Le leggi di Manu, il ‘peccato originale’ e le ibridazioni vietate nell’induismo

Le leggi di Manu

Il trattato di Manu sulla norma (Manavadharmasastra), conosciuto come Le leggi di Manu, è un testo hindu scritto in sanscrito intorno al II secolo a.C..

Ho letto questa edizione pubblicata da Einaudi, che lo definisce “uno dei più celebri testi antichi di norme etico-politico-giuridiche del mondo antico“.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido, starà per notare una seria di coincidenze interessanti.

Il prologo inizia così (1.1-2):

I grandi veggenti si recarono da Manu, che sedeva assorto, e, dopo avergli reso debitamente omaggio, pronunciarono le seguenti parole: “Acconsenti, o glorioso, a esporci correttamente, secondo la sequenza appropriata, le norme di tutte le classi, come anche di coloro che hanno un’origine intermedia.”

Le leggi di Manu e i quattro varna

La parola tradotta con classi è varna. La Treccani c’informa che varna, letteralmente,

significa «colore» ed è quindi da associare al colore della pelle, designa la gerarchia delle 4 classi, ciascuna delle quali costituisce un gruppo sociale chiuso, al quale si appartiene per via ereditaria e che prevede l’osservanza di regole precise riguardanti la commensalità e il matrimonio.

I quattro varna erano:

  1. i brahmani, sacerdoti e intellettuali, colore bianco;
  2. i ksatriya, guerrieri e nobili, colore rosso;
  3. i vaisya, mercanti e artigiani, colore giallo;
  4. i sudra, servi, colore nero.

Il sistema millenario delle caste, ufficialmente abolito solo nel 1950, continua ancora oggi a influenzare la mentalità indiana e a generare incredibili episodi di razzismo.

Ma un sistema che oggi è facilmente riconoscibile come oggettivamente sbagliato, avrà potuto avere un senso logico migliaia di anni fa, quando la situazione era diversa da quella attuale?

L’origine dei varna è narrata nell’antichissimo Rgveda, il cui componimento risale all’età del bronzo ma che si rifà a tradizioni orali circolanti, forse, da millenni. Per assurdo, quando hanno composto il Rgveda, gli autori si trovavano in una situazione già profondamente mutata rispetto a quando quella tradizione orale aveva preso il via.

I parallelismi con il Primo Testamento, a mio avviso, sono numerosi. Poi sarà il lettore a giudicare se e quanto siano forzati.

Le leggi di Manu e il Primo Testamento

Come Abramo che arriva da immigrato nella terra di Canaan e dovrà rapportarsi con le popolazioni autoctone, allo stesso modo i popoli indoari arrivano in India e dovranno rapportarsi con le popolazioni aborigene.

Come gli israeliti decidono di non mescolarsi (almeno in teoria) con i cananei, vietando i matrimoni misti, così gli indoari decidono di vietare i matrimoni tra membri di varna diversi. Ovviamente le due caste più alte erano riservate ai discendenti degli indoari ed erano inaccessibili ai popoli dravidi. Quindi il divieto di mescolare le caste, di fatto, impediva di mescolare popolazioni geneticamente diverse.

Come il figlio nato dai matrimoni tra israeliti e cananei era considerato un mamzer (un bastardo) e veniva escluso dal ‘popolo eletto’, così i figli (e i loro discendenti) nati dal varnasamkara (miscela delle classi), venivano degradati a dalit, una quinta classe di persone impure, indegne persino di fare gli schiavi come i sudra della quarta classe.

Così come la legge veterotestamentaria prevedeva la morte per i trasgressori, la stessa pena poteva colpire un sudra che si accoppiasse con una donna delle tre classi superiori (vedi qui).

Così come gli israeliti consideravano i cananei dei subumani, allo stesso modo gli autori del trattato che stiamo leggendo consideravano i popoli aborigeni dei kinnara, dei semiuomini.

Dunque la domanda potrebbe essere la stessa che pongo ne L’origine dell’uomo ibrido: è possibile che questi divieti si riferissero, originariamente, agli incroci tra i discendenti di tipi umani diversi (Sapiens, Neanderthal, Denisova, ecc.)? Se sì, non si sarebbe trattato (originariamente) di razzismo ma di investimento parentale.

Le leggi di Manu e l’età dell’oro

In 1.39 si legge che [i dieci grandi veggenti generarono] i kinnara, le scimmie… La Nota 21 spiega:

I kinnara, letteralmente semiuomini, sorta di centauri rappresentati talvolta con il corpo umano e la testa equina, appartengono all’immaginario mitico. Si pensa tuttavia che in origine il termine si riferisse anche alle popolazioni aborigene che abitavano nelle foreste.

Come nella Genesi, viene ricordata un’età dell’oro nella quale le persone vivevano più a lungo e, subito dopo, una graduale riduzione di longevità (1.83):

Nell’età krta gli esseri umani realizzano tutti i propri scopi e vivono quattrocento anni, senza malattie, ma nell’età treta e in quelle successive l’arco della vita si accorcia di un quarto alla volta.

Manca solo un concetto riconducibile al peccato originale… o forse no?

