Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido, ricorderà che alcuni paragrafi di uno degli ultimi capitoli sono dedicati agli uomini selvaggi (compreso il fantomatico Yeti).
Padre Ludovico Secco, che ho avuto il piacere di conoscere a Farra D’Alpago lo scorso ottobre, mi ha scritto una e-mail dopo aver letto il mio libro:
“…A parte questo vorrei contribuire al segmento che riguarda l’uomo selvaggio con una breve testimonianza di un missionario italiano nel Tibet.
Non sono riuscito a incontrarlo personalmente perché ignoravo la sua esistenza ma fortuitamente ho potuto avere un suo memoriale.
Ho potuto visitare nel 2010 i luoghi della sua missione e passare nei posti citati dalla sua testimonianza. Sono certo della serietà del passo che le mando e che ritengo susciterà il suo interesse.
La zona del Tibet è quella di Kanding che dista una ventina di chilometri dal passo Ja-kia-ken citato nella testimonianza. A pochi chilometri dalla città di Kanding esiste un bellissimo lago che ha il nome di “lago dell’uomo selvaggio” o dello Yeti.
Le allego l’articolo testimonianza. Il volume da cui è tratto non è pubblicato e personalmente ne ho fatto una traduzione dal francese (l’autore p. Ferdinando Pecoraro era delle missioni estere di Parigi)…“.
Padre Ludovico, che ringrazio tanto, mi ha autorizzato a pubblicare le sue traduzioni dei due brani del memoriale che trovate di seguito e della biografia di padre Ferdinando Pecoraro scritta da Jean Moriceau.
La testimonianza l’ho lasciata integrale mentre ho tagliato il secondo brano e la biografia tenendo solo ciò che è inerente al tema di questo articolo.
Anche le foto sono state scattate da padre Ludovico in Tibet, nei pressi del luogo in cui padre Ferdinando avrebbe visto lo Yeti.
La testimonianza
Altro oggetto misterioso di cui la stampa si diverte a parlare da più di 40 anni è lo ‘YETI’ o ‘abominevole uomo delle nevi’ come lo ha chiamato in seguito Paris Match.
Un giorno nell’autunno del 1949, tornavo da Mosimien dove ero andato ad acquistare dei cereali: mais, fagioli, grano saraceno, fave… per i miei orfani e quelli delle suore Fmm.
La carovana di una decina di animali (Dzo, muli, cavalli) avanzava lentamente guidati da Hong Kuing (il soldato rosso) un superstite dell’armata di Mao ai tempi della Lunga Marcia, abbandonato morente al margine della strada.
I padri l’avevano raccolto e le suore curato e guarito ma… era rimasto muto. Era orgoglioso di portarmi il fucile da caccia e la borsa con la macchina fotografica.
Precedevo la carovana di un 200 metri ed ero arrivato quasi in cima al passo Ya kia Ken, (oltre quattromila metri). Restavano soltanto quattro ore di marcia per arrivare a Semakiao e camminando cercavo di recitare il breviario.
Il sentiero passava all’inizio di un ruscello e proprio dall’altro lato a dieci metri da me una betulla che aveva già perduto le foglie (s’era d’autunno) era cresciuta in mezzo a un boschetto di bambù nani.
Sull’albero giocavano una decina di scimmiette. Allora tenendo il breviario con la sinistra (distrazione!) mi sono divertito a lanciare loro dei sassolini. E’ stato divertente vedere come quelle là mi imitassero, come se anch’esse volessero lanciarmi qualcosa.
Ad un certo punto tra le foglie morte e gli aghi di pino non trovo più dei sassolini; allora afferro una grossa pietra e la lancio ai piedi della betulla.
Come reazione sento uno strano scricchiolio e dal folto dei bambù spunta una testa enorme: faccia piatta, lunga capigliatura che scendeva molto più in basso delle spalle, separata da una discriminatura diritta che la divideva alla sommità del cranio.
Il colore di quell’essere era di un crema-caffè. Quanto era alto? Non potevo vederlo se non dal busto in su che emergeva dai bambù, mentre la testa poteva avere su per giù una volta e mezza le misure della mia.
A quella altitudine i bambù sono alti circa due metri perciò l’animale doveva avere una statura per lo meno di due metri e mezzo, a meno che non fosse ritto su un sasso o su un tronco.
La ‘bestia’ mi fissava con calma, mentre io… la guardavo… perplesso! Reggendo sempre il breviario nella mano sinistra, ho cercato di indietreggiare con prudenza verso il passo. D’altro canto ero preoccupato per quelli della carovana.
