Genetista di fama internazionale: «Gli scimmioni derivano dall’uomo, non il contrario»

Giuseppe Sermonti è stato docente universitario di Genetica dal 1964, dapprima a Camerino, poi a Palermo e infine a Perugia, dove, dal 1974 al 1986, ha diretto l’Istituto di Genetica. È stato per tre anni presidente dell’Associazione Genetica Italiana e vicepresidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica tenutosi a Mosca nel 1978. In questo periodo fu nominato direttore dell’International School for General Genetics del Centro Ettore Majorana e successivamente direttore responsabile dei corsi quadriennali di Microbial Breeding, presso l’International School for General Genetics.

Il professor Sermonti è uno degli scienziati che ho citato nell’ultima presentazione del libro Lorigine dell’uomo ibrido ad Andria, di cui vi propongo un estratto che in rete sta accendendo un po’ di discussioni… Subito dopo troverete l’articolo di Sermonti, Dopo l’uomo la scimmia, pubblicato sul sito Airesis, sito che purtroppo non viene più aggiornato dal 2007 ma che possedeva un comitato scientifico come questo.

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Dopo l’uomo la scimmia

Evoluzionismo ed antievoluzionismo: il Peter Pan dei primati

Giuseppe Sermonti – scrittore, saggista, già docente di genetica all’Università di Perugia.

Il cervello ha un grande volume nel feto, e si riduce, in rapporto al corpo, con la crescita. Un grande cervello è un carattere infantile. Nella foto, un feto umano di sette settimane.

La teoria evoluzionista, che fa discendere l’uomo dalla scimmia, ha confinato nel regno delle favole l’antropologia biblica, che vuole l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Eppure i dati delle più recenti ricerche della paleontologia e della biologia molecolare sembrano indicare la grande antichità dell’uomo e il carattere secondario e derivato degli scimmioni africani. Riacquistano così significato le antiche mitologie, nelle quali l’animalesco trae le sue origini dall’umano.

La cultura occidentale si trova da oltre un secolo, di fronte ad una doppia antropogonia. Nella tradizione biblica l’uomo è creato direttamente dal Signore, a sua immagine e somiglianza. A questa antropogonia se ne sovrappone un’altra, di origine scientifica, secondo la quale l’uomo emerge dalla bestialità scimmiesca, per il gioco delle leggi di natura, senza bisogno del Signore. Si tratta di un’interpretazione di tipo gnostico che vede la creazione iniziale come l’atto malvagio di un demiurgo, e l’emergenza dell’uomo come un processo di liberazione dal male attraverso la conoscenza. [E. Samek Ludovici, La gnosi e la genesi delle forme, rivista di biologia 74 (1-2) pp. 55-86, Perugia 1981]

L’interpretazione biologica ha guadagnato sempre più credito e l’uomo moderno è invitato a considerare l’antropogonia biblica come una favola, o come una metafora o come un raccontino per l’ingenuità dei primitivi.

Nello stesso momento, poiché l’uomo ha bisogno di confortare con significati e valori la propria origine, si è attuata una mitizzazione dell’origine bestiale dell’uomo, con la conseguente riformulazione di tutte le nostre giustificazioni e speranze. [J. R. Durant, Il mito dell’evoluzione umana, Rivista di Biologia, 74 (1-2-) pp. 125-151, Perugia 1981]

A questo punto si deve dire che l’antropogonia biologica, lungi dall’essere una realtà scientificamente comprovata, è uno dei capitoli più oscuri ed equivoci della nostra scienza moderna, e che l’origine scimmiesca degli uomini è stata sostenuta contro ogni prova neontologica e paleontologica. I risultati più recenti concordano nell’escludere una derivazione dell’uomo dalle scimmie ominidi attuali (scimpanzé, gorilla, orango) o passate, e presentano piuttosto gli scimmioni come specie derivate, recenti e senza futuro biologico. [G. Sermonti La luna nel bosco: saggio sull’origine della scimmia, Rusconi, Milano 1985]

Primitività dell’uomo.

Contrariamente a quanto Darwin affermava e a quanto comunemente si crede, l’uomo non si distingue dalle altre specie di primati per essere particolarmente evoluto e specializzato. All’opposto, così come i primati rappresentano un gruppo primitivo tra i Mammiferi, l’uomo rappresenta una specie primitiva all’interno dei Primati.

Confronto tra i crani fetali e adulti di scimpanzé e di uomo.
Il cranio scimmiesco adulto è molto più alterato nelle proporzioni di quello umano.