La pecca originale

Nei riti di abilitazione è scritto (2.27):

La pecca del seme e dell’utero viene eliminata per mezzo delle offerte nel fuoco durante la gestazione, del rito della nascita, della cerimonia del primo taglio di capelli e della legatura con l’erba munja.

Quindi ai nuovi nati veniva trasmessa una pecca che era presente nel seme e nell’utero dei genitori. Sembra quasi di leggere sant’Agostino… E se il peccato originale, trasmesso dai genitori ai figli, si eliminerebbe (almeno in parte) con il Battesimo, anche la pecca originale si eliminava con una particolare cerimonia.

Il Battesimo, per i cristiani, è una seconda nascita, è la ri-nascita attraverso lo Spirito. È quel sacramento, almeno secondo la dottrina tradizionale, che trasforma le creature di Dio in figli di Dio.

Allo stesso modo la legatura trasforma gli induisti in dvija, termine che significa esattamente nato due volte, l’equivalente di battezzato. Infatti in 2.172 si legge:

[Prima di aver ricevuto la legatura] egli non deve recitare alcuna parte del Veda, giacché egli è come un sudra fintantoché non nasca nel Veda.

Però a differenza del Battesimo cristiano che può essere ricevuto da tutti, i sudra e i dalit, le ultime due caste indiane, non possono nascere due volte.

Le leggi di Manu e l’esclusione dei figli degeneri

Il terzo capitolo si apre con il matrimonio. In 3.5 sembra di scorgere indicazioni che oggi potremmo definire genetiche:

Come sposa per i nati-due-volte si raccomanda una donna [della stessa classe] che appartenga a una discendenza diversa da quella della madre e a un lignaggio differente da quello del padre, e che sia vergine.

In 3.7 è scritto che bisogna evitare famiglie

dove siano villosi, o soffrano di emorroidi, o siano afflitte da tubercolosi, dispepsia, epilessia, vitiligine o lebbra.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido ricorderà interi paragrafi dedicati a queste malattie e le connessioni con gli incroci.

Tutta la prima parte del capitolo 10 è dedicata alle classi miste.

10.6: i figli generati dai nati-due-volte in donne della classe immediatamente inferiore sono soltanto simili ai padri, ma non identici, e disprezzati, a causa della difettosità materna.

10.10: è stato tramandato che sei sono i figli ‘degeneri’.

E cioè quelli nati dall’incrocio della prima classe con le altre tre, della seconda classe con le ultime due e della terza classe con la quarta. In 10.28 vengono chiamati esclusi, com’era escluso il mamzer del Primo Testamento.

Le leggi di Manu e il primo comandamento

10.42: Grazie alla potenza delle pratiche dell’ardore e a quella del seme, però, essi possono conseguire qui in terra, nelle generazioni successive, uno status per nascita superiore o inferiore nel consesso umano.

10.57: Un individuo sconosciuto, segnato da un incarnato inadeguato e nato da una matrice ibrida, sarà riconoscibile come un non-arya…

10.59: chi è nato da una cattiva matrice non può in alcun modo sopprimere la propria natura.

10.61: il regno in cui nascano tali ‘figli del degrado’, che guastano le classi, va rapidamente in rovina, insieme ai suoi abitanti.

Sembra di leggere Isaia 57,4: Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda?

In 10.64, invece, sembra possa esserci un parallelo con il primo comandamento:

Se un individuo nato da padre brahmana e da madre sudra procrea con una donna superiore a lui, l’inferiore ottiene una nascita superiore dopo la settima generazione.

Il paragrafo si chiude con questa frase (10.72):

Lodano il seme, giacché esseri nati da grembi animali sono divenuti, grazie al potere del seme, veggenti acclamati e onorati.

Insomma, le leggi di Manu sono molto interessanti e ci sarebbero anche altri punti da evidenziare. Forse lo farò in un altro articolo. Questo lo chiudo con un brano che sembra anticipare le parabole di Gesù:

2.112-113: Non si deve seminare la conoscenza dove non vi siano né conformità alla norma (dharma) né ricchezza, o neanche un equivalente desiderio di obbedire, così come non si getta un buon seme nella terra salmastra. Chi si attiene al Veda preferisca morire insieme alla conoscenza, giacché persino nell’estremo stato di eccezione non la si semina dove il terreno non è fertile.

Cabala: Adamo mescolò il suo seme in un “luogo inappropriato”

Ho già parlato dello Zohar in questo articolo, quando si allude a un Caino ibrido generato da una qof, una scimmia. Ho trovato un altro passo interessante che confermerebbe che il peccato di Adamo, almeno per gli ebrei cabalisti, fosse riconducibile a un atto di ibridazione.

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Lo Zohar, il libro dello Splendore, è il testo più importante della tradizione cabalistica. Si tratta di un’opera abbastanza esoterica, di non facile interpretazione. Io mi baso sull’edizione a cura di Giulio Busi (Giulio Einaudi Editore, 2008).

