: la nostra stessa forma infantile
Stephen Jay Gould, Cambridge Mass. 1977

Noi pensiamo che la derivazione degli Ominidi dal ceppo comune a tutti i Primati ha più probabilità di essere vera della filiazione dalla linea scimmiesca.
Pierre-P. Grassé, Adelphi 1979

Che tra i discendenti più elevati e lontani da un presunto modello umano originario possa trovarsi anche una scimmia antropomorfa è idea che non può sorprendere chi come me aderisce alle vedute di un’antropologia tradizionale
Emilio Servadio “Il Tempo” 1983

Sarei fiero di essere un antenato dello scimmione che a differenza di certi esseri umani è nobile e dignitoso.
Alberto Bevilacqua “Il Tempo” 1983

E’ giusto e logico che da un essere perfetto come l’uomo…possa scaturire uno scimpanzé…Non mi disturba affatto essere l’antenato di uno scimpanzé, mi disturberebbe invece esserne un discendente.
Pietro Chiara “Il Tempo ” 1983

Altri specialisti…si son detti: se a detta della paleontologia gli ominidi risalgono a ben cinque milioni di anni, allora per spiegare la nostra stretta parentela con lo scimpanzé o rivediamo la classificazione dei fossili smembrando la famiglia degli Ominidi, o facciamo derivare lo scimpanzé (per il quale mancano fossili) da questa famiglia…Io preferisco la buona biologia che offre poche certezze e tanti dubbi
Pietro Omodeo “L’Espresso” 1983

Potremmo anche formulare la nostra ipotesi dicendo che le scimmie derivano dall’uomo…
J. Gribbin, J. Charfas, Mondadori 1984

L’assenza di fossili di gorilla e scimpanzé conferma la probabilità di una loro derivazione molto recente in seno alla linea Ominide (bipede).
Francesco Fedele, Le Scienze, Quaderni 1984

Le prove cariologiche indicano che tra gli scimmioni africani viventi e gli uomini il miglior modello cromosomico per la condizione protoominide è Homo Sapiens
R. Stanyon, B. Chiarelli, K. Gottlieb, W. H. Patton, 1985

Rh negativo, l’ibridazione potrebbe spiegare anche il “mistero” del sangue?

Qualche giorno fa è uscito sul Giornale di Montesilvano questo articolo sul fattore Rh negativo in cui viene intervistato Gianluca Sablone.

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Per chi non lo sapesse, i gruppi sanguigni umani si dividono in due macrocategorie: Rh+ ed Rh-. Come si può leggere su Wikipedia,

il fattore Rh, o fattore Rhesus, si riferisce alla presenza di un antigene, in questo caso di una proteina, sulla superficie dei globuli rossi.

Il nome Rhesus deriva dal primate sul quale è stato scoperto il fattore, il macaco rhesus.

Il mistero riguarda il fatto che non si capisce bene da dove sia sbucato fuori il sangue Rh negativo. Se la parentela con gli altri primati spiegherebbe la presenza dell’antigene Rh, il sangue senza Rh sarebbe una peculiarità tutta umana.

All’origine una mutazione genetica?

La scienza ha proposto che la causa possa essere una mutazione casuale ma la motivazione non convince molto per almeno tre motivi:

  1. il sangue è soggetto molto raramente a mutazioni genetiche;
  2. la mutazione sarebbe dovuta essere troppo precisa, perché avrebbe dovuto eliminare solo il DNA che codifica l’antigene lasciando invariato tutto il resto;
  3. la mutazione può causare aborti e malattie mortali e quindi non è né vantaggiosa, né semplice da trasmettere alla generazione successiva.

Adesso ci soffermeremo su questo terzo punto. Prima volevo solo far notare che la risposta scientifica, la mutazione casuale, è una specie di tappabuchi. Mutazione casuale significa: non sappiamo come e perché ma a un certo punto l’antigene Rh è scomparso dal sangue degli uomini. Grazie, verrebbe da rispondere, bella spiegazione scientifica.

Rh- e gravidanze

Vediamo perché il fattore Rh negativo può causare aborti e malattie mortali. Se una donna Rh- si accoppia con un uomo Rh+, c’è il 25% di possibilità che il figlio sia Rh- e il 75% che sia Rh+.

Se il figlio è Rh+, durante la gravidanza il sangue Rh+ del feto entrerà in contatto con l’organismo della madre. Dato che l’organismo della madre non conosce il fattore Rh perché il suo sangue ne è privo, non riconoscerà il sangue del figlio e genererà degli anticorpi contro il fattore Rh. Ma questo feto nascerà senza problemi.

Il caos avviene se la donna in questione rimane incinta una seconda volta e il feto è di nuovo Rh+. Adesso la donna ha degli anticorpi contro il fattore Rh e, appena gli anticorpi della madre passano al figlio, attaccano il sangue del feto, distruggendo i globuli rossi, fino a causare l’aborto.

Oggi i pericoli che corre un eventuale secondo figlio sono arginati attraverso exanguinotrasfusione ma migliaia di anni fa non c’era alcun rimedio. La teoria (neo)darwinista sostiene che si trasmettano solo le mutazioni vantaggiose mentre qui ci troviamo dinanzi a una mutazione genetica mortale.

Fattore Rh e ibridazione

Chi ha letto il mio libro L’origine dell’uomo ibrido ricorderà i paragrafi in cui tratto l’argomento ibridazione, aborti e problemi genetici.

Però nel libro non parlo del fattore Rh, perché non avevo approfondito l’argomento. Adesso, invece, mi è venuta voglia di rimediare dato che sul Giornale di Montesilvano ho letto:

Ma perché mai una madre dovrebbe combattere ed eliminare il suo feto? In nessun caso si verifica questo tra le specie tranne in un caso di ibridazione come tra cavalli e asini dalla cui unione nasce un mulo, ciò prova che nell’incrocio tra due specie simili ma differenti dal punto di vista genetico ci possano essere problemi di riproduzione.

In effetti la presenza nell’uomo moderno di due macrogruppi sanguigni differenti e in contrasto tra loro potrebbe essere spiegata ipotizzando che noi siamo il risultato di un’ibridazione in cui una delle due specie genitrici possedeva il fattore Rh mentre l’altra no.

Ne segue che l’ibridazione debba essere avvenuta tra individui simili alle attuali scimmie antropomorfe e altri individui meno scimmieschi e forse più umani di quanto lo siamo noi. Le specie genitrici si sarebbero poi estinte proprio a causa dell’ibridazione, un fenomeno che gli scienziati chiamano speciazione inversa.

Insomma, noi saremmo il risultato degli incroci tra proto scimmie e proto uomini, come li chiama il genetista David Reich. Se vi state chiedendo chi fossero quei proto uomini più umani di noi, potete trovare la risposta sul mio libro 🙂