La grandezza del cervello umano è stata presa a misura della evoluzione della nostra specie. Il valore di questo dato ponderale è molto discutibile. Se fosse il peso assoluto del cervello a segnare l’intelligenza, la balena e l’elefante ci supererebbero di molto. Se, come pare più giusto, si dovesse valutare il peso cerebrale in relazione al peso del corpo, lo scoiattolo saimiri, il tursoide, il topolino e la tupaia avrebbero più intelligenza di noi. Nello scoiattolo saimiri il cervello rappresenta l’8% del corpo, nell’uomo il 2%. Il grosso cervello è carattere di tutti i primati e si trova in particolare in quelli considerati più primitivi (tursiope, tupaia). [R. Holloway, I cervelli degli ominidi fossili in Gli antenati dell’uomo, Le Scienze, quaderno 17 ottobre 1984]

Nel neonato umano il peso relativo del cervello è quasi il 10% del peso corporeo e nel neonato di scimpanzé pressappoco lo stesso. Un valore enorme rispetto al 2% che l’uomo raggiungerà nella maturità.

Il grosso cervello (per quel che conta) è un carattere primitivo e infantile, e non una caratteristica tardiva e adulta.

Quasi tutti gli altri caratteri umani hanno una configurazione primitiva e originaria, sono cioè vicini alle conformazioni tipiche dell’ordine e presenti nei più antichi Primati fossili. Il cranio sferoidale, senza creste o arcate prominenti, è un tratto primitivo, così come i piccoli denti bassi e regolari, senza canini emergenti, che si osservano nel driopiteco (10 milioni di anni fa) e nel ramapiteco (15 milioni di anni fa).

La mano umana ha l’architettura primitiva della mano dei tetrapodi. Le cinque lunghe e dritte dita chiudono una serie magica, 1.2.3.4.5., ovvero, radio+ulna, tre+quattro ossicini del metacarpo, cinque ossa del carpo che si continuano nelle falangi. Il piede presenta la plantigrada tipica dei mammiferi più primitivi, mettendo al suo servizio una perfetta integrità strutturale, con la stessa serie 1.2.3.4.5. della mano. Il parallelismo delle falangi del piede è presente nell’embrione di quasi tutti i primati, mentre il distacco dell’alluce è carattere che interviene solo al termine dello sviluppo embrionale degli scimmioni.

La stazione eretta (cui la paleontologia assegna la venerabile età di 5-6 milioni di anni) è anch’essa un tratto primitivo. Essa comporta una base del cranio arrotondata e aperta in un forame occipitale centrale, articolato su un collo verticale. Questa è la condizione che preserva più integro l’allineamento delle vertebre e la sfericità del cranio, che sono caratteri embrionali. L’appoggio sulle nocche degli scimmioni e la stazione quadrupede comportano la torsione della nuca, l’arretramento del forame occipitale e la costrizione della base cranica. Durante lo sviluppo embrionale dei Primati il forame occipitale, inizialmente centrale, migra posteriormente. [M Westenhöfer, Die Grundlagen meiner Theorie von Eigenweg der Menschen, Carl Winter, Heidelberg 1948]

Tutti i caratteri che abbiamo menzionato collegano l’uomo all’embrione proprio e degli altri Primati, e lo indicano come specie giovanile e primigenia, spostandone la comparsa lontanissimo nel passato, oltre la testimonianza, pur impressionante, dei reperti fossili portati alla luce negli ultimi venti anni. Mentre nel 1960 si attribuiva al genere Homonon più di mezzo milione di anni, nel 1980 le datazioni di fossili del nostro genere hanno raggiunto i quattro milioni di anni.

Non tenterò un esame, neppure sommario, dei fossili degli ominidi africani, se non per ribadire che essi testimoniano la grande antichità della stazione eretta. E’ mia convinzione, come quella di autorevoli paleoantropologi, che essi non siano i nostri ascendenti, ma rami laterali di un cespuglio dalla base del quale è emersa la nostra forma. [E. Genet-Varcin, Problèmes de Philogénie chez les hominidés d’un point de vue morphologique , Ann. Paleont. Vértébrés, 61 (“) pp. 211-233, 1975 e S. J Gould, Questa idea della vita, Editori Riuniti pp. 48-554, Roma 1984]

Fossili di scimmioni del tipo dello scimpanzé, del gorilla e dell’orango, benché a lungo cercati, non sono mai stati trovati. Queste forme sono, per quanto ne sappiamo, molto più recenti della forma umana e attribuire il ruolo di nostri ascendenti ad essi o a forme ad essi simili (come voleva Darwin) è trasformare quello che fu un errore scientifico in un falso scientifico.