A pagina 340-342 si parla dei discendenti di Canaan, che dagli israeliti erano considerati schiavi. Ma chi era Canaan? In Genesi è scritto che Noè ebbe tre figli: Sem, Cam e Iafet. Canaan era uno dei figli di Cam quindi era un nipote di Noè. Gli israeliti, invece, discendono dalla stirpe di Sem. Allora lo Zohar si chiede come mai ci sia questa differenza tra Cam e gli altri due fratelli:

Potresti obiettare che [Cam] era fratello di Sem e di Iafet: perché dunque non era come loro?

In pratica gli autori si chiedono come sia possibile che da un padre buono (Noè, in questo caso) nasca un figlio cattivo (Cam). Prima di rispondere analizzano la situazione opposta, quella in cui si verifica che da un antenato cattivo (Cam) nasca un discendente buono (Eliezer).

Allo stesso modo, alla stirpe di Cam apparteneva anche Eliezer, il sevo di Abramo. Perché non fu [un malvagio] come [Cam], ma un giusto […]?

[Devi sapere che] tutto ciò dipende dal segreto dello svolgersi della luce dall’oscurità: in quanto discendente di Cam, il servo di Abramo proveniva dall’oscurità […].

Quindi dall’oscurità, da una stirpe malvagia (Cam), può capitare che nasca la luce, un uomo giusto (Eliezer).

Ma può capitare anche il contrario, come abbiamo visto con Cam (malvagio) figlio di Noè (giusto). E lo Zohar propone altri due esempi: quello di Ismale (malvagio) figlio di Abramo (giusto) e quello di Esaù (malvagio) figlio di Isacco (giusto).

Ma [vi è anche uno svolgersi] dell’oscurità dalla luce, come nel caso di Ismaele che uscì da Abramo, e di Esaù, [che uscì] da Isacco.

Fin qui il ragionamento non contiene nulla di eclatante. Ma adesso arriva il bello. Infatti gli autori spiegheranno qual è il segreto che causa la nascita di figli malvagi da genitori giusti. Il lettore deve sapere che Ismaele ed Esaù erano stati generati da Abramo e da Isacco con due donne cananee.

Il segreto è che la causa di questo è la mescolanza delle gocce [del seme] in un luogo inappropriato. [Se ne rende colpevole] chi mescola la propria goccia [di seme] con una serva […]: costoro sono male e oscurità, mentre la sua goccia è bene e luce […].

Ho già parlato dei matrimoni misti che erano assolutamente vietati nel Vecchio Testamento qui, mentre di qua ho parlato dei figli bastardi che nascevano dagli incroci. Chi segue questo blog, dunque, non si stupirà dalle affermazioni dello Zohar.

Però non è finita qui, perché il libro dello Splendore si spinge oltre, fino a collegare la mescolanza del seme buono in un luogo inappropriato al peccato di Adamo. Infatti il brano continua:

Chi mischia il bene con il male, trasgredisce la parola del suo Signore, che disse: Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai.

Il rimando è proprio a Genesi 2,17, all’unico divieto che Dio impose ad Adamo. Quindi il significato è inequivocabile: Adamo, che violerà quel divieto, andrà a mescolare il suo seme buono in un luogo inappropriato, esattamente come faranno Abramo e Isacco tempo dopo.

Se vi state chiedendo quale luogo inappropriato potesse esistere ai tempi di Adamo, significa che non avete letto né il mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, né questo articolo.

Tra il primo e il secondo comandamento c’è una frase censurata da secoli (Esodo 20,5)

Quali sono il primo e il secondo comandamento secondo la tradizione cattolica? Leggiamo su Cathopedia, l’enciclopedia cattolica:

I – Non avrai altro Dio all’infuori di me.
II – Non nominare il nome di Dio invano.

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La tradizione della Chiesa ha sintetizzato nei dieci comandamenti una serie di istruzioni che Mosè ha ricevuto da Dio. Le istruzioni sono elencate in due brani paralleli, nel capitolo 20 del libro dell’Esodo e nel capitolo 5 del libro del Deuteronomio. Potete leggerli integralmente sul sito bibbia.net, cliccando qui e qui.

Sul sito del Vaticano c’è la versione online del Catechismo della Chiesa Cattolica con una pagina dedicata a ciascun comandamento.

Nella pagina del primo comandamento (clicca qui) è riportato il brano integrale dell’Esodo da cui il comandamento (Non avrai altro Dio all’infuori di me) è stato tratto:

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.

Si tratta, lo ripetiamo, del capitolo 20 dell’Esodo, versetti dal 2 al 5.

Stesso discorso vale per il secondo comandamento (clicca qui). In questo caso (Non nominare il nome di Dio invano) è praticamente identico al brano corrispondente dell’Esodo:

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio.

È il versetto 7 del capitolo 20 dell’Esodo.

Il lettore attento avrà notato che il versetto 6 dell’Esodo non viene fatto rientrare né nel primo comandamento, che termina al versetto 5, né nel secondo comandamento, che inizia con il versetto 7. Per la precisione il brano del primo comandamento, come vedremo, viene tagliato a metà del versetto 5. Quindi il Catechismo e la tradizione della Chiesa, per qualche motivo, hanno deciso di saltare un versetto e mezzo (la seconda parte di Esodo 20,5 e tutto Esodo 20,6).