A gesti, cerco di attrarre l’attenzione di Hong Kuin il muto che guida la carovana. Ma con sorpresa lo sento gridare: ”Yè Jen….Yè Jen!…” (L’uomo selvaggio in cinese), proprio lui che non riusciva ad articolare una parola!
Lo choc era stato così forte da ridargli (almeno in parte) la parola perché da allora ha potuto continuare a comunicare. Potete ben credere che per quanto mi riguarda non ho avuto né l’idea né tanto meno il coraggio di chiedere a quell’individuo di fornirmi i suoi connotati.
A quel tempo Paris Macht non aveva ancora parlato dell’’abominevole uomo delle nevi’ ma quando sono arrivato a Kanding dalle suore, ho raccontato loro come fatto curioso, il divertente incontro.
“Ah…sì – ha risposto una di loro – è lo Ye Yen (l’uomo selvaggio)!” Quel lunedì perciò, alla fine del pranzo ho chiesto ad Andrè: “Ma esiste veramente questo Ye jen?” “Ma certo!” “E tu l’hai mai visto?” “Io no ma mio padre, e due dei miei zii l’hanno già incontrato”.
È curioso il fatto che nonostante il grande interesse suscitato, dopo mezzo secolo nessuno sia ancora riuscito a scoprire questo misterioso animale. Il governo cinese in anni recenti ha dato mandato a un’equipe di decine di specialisti, l’incarico di cercare questo ‘individuo’ in un’area spazio di centinaia di chilometri quadrati a nord del Sichuan; non hanno potuto trovare che delle tracce.
È possibile che l’animale che ho incontrato sia lo stesso che viene chiamato YeTi? Io ne sono convinto. Potrebbe darsi che sia una specie di primate nel quale una disfunzione ormonale ha causato uno sviluppo eccezionale.
Del resto esistono anche umani con statura di oltre due metri. Potrebbe essere che abbiano avuto la sorte in questo, di avere qualcosa in comune con le scimmie.
Escursione al ‘Lago dell’uomo selvaggio’ Ye jen hai – 28 agosto
Giovedì 28 agosto, alzata all’aurora e celebrazione antelucana dell’eucarestia nella stanza d’albergo, colazione sbrigata più velocemente degli altri giorni e padre Ly che ci aspetta all’ingresso con un minibus di un’età ‘più che rispettabile’ a giudicare dalle apparenze. Si va al lago dell’uomo selvaggio, (in cinese Yé Jen Hai) un lago racchiuso tra le montagne a 21 chilometri dalla città. Posto a un’altitudine di 3700 metri sembra essere il lago più alto del sud-est asiatico.
‘Lago dell’uomo selvaggio’, capirete come il nome stesso mi incuriosisca. Non sarà per caso che il nome derivi da qualche leggenda? Piuttosto penso che sia estremamente probabile che lo Yeti, ‘l’uomo selvaggio’ sia stato visto specialmente da queste parti. Naturalmente non ne ho la certezza ma se questo appellativo non conferma in modo esplicito la mia esperienza (come ho già riferito in altra parte) non la smentisce affatto.
Nella biografia scritta da Jean Moriceau c’è l’episodio dello Yeti
Ferdinando Pecoraro nasce a Telve di Valsugana in diocesi di Trento il 2 agosto 1921 dal matrimonio di Ermenegildo e Angela Bardi.
Nel 1931 i genitori emigrano in Francia per cercarvi lavoro stabilendosi a Betlehem nel comune di Goumois (Haut-Doubs).
Il 29 giugno del 1946 riceve l’ordinazione diaconale e il 21 dicembre dello stesso anno diventa sacerdote. Poco dopo (1 gennaio 1947) riceve l’obbedienza per la missione di Ta-Tsien-Lu (Marche Tibetane).
Solo in luglio del 1948 potrà partire per la missione di Ta-Tsien-Lu insieme a padre George Dozance, per la strada che lo porta a scavalcare il colle Eul-Lan-Shan (la montagna delle due orecchie 3437 metri) per discendere verso Luting.
Un giorno mentre tornava da Mosimien, giunto al colle Ya-Kia-Ken, in compagnia di un catechista, mentre camminava a fianco della cavalcatura recitando il breviario, alzando gli occhi scorse una creatura gigantesca dal torso peloso e con la testa dotata di una folta capigliatura, che spuntava da un boschetto di bambù nani alti due metri. Quell’essere scimmiesco antropomorfo era forse il leggendario “abominevole uomo delle nevi”? A dire di padre Pecò anche il catechista lo vide. Rapidamente lo strano essere disparve nel folto dei bambù nani.