Molecole e cromosomi

Lo sviluppo della biologia molecolare a partire dagli anni sessanta ha consentito il confronto biochimico tra le specie viventi.. Attraverso un criterio obiettivo di valutazione è divenuto possibile definire la “vicinanza biochimica” tra le specie. Specie giudicate lontane dai sistematici risultarono biochimicamente lontane, specie vicine risultarono biochimicamente molto simili. Confrontando i dati biochimici con quelli paleontologici fu anche possibile trasformare le distanze molecolari in tempi storici.

La Forma umana è inscrivibile nel cerchio e nel quadrato (Leonardo). Al confronto la povera forma scimmiesca appare sproporzionata e deforme.

Si postulò una costanza del ritmo di mutazione nel tempo, si calcolò (per varie proteine) il tempo medio richiesto per una singola modificazione, e si riuscirono così a calcolare, su base molecolare, i tempi di divergenza, cioè le epoche in cui due specie in esame avevano cominciato a registrare nelle loro molecole modifiche indipendenti, avevano cominciato a differenziarsi biochimicamente. [R. E. Dickerson, Struttura e funzione di un ‘antica proteina, Le Scienze, 47, Luglio 1972]

Una delle più sconcertanti risultanze della comparazione molecolare fu la incredibile vicinanza tra l’uomo e gli scimmioni africani. Tradotta in milioni di anni, secondo i principi del cosiddetto “orologio molecolare”, la divergenza tra uomini e scimpanzé risultò di 1,3 milioni di anni, [M. Goodman, in “Progr. Biophys. Molec. Biol”, 38, pp. 105-164, 1981] una data che fu poi corretta a 4-5 milioni di anni. Si trattava, comunque, d’un epoca inferiore alle più antiche documentazioni fossili relative ai primi ominidi (5-6 milioni di anni) in contraddizione con l’idea che gli ominidi derivassero dagli scimmioni.

Un’analisi più sottile delle modificazioni molecolari successive alla divergenza tra uomini e scimmioni rivelò un’altra situazione inattesa. Le modifiche erano state molto più numerose sulla linea scimmiesca che sulla linea umana. Ciò corrispondeva alla constatazione che l’ascendente comune tra uomo e scimmioni aveva una struttura molecolare molto vicina a quella dell’uomo moderno.

Sia anatomicamente che molecolarmente l’uomo risultava il Peter Pan tra i Primati, cioè la specie che non si trasformava nel tempo, il bambino che non voleva crescere. [A. R. Templeton Phylogenetic inference from restriction endonuclease cleavage site maps… in Evolution 37, pp. 221-244, 1983]

I citologi, cioè gli studiosi dei cromosomi, comparando le mappe cromosomiche di uomo, scimpanzé e gorilla raggiunsero, indipendentemente, la stessa conclusione. L’ascendente comune di uomini e scimmioni aveva cromosomi virtualmente uguali a quelli dell’uomo moderno. Anche i citologi raggiunsero la conclusione che uomini e scimmie erano derivati da un proto-uomo, il che significava, in parole semplici, che la figura umana aveva preceduto quella scimmiesca. [J. J. Junis, O. Prakash, The origin of man: a chromosomal pictorial legacy, Science, 215, pp. 1525-30, 1982]

I dati molecolari e citologici hanno sostanziato dunque quello che i dati anatomici e paleontologici avevano indicato. La grande antichità dell’uomo, il carattere primario della nostra specie rispetto al carattere secondario e derivato degli scimmioni africani.

Pan e Satana

La caduta dell’umano nell’animalesco è un avvenimento di così grande drammaticità che ci dobbiamo attendere di trovarne una traccia nelle categorie del nostro spirito, una menzione nelle nostre mitologie. Un esame della mitologia greca e della storia sacra cristiana ci confronta subito con la narrazione della caduta in varie versioni, di cui mi limiterò a citare le due più importanti, che rappresentano due momenti cruciali nella religione olimpica e nelle religioni monoteistiche derivate dall’ebraismo.