Perché? Forse si tratta di passi irrilevanti? O forse sono frasi poco convenienti? Il brano censurato, è questo:

Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Più che irrilevanti, sembrano concetti sconvenienti. Già sant’Agostino si era scervellato parecchio su cosa potesse significare che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Anche teologi contemporanei come André-Marie Dubarle hanno riflettuto molto su questa frase.

È difficile razionalizzare l’idea che un Dio geloso possa punire i figli e i nipoti innocenti di un peccatore. Dato che pure i teologi faticano a spiegarselo, meglio che i fedeli sprovveduti non la leggano proprio, così hanno un pensiero in meno. La sfortuna, però, ha voluto che questa frase sconveniente capitasse proprio lì, in uno dei testi più famosi di tutta la Bibbia: all’interno dei 10 comandamenti e, come se non bastasse, tra il primo e il secondo!

E se invece si trovasse in un testo fondamentale proprio perché è una frase fondamentale? Chi ha già letto il mio libro, saprà che, per me, quel concetto sconveniente è una delle chiavi più importanti per comprendere il significato più profondo di tutto l’Antico Testamento.

Se non avete letto il libro, dovete almeno leggere i due articoli che precedono questo che state leggendo: il primo, sui matrimoni misti proibiti e il secondo, sui figli bastardi che venivano generati quando si violava il divieto dei matrimoni misti.

Se non avete letto il libro e neanche gli articoli propedeutici, non ve la prendete se non capirete il prosieguo del discorso.

La gelosia, che gli autori sacri attribuiscono a Dio in diversi libri, è spesso connessa al divieto dei matrimoni misti e alla raccomandazione di non seguire i culti pagani dei popoli cananei:

Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di quella terra, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu allora mangeresti del loro sacrificio. Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie. (Esodo 34,14-16)

Che la frase censurata sul Dio geloso e sulla punizione che ricade sulle generazioni successive sia connessa con il divieto dei matrimoni misti, trova conferma in un altro brano.

Quando gli israeliti infrangevano la proibizione e si accoppiavano con i cananei, i figli di questi incroci venivano chiamati bastardi e venivano esclusi dalla comunità del signore:

Il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,3)

Qui ci troviamo in una situazione simile a quella del primo comandamento perché il peccato del genitore, colpevole di aver generato un figlio da un matrimonio misto, ricade sul figlio bastardo innocente. E non solo il figlio ma tutta la discendenza di quel figlio dovrà scontare il peccato dell’antenato. È come se la discendenza bastarda contraesse un peccato che si trasmette di generazione in generazione.

Cosa vi ricorda questo concetto? A sant’Agostino non sfuggì l’analogia tra questo peccato ereditario e il peccato originale che, come questo, sarebbe stato commesso da un progenitore e poi si sarebbe trasmesso alla discendenza innocente. Agostino, infatti, che aveva studiato a fondo l’Antico Testamento, denunciava la presenza, in esso, di una pluralità di peccati ereditari. Dubarle, che pure se ne intendeva, dato che ha scritto due libri sul peccato originale, ha dedicato uno studio alla strana teoria del santo d’Ippona: La molteplicità dei peccati ereditari nella tradizione agostiniana.

A differenza del peccato originale, che avrebbe contagiato tutta l’umanità, il peccato in questione contagia solo un ramo dell’umanità, solo la discendenza bastarda. Sempre Agostino sosteneva che questo peccato degli israeliti si sarebbe sommato, negli sfortunati discendenti, a quello di Adamo.

Ma allora perché nella frase che stiamo analizzando Dio punisce la colpa dei padri nei figli solo fino alla terza e alla quarta generazione? La risposta la troviamo in un altro passo che parla di bastardi. Ma bastardi diversi. Mentre gli incroci israeliti x cananei generavano una discendenza irrecuperabile, gli incroci israeliti x edomiti e israeliti x egiziani, erano recuperabili:

Non avrai in abominio l’Edomita, perché è tuo fratello. Non avrai in abominio l’Egiziano, perché sei stato forestiero nella sua terra. I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,8s)

Ecco dunque spiegata la frase censurata dalla tradizione.

Però sorge una domanda: perché Dio avrebbe dovuto punire i figli e i nipoti generati dagli incroci? La risposta potrei averla trovata in una vecchia edizione del 1827 de Il milione di Marco Polo, questa.

Nel secondo volume, a pagina 399, c’è una nota del conte Baldelli Boni. Sta parlando di uno strano gruppo di indigeni di Sumatra (Indonesia), gli Orang-Gugu. Erano una popolazione poco numerosa che «differiva di poco dagli Orang-Utani», erano «coperti di pelo» e si differenziavano dagli Orang-Utani «solo per l’uso della parola».

Fu condotto uno di questi a Labun, ebbe figli da una donna del paese che erano meno pelosi del padre, alla terza generazione divennero come gli altri.

Nel caso di Sumatra descritto dal nostro conte, sarebbe stata la donna di Labun a violare quella che per gli israeliti era la proibizione dei matrimoni misti. La donna, accoppiandosi con un Orang-Gugu avrebbe generato un figlio bastardo, ibrido, che avrebbe ereditato metà del suo DNA dal padre selvaggio. Non solo: la metà del DNA selvaggio del figlio si sarà poi trasmessa alla seconda generazione e così il nipote della donna peccatrice avrebbe avuto ancora un 25% di DNA Gugu. Alla terza generazione sarebbe arrivato un DNA ancora più diluito, il 12,5%, che avrebbe fatto apparire l’individuo in questione come gli altri.