Il cranio di un giovane gorilla tra i crani di quattro adulti. Si noti l’aspetto “umano” del cranio infantile. D questo confronto si sviluppò nelgli anni Venti l’ipotesi che l’uomo fosse una forma giovanile-generalizzata-originaria e gli scimmioni fossero forme senili- sspecializzate- derivate. (Museo di Storia Naturale di Salisburgo)

Un mito narra dell’unione del Dio Hermes, l’angelo dei greci, con una ninfa figlia di Driope. Dall’unione nasce un bambino-animale, un essere mezzo uomo e mezzo capro, che il padre porterà in Olimpo, dove sarà assunto alla divinità col nome di Pan. [K. Kereny, Dei ed Eroi della Grecia, vol.1 pp. 162-164, Garzanti, Milano 1976] Pan è il dio dei boschi e delle balze montane, inseguitore di ninfe, suonatore di flauto, custode del riposo meridiano, generatore della follia, dell’incubo, del panico. Questo dio-satiro assunse un ruolo centrale nell’Olimpo ellenico, e rappresenta il lato oscuro, selvaggio, passionale dell’uomo, una condizione estrema del dionisismo, all’opposto della distaccata purezza di Apollo. Nella storia sacra cristiana incontriamo una figura iconograficamente identica al Pan greco: Satana, il diavolo.

Questo satiro, che nella nostra religione non ha nessuna delle qualità gioiose e divine di Pan, è pura malvagità, è la raffigurazione del male assoluto. Anch’esso ha origine da una figura umana, da un a arcangelo arrogante che è punito da Dio e precipitato nel basso e nell’animalesco con tutta la sua razza. Nei bestiari proto-cristiani l’animalesco non è rappresentato dal capro, ma dalla scimmia, e precisamente dalla scimmia umanoide, priva della coda. Scrive il Physiologus (II-IV sec.) “…la scimmia è un immagine del demonio: essa ha infatti un principio, ma non una fine, cioè una coda, così come il demonio in principio era uno degli arcangeli, ma la sua fine non  si è trovata”. [Il Fisiologo, trad. it, Adelphi, Milano 1975]

I primi bestiari cristiani sono probabilmente di origine africana (egiziana) e si deve pensare che portino testimonianza di una tradizione primordiale, nella quale la scimmia derivata dall’umano appare come un simbolo fondamentale della storia sacra. L’origine dell’uomo dalla scimmia asserita da Darwin, oltre a contraddire una serie di prove naturalistiche, ribalta il fondamento della nostra sacralità, ponendo il male, sotto forma di scimmia, all’origine, e il bene come emancipazione dalla creazione primigenia. L’uomo razionale si salva da un cattivo demiurgo creatore.

Nella nostra tradizione, al contrario, è l’uomo che introduce il male nel creato, e la sua redenzione, ad opera del Dio fatto uomo, rappresenta un ritorno alla purezza originaria.

ALCUNI COMMENTI ALL’ORIGINE DEGLI SCIMMIONI DALL’UOMO

Anche se scimmia e uomo hanno comune radice…questa è però…non la forma scimmiesca ma quella umana. L’espressione volgare, se si devono usare queste formule, dovrebbe suonare così: “la scimmia deriva dall’uomo”…
Max Westenöfer (1926) Heidelberg 1948

Gli ominidi non discendono dalle scimmie antropoidi, piuttosto gli scimmioni possono essere derivati dagli Ominidi…
Bjorn Kurtén, Einaudi 1972

Il venerabile antenato aveva si un cervello piccolo e una faccia grande, ma camminava in posizione eretta e le sue membra avevano le proporzioni a noi note nell’uomo.
André Leroi-Gourhan (1964) Einaudi 1977

Quale fanciullo di primati viventi è più simile, nella forma, agli stadi giovanili dei nostri antenati? La risposta deve essere: la nostra stessa forma infantile
Stephen Jay Gould, Cambridge Mass. 1977

Noi pensiamo che la derivazione degli Ominidi dal ceppo comune a tutti i Primati ha più probabilità di essere vera della filiazione dalla linea scimmiesca.
Pierre-P. Grassé, Adelphi 1979

Che tra i discendenti più elevati e lontani da un presunto modello umano originario possa trovarsi anche una scimmia antropomorfa è idea che non può sorprendere chi come me aderisce alle vedute di un’antropologia tradizionale
Emilio Servadio “Il Tempo” 1983

Sarei fiero di essere un antenato dello scimmione che a differenza di certi esseri umani è nobile e dignitoso.
Alberto Bevilacqua “Il Tempo” 1983

E’ giusto e logico che da un essere perfetto come l’uomo…possa scaturire uno scimpanzé…Non mi disturba affatto essere l’antenato di uno scimpanzé, mi disturberebbe invece esserne un discendente.
Pietro Chiara “Il Tempo ” 1983

Altri specialisti…si son detti: se a detta della paleontologia gli ominidi risalgono a ben cinque milioni di anni, allora per spiegare la nostra stretta parentela con lo scimpanzé o rivediamo la classificazione dei fossili smembrando la famiglia degli Ominidi, o facciamo derivare lo scimpanzé (per il quale mancano fossili) da questa famiglia…Io preferisco la buona biologia che offre poche certezze e tanti dubbi
Pietro Omodeo “L’Espresso” 1983

Potremmo anche formulare la nostra ipotesi dicendo che le scimmie derivano dall’uomo…
J. Gribbin, J. Charfas, Mondadori 1984

L’assenza di fossili di gorilla e scimpanzé conferma la probabilità di una loro derivazione molto recente in seno alla linea Ominide (bipede).
Francesco Fedele, Le Scienze, Quaderni 1984

Le prove cariologiche indicano che tra gli scimmioni africani viventi e gli uomini il miglior modello cromosomico per la condizione protoominide è Homo Sapiens
R. Stanyon, B. Chiarelli, K. Gottlieb, W. H. Patton, 1985

Rh negativo, l’ibridazione potrebbe spiegare anche il “mistero” del sangue?

Qualche giorno fa è uscito sul Giornale di Montesilvano questo articolo sul fattore Rh negativo in cui viene intervistato Gianluca Sablone.

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Per chi non lo sapesse, i gruppi sanguigni umani si dividono in due macrocategorie: Rh+ ed Rh-. Come si può leggere su Wikipedia,

il fattore Rh, o fattore Rhesus, si riferisce alla presenza di un antigene, in questo caso di una proteina, sulla superficie dei globuli rossi.

Il nome Rhesus deriva dal primate sul quale è stato scoperto il fattore, il macaco rhesus.

Il mistero riguarda il fatto che non si capisce bene da dove sia sbucato fuori il sangue Rh negativo. Se la parentela con gli altri primati spiegherebbe la presenza dell’antigene Rh, il sangue senza Rh sarebbe una peculiarità tutta umana.

All’origine una mutazione genetica?

La scienza ha proposto che la causa possa essere una mutazione casuale ma la motivazione non convince molto per almeno tre motivi:

  1. il sangue è soggetto molto raramente a mutazioni genetiche;
  2. la mutazione sarebbe dovuta essere troppo precisa, perché avrebbe dovuto eliminare solo il DNA che codifica l’antigene lasciando invariato tutto il resto;
  3. la mutazione può causare aborti e malattie mortali e quindi non è né vantaggiosa, né semplice da trasmettere alla generazione successiva.

Adesso ci soffermeremo su questo terzo punto. Prima volevo solo far notare che la risposta scientifica, la mutazione casuale, è una specie di tappabuchi. Mutazione casuale significa: non sappiamo come e perché ma a un certo punto l’antigene Rh è scomparso dal sangue degli uomini. Grazie, verrebbe da rispondere, bella spiegazione scientifica.

Rh- e gravidanze

Vediamo perché il fattore Rh negativo può causare aborti e malattie mortali. Se una donna Rh- si accoppia con un uomo Rh+, c’è il 25% di possibilità che il figlio sia Rh- e il 75% che sia Rh+.

Se il figlio è Rh+, durante la gravidanza il sangue Rh+ del feto entrerà in contatto con l’organismo della madre. Dato che l’organismo della madre non conosce il fattore Rh perché il suo sangue ne è privo, non riconoscerà il sangue del figlio e genererà degli anticorpi contro il fattore Rh. Ma questo feto nascerà senza problemi.

Il caos avviene se la donna in questione rimane incinta una seconda volta e il feto è di nuovo Rh+. Adesso la donna ha degli anticorpi contro il fattore Rh e, appena gli anticorpi della madre passano al figlio, attaccano il sangue del feto, distruggendo i globuli rossi, fino a causare l’aborto.

Oggi i pericoli che corre un eventuale secondo figlio sono arginati attraverso exanguinotrasfusione ma migliaia di anni fa non c’era alcun rimedio. La teoria (neo)darwinista sostiene che si trasmettano solo le mutazioni vantaggiose mentre qui ci troviamo dinanzi a una mutazione genetica mortale.