Ci siamo: in un contesto come quello di Sumatra la frase censurata che stiamo analizzando, diventa comprensibilissima: sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione.

La punizione non sarebbe un’azione diretta di Dio ma la semplice conseguenza genetica di un incrocio che avrebbe causato problemi psicofisici ai discendenti.

La mia ipotesi è che alcuni popoli che vivevano nella terra di Canaan erano geneticamente diversi dagli israeliti. Secondo la moderna paleogenetica, proprio in Palestina, si sarebbero verificati i primi incroci tra Sapiens e Neanderthal. I cananei potevano essere una popolazione più neanderthaloide rispetto agli israeliti.

Nel mio libro, L’origine dell’uomo ibrido, riporto molte prove a sostegno di questa ipotesi. Ne cito solo un paio:

Il gatto Bengala è un ibrido tra il gatto domestico e il gatto leopardo, un gatto selvatico. A causa del carattere nervoso e turbolento, l’Enciclopedia del Gatto[1] c’informa che il Bengala è ritenuto un gatto domestico solo dopo la terza generazione perché prima può continuare ad avere comportamenti tipici della specie selvaggia. Qualcosa di simile accade allo sciacallo ibrido, incrocio tra lo sciacallo e il cane: i tratti selvaggi dello sciacallo perdurano negli ibridi fino alla terza generazione, come documentato da un esperimento condotto in India[2].

[1]Enciclopedia del gatto, tutte le razze riconosciute, storia, curiosità, caratteristiche, De Vecchi, 2010.

[2] Robert A. Sterndale, Natural history of the Mammalia of India and Ceylon, 1884, pp. 238-239.

Ma nella Bibbia ci sono indizi che i cananei fossero geneticamente diversi dagli israeliti? Sì, molti. Ne parlerò in un prossimo articolo. Se invece non volete aspettare, potete leggere il mio libro.

Mamzer, i “bastardi” del Vecchio Testamento

Nell’articolo precedente ho parlato dei matrimoni misti proibiti nel Vecchio Testamento. Il divieto riguardava le unioni tra gli israeliti e i cananei. Gli israeliti erano (alcuni) discendenti di Abramo, il primo patriarca, immigrato nella terra di Canaan (l’attuale Palestina) da Ur dei Caldei (l’attuale Iraq). Quindi gli israeliti non erano originari di Canaan mentre i cananei erano appunto le popolazioni autoctone.

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Tutti i libri del Primo Testamento, come abbiamo visto, ripetono insistentemente che Israele doveva astenersi dal contrarre matrimoni con le popolazioni indigene. Nonostante il divieto sia uno dei più importanti di tutta la Bibbia, l’argomento non è molto conosciuto dai lettori occasionali del testo sacro. La verità è che se ne parla poco, forse perché riguarda un tema che oggi è considerato politicamente scorretto. Quando se ne parla, si tende a minimizzarlo e a giustificare sbrigativamente la proibizione con la motivazione meno scandalosa: i cananei erano pagani, adoravano divinità diverse da Yahweh e quindi i matrimoni misti potevano indurre le famiglie ad abbandonare il culto del vero Dio.

Questo aspetto è sicuramente una delle cause del divieto ma, come vedremo, non è l’unica. Chi dice il contrario non ha mai riflettuto come si deve su diversi passi che adesso analizzeremo.

Abramo è stato il primo patriarca, il primo uomo convertito al culto di Yahweh. Prima di convertirsi era un pagano, come erano pagani tutti i suoi contemporanei, compresi i suoi parenti. Eppure Abramo (leggi l’articolo precedente) non vuole che suo figlio Isacco sposi una cananea. Se il motivo fosse stato solo di ordine religioso, qualsiasi donna non sarebbe andata bene per Isacco dato che nessuna, all’epoca, adorava Yahweh.

Il testo è chiaro. Abramo chiede al suo servo:

non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco. (Genesi 24,3s)

I suoi parenti erano pagani tanto quanto i cananei ma è evidente che Abramo non si preoccupa del credo della futura nuora, si preoccupa di altro…

Lo stesso discorso vale per i figli di Isacco: Giacobbe ed Esaù. I due fratelli erano la seconda generazione di adoratori di Yahweh. Se avessero dovuto sposare una donna non pagana, avrebbero dovuto commettere un incesto perché all’epoca le uniche due donne adoratrici di Yahweh erano Sara (moglie di Abramo e nonna dei fratelli) e Rebecca (moglie di Isacco e madre dei fratelli).

Le coetanee di Giacobbe ed Esaù, in tutto il mondo, erano pagane e infatti il povero Esaù sposerà due pagane cananee. Che non l’avesse mai fatto. La madre reagisce così:

Ho disgusto della mia vita a causa delle donne ittite [ittite significa cananee, n.d.r.] : se Giacobbe prende moglie tra le Ittite come queste, tra le ragazze della regione, a che mi giova la vita? (Genesi 27,46)

E il padre corre subito da Giacobbe, l’altro figlio:

Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su, va’ nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi là una moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre. (Genesi 28,1s)

Basterebbero questi brevi brani per smentire chi vuole ridurre la proibizione dei matrimoni misti a una causa puramente cultuale. Ma se gli aspetti religiosi non sono il motivo primo del divieto, cosa poteva generare una tale repulsione verso i cananei?