Fattore Rh e ibridazione

Chi ha letto il mio libro L’origine dell’uomo ibrido ricorderà i paragrafi in cui tratto l’argomento ibridazione, aborti e problemi genetici.

Però nel libro non parlo del fattore Rh, perché non avevo approfondito l’argomento. Adesso, invece, mi è venuta voglia di rimediare dato che sul Giornale di Montesilvano ho letto:

Ma perché mai una madre dovrebbe combattere ed eliminare il suo feto? In nessun caso si verifica questo tra le specie tranne in un caso di ibridazione come tra cavalli e asini dalla cui unione nasce un mulo, ciò prova che nell’incrocio tra due specie simili ma differenti dal punto di vista genetico ci possano essere problemi di riproduzione.

In effetti la presenza nell’uomo moderno di due macrogruppi sanguigni differenti e in contrasto tra loro potrebbe essere spiegata ipotizzando che noi siamo il risultato di un’ibridazione in cui una delle due specie genitrici possedeva il fattore Rh mentre l’altra no.

Ne segue che l’ibridazione debba essere avvenuta tra individui simili alle attuali scimmie antropomorfe e altri individui meno scimmieschi e forse più umani di quanto lo siamo noi. Le specie genitrici si sarebbero poi estinte proprio a causa dell’ibridazione, un fenomeno che gli scienziati chiamano speciazione inversa.

Insomma, noi saremmo il risultato degli incroci tra proto scimmie e proto uomini, come li chiama il genetista David Reich. Se vi state chiedendo chi fossero quei proto uomini più umani di noi, potete trovare la risposta sul mio libro 🙂

Biblisti e teologi cattolici: «Basta con la credenza nel diavolo»

«È ora di finirla con l’ossessione per il diavolo… L’intervento del biblista Alberto Maggi», questo è il titolo di un articolo uscito ieri sul sito Il Libraio.it.

Padre Alberto Maggi, noto biblista, inizia spiegando che nell’Antico Testamento non esiste la figura del diavolo che corrisponde al concetto che ne possediamo oggi. All’epoca esisteva il satan, che significa avversario, e che, come spiega il libro del Siracide, è dentro ognuno di noi:

Quando un empio maledice il satana, maledice se stesso. [Siracide 21,27]

La tradizione della Chiesa non è rimasta sempre uniforme al pensiero dominante. Maggi cita una frase ironica di Origene, il grande padre della Chiesa:

Sì che se non ci fosse il diavolo nessun uomo peccherebbe.

Dopo una breve analisi del Primo Testamento, il biblista passa al Nuovo, spiega la differenza tra il diavolo (satan) e i demoni e contestualizza la vicenda di Gesù:

Al tempo di Gesù la credenza nei demòni era talmente fiorente che di notte era vietato salutare chicchessia per timore che potesse essere un demonio (Sanh. 44°), e tutto quel che aveva cause inspiegabili ed era sconosciuto all’uomo, dalla depressione all’epilessia, dal sonnambulismo all’ubriachezza, era ricondotto a un’azione demoniaca.

In un periodo socioculturale simile, è normale che Gesù, che liberava gli uomini dai mali psicofisici, li liberasse anche dai demoni: i due aspetti erano inseparabili.

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Molto interessante, per quanto riguarda l’argomento del mio blog, questo brano in cui l’autore spiega l’origine del termine demòni:

nasce quando tra il III e il II sec. a.C. la Bibbia venne tradotta dalla lingua ebraica a quella greca. I traduttori, in una cultura teologicamente più evoluta, si imbatterono in residui della mitologia babilonese assorbita dagli ebrei nei due secoli nei quali Israele fece parte dell’impero persiano, e tradussero con “demòni” quegli esseri intermedi tra il divino e l’umano quali erano, tra gli altri, le sirene (metà donna e metà uccello) e i sàtiri (la rappresentazione iconografica del diavolo, essere metà capra e metà uomo, si rifà proprio ai sàtiri, in particolare alle raffigurazioni del dio Pan).

Gli esseri intermedi come i satiri sono quegli ibridi di cui ho parlato approfonditamente nel libro L’origine dell’uomo ibrido. Infatti nel libro cito a proposito proprio un lavoro di Maggi, che potete trovare qui: Gesù e Belzebù, Satana e demoni nel vangelo di Marco.

Il forte articolo uscito su Il Libraio è destinato a fare scalpore, come fece scalpore, meno di un anno fa, la dichiarazione rilasciata dal generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa:

Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male. Anche i condizionamenti sociali rappresentano questa figura, ci sono persone che si comportano così perché c’è un ambiente dove è molto difficile fare il contrario.

Dal mio punto di vista il male fa parte del mistero della libertà. Se l’essere umano è libero, può scegliere tra il bene e il male. Noi cristiani crediamo che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, per cui Dio è libero, ma Dio sempre sceglie di fare il bene perché è tutto bontà.

Maggi e Sosa si uniscono a quella corrente lanciata negli anni ’70 dal grande teologo Herbert Haag, che pubblicò il libro La credenza nel diavolo.

Sembra che la strada intrapresa da Haag sia sempre più affollata da grandi studiosi cattolici. Papa Francesco, nella corsia opposta, continua a parlare del diavolo. Eppure sembra che la tendenza a non crederci più sia oramai irreversibile.

Chi sono i Malakim del Vecchio Testamento? Angeli? Alieni? O altro?

I malakim del Vecchio Testamento sono degli angeli, come vuole una certa tradizione cristiana, oppure sono degli extraterrestri, come ipotizzano diversi autori contemporanei?

Cosa significa l’ebraico malakim?

In un articolo precedente avevo dato la mia interpretazione dello scandaloso peccato di Cam e avevo annunciato che avrei mostrato in seguito il parallelismo tra la trasgressione del figlio di Noè, avvenuta dopo il diluvio, e la trasgressione delle figlie di Lot, avvenuta dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra.

Prima, però, è necessario analizzare una figura misteriosa che appare nel racconto di Sodoma e Gomorra e in centinaia di altri passi. Per la precisione, come possiamo leggere sull’utilissimo sito Biblehub, la parola ebraica malak (singolare di malakim) ricorre 213 volte: 110 volte viene tradotta con angelo (o angeli), 100 volte con messaggero (o messaggeri), 2 volte con ambasciatori e una volta con inviati.

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Il significato letterale della parola malakim è proprio messaggeri. Quando gli autori sacri scrivevano il termine malakim, intendevano esattamente indicare dei messaggeri. Se oggi un autore italiano contemporaneo scrivesse di messaggeri, secondo voi a cosa intenderebbe riferirsi? Ad angeli? Ad Alieni? O a messaggeri? Secondo me, a messaggeri.

Quindi il mistero è svelato: i malakim sono messaggeri. Ma il problema sorge adesso: che significa messaggeri? E quindi: che significa malakim?

Chi erano i malakim?

Il vocabolario Treccani definisce messaggero:

Chi reca ad altri un messaggio, un annuncio o anche una richiesta di notizie, come incarico abituale o occasionale.

La difficoltà nell’interpretare correttamente queste figure, nasce, in parte, dal fatto che oggi i messaggeri non si usano più. Se devo dire una cosa a un amico che abita a 500 km, prendo lo smartphone e gli scrivo, non certo mi metto a cercare una persona che si faccia 500 km per andare a parlare con il mio amico.

Nel I millennio a.C., invece, non c’erano i cellulari e quindi c’erano i malakim, i messaggeri. Ovviamente la gente comune non aveva bisogno di malakim perché non aveva la necessità d’intrattenere relazioni con abitanti di città e villaggi tanto distanti.

I malakim erano dunque i messaggeri dei re perché, loro sì, dovevano intrattenere relazioni con i sovrani degli altri popoli: se il faraone egiziano doveva comunicare con il re ittita, non certo saliva personalmente in groppa a un cammello per farsi migliaia di km. Quindi incaricava il suo malak.

Attenzione adesso: se egiziani e ittiti  non avevano buoni rapporti, il viaggio del malak rischiava di finire male. Arrivato in terra nemica, chiunque avrebbe potuto ucciderlo con il risultato che il suo messaggio non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per questo motivo, con il tempo, si era trovata una soluzione che, se ai nostri occhi potrebbe sembrare strana, all’epoca riusciva a garantire la sicurezza dei malakim.

Il malak di un re, nell’antichità, rappresentava lo stesso re. Se gli ittiti avessero ucciso o maltrattato il malak del faraone d’Egitto, è come se avessero ucciso o maltrattato il faraone stesso, è come se avessero dichiarato guerra agli egiziani. Al contrario: trattare bene un malak, equivaleva a trattare bene il suo re; offrirgli ospitalità con tutti i riguardi del caso, equivaleva a ospitare il re stesso.