Nel libro di Esdra ci sono indizi importanti. La vicenda si svolge dopo l’esilio di Babilonia. Breve riassunto: intorno al 600 a.C. arrivano i babilonesi, invadono Israele, distruggono il tempio e deportano un numero imprecisato di israeliti a Babilonia. Un altro numero imprecisato di israeliti riesce a evitare l’esilio e a rimanere in patria. Dopo qualche decennio gli esiliati vengono liberati e tornano in Israele. Qui scoprono che i non esiliati, nel frattempo, si erano mescolati con i cananei.

Il sacerdote Esdra, com’era prevedibile, si arrabbia tantissimo:

stracciai il mio vestito e il mio mantello, mi strappai i capelli del capo e la barba e mi sedetti costernato. (Esdra 9,3)

E neanche il resto del popolo la prende bene:

si riunì intorno a lui un’assemblea molto numerosa d’Israeliti: uomini, donne e fanciulli; e il popolo piangeva a dirotto. (Esdra 10,1)

Dopo un attimo di sconforto, trovano la soluzione:

Abbiamo prevaricato contro il nostro Dio, sposando donne straniere, prese dalle popolazioni del luogo. Orbene, a questo riguardo c’è ancora una speranza per Israele. Facciamo dunque un patto con il nostro Dio, impegnandoci a rimandare tutte le donne e i figli nati da loro. (Esdra 10,2s)

Il libro si conclude con un lieto fine: la lunga lista di tutti gli israeliti che rimediano al peccato.

Tutti questi avevano sposato donne straniere e rimandarono le donne insieme con i figli. (Esdra 10,44)

Sono necessarie due osservazioni:

  1. questi uomini, per la fedeltà a Yahweh, abbandonano le mogli e i figli. Non sembra che i matrimoni misti e gli anni di convivenza li abbiano deviati dal culto legittimo;
  2. vengono allontanati anche i figli. Se il divieto era tale perché le donne pagane avrebbero potuto far deviare i mariti dal culto a Yahweh, di certo i figli non avrebbero potuto rappresentare alcun pericolo.

Sempre in Esdra si legge un altro brano che esclude completamente la possibilità che il divieto servisse per salvaguardare l’ortodossia religiosa di Israele. Tra gli esiliati rimpatriati ce ne sono alcuni che

non avevano potuto indicare se il loro casato e la loro discendenza fossero d’Israele. (Esdra 2,59)

E altri:

cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono e furono allora esclusi dal sacerdozio. (Esdra 2,62)

Qui non si tratta di fedeltà al culto. Un uomo poteva pure essere il più devoto d’Israele ma se non poteva dimostrare che i suoi antenati non si erano mai incrociati con altri popoli, veniva escluso. Si capisce che i matrimoni misti non riguardavano solo i diretti interessati ma tutta la discendenza bastarda.

E infatti nella Bibbia si parla proprio di mamzer, parola che è stata tradotta con bastardo.

Il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,3)

Altro che influenza dei culti pagani. Qui è chiaro che il vero prodotto peccaminoso dei matrimoni misti erano i figli bastardi e tutta la loro discendenza. E non tutti i bastardi erano bastardi allo stesso modo. Mentre gli incroci con i cananei erano persi per sempre (neppure alla decima generazione), gli incroci con gli edomiti e gli egiziani erano recuperabili:

I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore. (Deuteronomio 23,9)

Questa discriminazione è assolutamente inspiegabile per chi sostiene che il divieto serviva solo a salvaguardare la purezza del culto.

Altre parole, oltre a mamzer, possono significare bastardo. La Bibbia di Gerusalemme traduce la parola sheqer con bastardo, almeno in questo passo del profeta Isaia:

Ora, venite qui, voi, figli della maliarda, progenie di un adultero e di una prostituta. Di chi vi prendete gioco? Contro chi allargate la bocca e tirate fuori la lingua? Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda? (Isaia 57,3s)

Come avevo già scritto in un altro articolo, le sacerdotesse cananee adoravano le divinità della fertilità e si prostituivano all’interno dei templi. In questo brano di Isaia il rimando è chiaro: la maliarda, la maga, è la sacerdotessa, la prostituta sacra, la donna cananea. L’adultero è l’israelita che ha tradito la donna del suo popolo e ha trasgredito il divieto di Dio sui matrimoni misti. I figli di questo incrocio sono figli del peccato, prole bastarda.

Pure il termine nokri può significare bastardo e infatti viene tradotto così in questa metafora del profeta Geremia che non ha bisogno di spiegazioni:

Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda? (Geremia 2,21)

Stesso discorso vale per il termine zuwr, usato dal profeta Osea in un brano più che esplicito:

Sono stati infedeli verso il Signore, generando figli bastardi: la nuova luna li divorerà insieme con i loro campi. (Osea 5,7)

Quanti lettori occasionali della Bibbia sono a conoscenza del fatto che l’infedeltà verso il Signore generava figli bastardi? Spero si sia capito che non sto trattando un argomento secondario, anzi.

Tutto il Primo Testamento ripete fino allo sfinimento lo stesso concetto: gli israeliti dovevano evitare di generare figli ibridi con i cananei. Qualcuno potrebbe pensare, a questo punto, che gli israeliti fossero un po’ razzisti. O addirittura che fosse razzista Dio stesso. Invece la motivazione, secondo me, è diversa ed è molto più profonda. E ne parlerò nel prossimo articolo. Se invece non avete voglia di aspettare, potete leggere subito il mio libro, L’origine dell’uomo ibrido.

Vecchio Testamento, ciò di cui non conviene parlare: perché erano proibiti i matrimoni misti?

Nell’era del politicamente corretto, e considerando tutto ciò che è avvenuto lo scorso secolo, è comprensibile provare un po’ di disagio nell’affrontare un tema centrale del Vecchio Testamento: la proibizione dei matrimoni misti.

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La maggior parte delle persone non conosce minimamente questo argomento che attraversa tutto il Primo Testamento. Non sto parlando di qualche passo isolato e collaterale alla storia del popolo d’Israele ma, come vedremo, di una delle proibizioni più insistenti della Bibbia. Forse la più insistente in assoluto.

La verità è che tanti cristiani non leggono il loro libro sacro e conoscono solo i passi più famosi, quelli che magari vengono letti a Messa e che subiscono una selezione a monte. Selezione giusta, a mio modesto avviso, perché tanti brani, senza la necessaria contestualizzazione, non potrebbero essere compresi e, anzi, rischierebbero di confondere più che di innalzare spiritualmente il fedele.

Ma se siete capitati su questo blog è perché volete saperne di più e quindi indossate la corazza della pazienza e preparatevi a scoprire un concetto tabù della Bibbia.

Prima di partire, una piccola premessa: credo che l’argomento, oltre a essere politicamente scorretto, venga accantonato perché, chi lo conosce, non ne comprende il significato più profondo. Non credo che ci sia una cospirazione per tenere i fedeli all’oscuro della questione; penso piuttosto che il ragionamento dei teologi sia più o meno questo: è vero, gli israeliti non potevano incrociarsi con i cananei, ed è vero pure che il divieto viene ribadito continuamente… ma probabilmente era il frutto di una mentalità oggi superata e quindi perché approfondirlo? Perché perdere tempo a indagarlo?

La mia conclusione è diametralmente opposta: io non ne voglio parlare come se fosse una delle tante curiosità che si possono trovare nella Bibbia; per me il concetto che ruota attorno alla proibizione dei matrimoni misti è fondamentale per capire non solo il Primo Testamento, ma tutta la storia dell’uomo. E alla fine vi sarà chiaro il motivo.

Il popolo d’Israele vivrà in Palestina ma il primo patriarca, Abramo, non era nato in Palestina, era un immigrato. Nella cartina che segue possiamo ripercorrere il suo viaggio.

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Abramo parte da Ur, con sua moglie Sara, e arriva a Canaan, l’attuale Palestina. Qui la coppia avrà un figlio, Isacco. Isacco crescerà in mezzo ai cananei e, arrivato all’età del matrimonio, avrebbe sicuramente sposato una donna di Canaan, se non fosse successo qualcosa di strano.

Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco». (Genesi 24,1-4)

L’ultimo desiderio di Abramo è che suo figlio non sposi una cananea. Come mai? Era solo la fissa di un anziano? Isacco infatti sposerà Rebecca, figlia dei parenti di Abramo, dalla quale avrà due bambini, Giacobbe ed Esaù. Esaù prenderà due mogli.

Quando Esaù ebbe quarant’anni, prese in moglie Giuditta, figlia di Beerì l’Ittita, e Basmat, figlia di Elon l’Ittita. Esse furono causa d’intima amarezza per Isacco e per Rebecca. (Genesi 26,34s)

Chi erano gli ittiti? Facciamo rispondere al professor Francesco Bianchi :

Tutti i commentatori hanno attribuito queste notizie alla fonte sacerdotale, nella quale i cananei vengono chiamati «ittiti». (La donna del tuo popolo, Città Nuova Editrice, 2005, p. 37)

Quindi il matrimonio del figlio con le donne cananee, causano una profonda amarezza nei genitori. E la madre spera di salvare almeno l’altro figlio.

E Rebecca disse a Isacco: «Ho disgusto della mia vita a causa delle donne ittite: se Giacobbe prende moglie tra le Ittite come queste, tra le ragazze della regione, a che mi giova la vita?» (Genesi 27,46)

E Isacco replica ciò che aveva già fatto suo padre Abramo.

Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su, va’ in Paddan-Aram, nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi là una moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre. (Genesi 28,1s)

Così Giacobbe sposerà Lia e Rachele, due sue cugine. Giacobbe è anche il terzo e ultimo dei patriarchi, colui che cambierà nome in Israele. I figli di Israele si trasferiranno in Egitto. Per secoli i loro discendenti abiteranno lì, fino all’arrivo di Mosè, che farà uscire il suo popolo dall’Egitto e lo guiderà fino al ritorno nella terra di Canaan.