Nel Nuovo Testamento, che è scritto in greco e quindi non può contenere la parola ebraica malak, Gesù parla proprio dei messaggeri dei re:

quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. [Luca 14,31s]

I malakim di Dio

Adesso che sappiamo chi erano i messaggeri dei re, sorge un altro problema: il Vecchio Testamento non parla solo dei malakim dei re ma anche dei malakim di Dio. Si tratta di angeli, alieni o cosa?

Prima di tutto occorre sapere che gli autori sacri consideravano Dio come il re dei re:

il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen. [1Timoteo 6,15s]

Dato che gli autori sacri immaginavano Dio come il re dei re, proiettavano sul sovrano celeste gli attributi che osservavano nei sovrani terreni, enfatizzandoli. Più i re erano potenti, più servitori potevano permettersi a corte. E Dio doveva essere il più potente dei potenti, ecco perché nella visione di Daniele si legge:

mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti. [Daniele 7,10]

Così come Dio possedeva i suoi servitori e la sua corte, come fosse un re, allo stesso modo doveva possedere i suoi messaggeri, i suoi malakim, esattamente come i sovrani.

Se un re che doveva mandare un messaggio non si doveva scomodare e inviava un messaggero, figuriamoci se poteva scomodarsi Dio, il re dei re, quando doveva comunicare qualcosa agli uomini.

Ed esattamente come i malakim dei re rappresentavano i re in persona, i malakim di Dio rappresentavano Dio in persona.

Alla luce di questa spiegazione, proviamo a leggere uno dei passi più famosi e male interpretati di sempre. Vedremo che tenendo conto di quanto detto fin qui, tutto tornerà alla perfezione. Si tratta di Genesi 18.

Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. [18,1s]

Già troviamo un’apparente contraddizione: il Signore appare ad Abramo ma Abramo vede tre uomini. Com’è possibile? L’apparente confusione continua:

Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». [18,2-5]

Sembra che Abramo e gli autori che abbiano scritto questo brano siano degli psicopatici. Passano continuamente dal singolare al plurale.

Abramo vide i tre uomini e corse loro incontro (plurale) poi si rivolge loro dicendo “Mio Signore… ai tuoi occhi, non passare… senza fermarti” (singolare) e infine “lavatevi… accomodatevi… ristoratevi… potrete proseguire…” (di nuovo il plurale!).

Tutto il capitolo alterna il singolare del Signore al plurale dei tre uomini. Un intero capitolo che non avrebbe alcun senso se non venisse letto con la chiave d’interpretazione che ho esposto sopra**. I tre uomini sono i messaggeri di Dio ma rappresentano Dio stesso. Ecco perché Abramo vede tre uomini ma li chiama “mio Signore“; ecco perché ci tiene tanto a ospitarli e a trattarli con i migliori dei modi: è come se Abramo stesse ospitando Dio in persona!

Dopo i convenevoli, i tre uomini si dividono. Due vanno verso Sodoma mentre uno rimane con Abramo:

Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. [18,22]

Il capitolo successivo, infatti, si apre così:

I due angeli [malakim] arrivarono a Sòdoma sul far della sera mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. [19,1]

Ecco svelata la vera identità di quegli uomini! La Bibbia italiana traduce con angeli ma la parola ebraica è malakim. Il brano continua:

Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. [19,1]

Esattamente come Abramo, Lot vede nella presenza dei malakim, la presenza stessa di Dio.

Questa interpretazione, inoltre, rispecchia in pieno la mentalità degli israeliti e degli ebrei che hanno talmente tanto rispetto per Dio che, ancora oggi, evitano di pronunciare il suo nome. Autori con una simile forma mentis, non potevano scrivere che Dio si manifestasse agli uomini e comunicasse con loro personalmente. L’escamotage di attribuire dei messaggeri a Dio come fosse un re, è un’ottima trovata per inserire i giusti intermediari nei racconti.

Adesso che sappiamo chi sono i malakim, nel prossimo articolo scopriremo chi sono i figli di Dio, i bene ha Elohim di Genesi 6 che pure fanno tanto discutere… Infine saremo pronti per scoprire il parallelo tra il diluvio e Sodoma.

** Alcuni provano a vedere nei tre uomini rappresentanti il Signore, un segno della Trinità di Dio ma 1. gli autori all’epoca non credevano assolutamente che Dio fosse uno e trino; 2. se così fosse, tutte le volte che appaiono i malakim, dovrebbero essere in 3 e invece non è così.