Prima, però, Mosè stringerà l’Alleanza con Yahweh. Tra le altre cose, Dio si raccomanda:

Guàrdati bene dal far alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare, perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te. […] Non prendere per mogli dei tuoi figli le loro figlie. (Esodo 34,11-16)

È chiaro che questa proibizione che viene attribuita a Dio, era già conosciuta da tempo se all’epoca di Abramo e Isacco il divieto, di fatto, veniva già osservato.

Più avanti il divieto viene ribadito:

Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni […] Non costituirai legami di parentela con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli. (Deuteronomio 7,1-3)

Violare la proibizione era così grave che chi trasgrediva non faceva una bella fine. Riporto un episodio emblematico in cui la protagonista è una donna madianita, altro popolo che viveva nella terra di Canaan.

Uno degli Israeliti venne e condusse ai suoi fratelli una donna madianita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità degli Israeliti, mentre essi stavano piangendo all’ingresso della tenda del convegno. Vedendo ciò, Fineès, figlio di Eleàzaro, figlio del sacerdote Aronne, si alzò in mezzo alla comunità, prese in mano una lancia, seguì quell’uomo di Israele nell’alcova e li trafisse tutti e due, l’uomo d’Israele e la donna, nel basso ventre. (Numeri 25,6-8)

Dopo la morte di Mosè, sarà Giosuè a far entrare Israele in Canaan e il condottiero, prima di morire, rivolge l’ultimo discorso al suo popolo.

Siate forti nell’osservare e mettere in pratica quanto è scritto nel libro della legge di Mosè, senza deviare da esso né a destra né a sinistra, senza mescolarvi con queste nazioni che rimangono fra voi. […] Perché, se vi volgete indietro e vi unite al resto di queste nazioni che sono rimaste fra voi e vi imparentate con loro e vi mescolate con esse ed esse con voi, sappiate bene che il Signore, vostro Dio, non scaccerà più queste nazioni dinanzi a voi. Esse diventeranno per voi una rete e una trappola, flagello ai vostri fianchi e spine nei vostri occhi, finché non sarete spazzati via da questo terreno buono, che il Signore, vostro Dio, vi ha dato. (Giosuè 23,6-13)

Giosuè è più che esplicito: deviare dalla legge di Mosè significava mescolarsi con i popoli della terra di Canaan.

Ma gli israeliti non riusciranno a seguire le sue raccomandazioni e, nel libro successivo, si legge:

Queste nazioni servirono a mettere Israele alla prova, per vedere se Israele avrebbe obbedito ai comandi che il Signore aveva dato ai loro padri per mezzo di Mosè. Così gli Israeliti abitarono in mezzo ai Cananei, […] ne presero in moglie le figlie, fecero sposare le proprie figlie con i loro figli. (Giudici 3,4-6)

La repulsione verso i matrimoni misti, che inizia con i patriarchi, arriverà fino all’esilio di Babilonia, circa un millennio dopo. Infatti Israele, dopo aver trascorso dei secoli a Canaan, viene espugnato dai babilonesi che deportano una parte del popolo a Babilonia. Dopo alcuni decenni di cattività, gli esiliati vengono liberati e tornano a Canaan. Qui scoprono che gli altri israeliti, quelli che non erano stati deportati, si erano mescolati con i cananei.

Il popolo d’Israele, i sacerdoti e i leviti non si sono separati dalle popolazioni locali, […] ma hanno preso in moglie le loro figlie per sé e per i loro figli: così hanno mescolato la stirpe santa con le popolazioni locali. (Esdra 9,1-2)

Potrei continuare a lungo con le citazioni ma penso che possano bastare. Avevate mai sentito dire che l’Alleanza di Israele con Dio implicava il divieto di incrociarsi con gli altri popoli? Quale motivazione poteva avere una simile proibizione? Alcuni tentano di spiegarla spostando il discorso sul lato spirituale, dicendo che imparentarsi con popoli pagani, a lungo andare, avrebbe causato l’apostasia del popolo eletto. Questo è sicuramente uno dei motivi alla base della proibizione. Ma forse non il principale.

La verità è che tutto il Primo Testamento parla di ibridazioni e delle conseguenze biologiche di tali incroci, come scriverò nel prossimo articolo.

Intanto vi lascio con un’altra citazione del libro del professor Bianchi:

S.J.D. Cohen ha proposto allora di individuare nel biblico “orrore” per le mescolanze fra piante, tessuti e animali la causa dell’ostilità contro i matrimoni misti. Applicando al mondo umano quanto essi pensavano accadesse negli incroci fra cavalli e asini, i rabbini avrebbero deciso che il frutto di questa unione seguisse la specie della madre eassimilarono l’unione fra ebrei e gentili a quella fra uomini e animali. (p. 140)

Se non avete voglia di attendere il prossimo articolo, v’informo che ho trattato questi argomenti, in maniera molto approfondita, nel mio libro L’origine dell’uomo ibrido.

Per leggere la seconda parte, clicca qui: Mamzer, i “bastardi” del Vecchio Testamento.