Il Rabbino capo d’Israele cita il Talmud: «Neri come scimmie» e conferma un importante concetto

La notizia, com’era prevedibile, ha scatenato polemiche a livello mondiale. In Italia è stata riportata da Il Giornale e dall’Huffpost, solo per citarne due.

Protagonista della triste vicenda è Yitzhak Yosef, rabbino capo degli ebrei sefarditi di Israele, che, in un sermone, ha paragonato le persone di colore a delle scimmie.

A denunciare per primo il sermone razzista è stato il sito ebraico Ynet. Il Giornale scrive:

Il suo entourage lo ha difeso spiegando che la citazione era presa da un passo del Talmud, il testo sacro considerato fondamento e base della legge ebraica.

Sul sito Ynet non si parla solo di scimmie ma pure di “sub-umani“. Non so quale trattato del Talmud abbia citato il rabbino ma sapevo già che nel Talmud venivano affrontati argomenti simili.

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La pessima uscita del rabbino dimostra che i testi antichi non possono essere citati come se fossero stati scritti ieri. Se sono antichi ci sarà un motivo, no? Quello che oggi è giustamente considerato razzismo, migliaia di anni fa poteva essere la normalità. Nel corso delle mie letture mi sono imbattuto in numerosi studiosi che facevano notare la stessa cosa: quasi tutti i popoli antichi hanno avuto la tendenza a considerare umani solo se stessi, a discapito dei popoli limitrofi.

Giusto per correttezza, ne cito uno (non il più importante ma solo il primo che sono riuscito a ritrovare):

In una società unirazziale vi sarà poco stimolo a considerare creature di aspetto molto diverso come «uomini» o partner nell’accoppiamento.

[…] il genere umano può suddividersi in specie distinte che non si considerano reciprocamente «uomini». [Bjorn Kurten, Non dalle scimmie, Einaudi, 1972, pagina 132]

La Bibbia ebraica, che noi conosciamo come Antico Testamento, è stata scritta proprio in un periodo nel quale i popoli non si consideravano reciprocamente uomini. Quindi non si può citare il Talmud (che si rifà alla Bibbia ebraica) senza tener conto di questa concezione.

Non solo: come cerco di dimostrare in tutto il mio libro L’origine dell’uomo ibrido, è possibile che due/tremila anni fa, proprio nel Vicino Oriente, convivessero popolazioni dai tratti più “moderni” e popolazioni dai tratti più “neanderthaloidi”. Se la mia ipotesi fosse esatta, il famoso divieto dei matrimoni misti non rappresenterebbe più una proibizione “razzista” ma rientrerebbe nel fenomeno che i biologi evoluzionisti chiamano “investimento parentale”.

Insomma, per comprendere il vero senso di un testo antico, non possiamo prenderlo alla lettera come fanno i fondamentalisti: dobbiamo sempre contestualizzarlo e cercare di leggervi ciò che ci avrebbero letto gli antichi autori.

Vi lascio a due paginette del mio libro (capitolo 5) nelle quali analizzo due passi di due trattati del Talmud: Kilayim (misture, miscugli, mescolanze, confusione) e Pesachim (Pasque). Buona lettura!

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Il Kilayim è composto da nove capitoli in cui viene descritta ogni possibile combinazione tra tipi diversi, per quanto riguarda i semi, gli innesti tra piante, gli incroci animali, il lavoro con le bestie da traino e gli indumenti composti da più tessuti. Vi si specifica ciò che è consentito e ciò che non lo è, e le rispettive punizioni da applicare ai trasgressori. Leggendolo si ha la sensazione che gli ebrei dovessero essere terrorizzati dai miscugli. Nel penultimo capitolo, nella quinta mishnah (insegnamento), compaiono degli strani esseri chiamati wild man-like creatures, letteralmente: creature simili a uomini selvaggi. La nota 23 dei traduttori riporta il termine originale ebraico e spiega: «Forse uno scimpanzé o un gorilla […] Alcune versioni rendono “uomo delle montagne”». Inizialmente la mishnah sembra considerarli degli animali: «creature simili a uomini selvaggi sono considerati come appartenenti alla categoria degli hayyah» perché la nota 9 c’informa che per hayyah s’intendono, in questo trattato, dei non meglio specificati animali da caccia. Però poco più avanti leggiamo: «Quando sono morti, i loro cadaveri trasmettono impurità agli uomini e agli oggetti sensibili che si trovano sotto lo stesso tetto, così come i cadaveri degli esseri umani». La nota 26 chiarisce: «Significa che le creature alle quali ci si riferisce sono ritenute come appartenenti alla specie umana». Ci troviamo di fronte a un rompicapo: questa creatura ambigua è considerata un essere umano ma allo stesso tempo un selvaggio, qualcosa di simile a uno scimpanzé o a un gorilla. L’originale ebraico è השדהאדני (adonay sadeh), reso con signore del campo, signore della terra o signore della steppa. Sempre all’interno dello stesso capitolo del Kilayim troviamo un’altra creatura, chiamata in ebraico behemah. La versione inglese la lascia così, senza tradurla, perché anche in questo caso non c’è un termine che possa renderla perfettamente. Nel Primo Testamento ricorre 190 volte e, di solito, è tradotta con bestia, animale, bestiame. Una sola volta compare il suo plurale: behemoth, in un famoso e problematico passo del libro di Giobbe (40,15-24) nel quale è stata tradotta, in maniera abbastanza fantasiosa, con ippopotamo. Fortunatamente la Bibbia di Gerusalemme aggiunge nella nota: «ippopotamo: behemoth è il plurale di una parola che significa “bestia”, “bestiame”. Tale forma può designare sia la bestia che il bruto per antonomasia».

C’è un altro trattato del Talmud che potrebbe aiutarci a fare un pochino di chiarezza. Leggiamo sul Pesachim (Pasque):

I nostri rabbini hanno insegnato: lasciate sempre che un uomo venda tutto ciò che ha e sposi la figlia di uno studioso. Se non trova la figlia di uno studioso, che sposi la figlia di uno dei grandi uomini della sua generazione. Se non trova la figlia di uno dei grandi uomini della sua generazione, che sposi la figlia del capo della sinagoga. Se non trova la figlia del capo della sinagoga, che sposi la figlia di un tesoriere di beneficenza. Se non trova la figlia di un tesoriere di beneficenza, che sposi la figlia di un maestro di scuola elementare, ma non lasciate che sposi la figlia di un membro del popolo della terra (am ha-arez) perché sono detestabili e le loro mogli sono parassite, e delle loro figlie si dice: maledetto chi giace con qualsiasi tipo di bestia.

Quest’ultima frase, come c’informa la nota 4 dei traduttori, è una citazione del Deuteronomio (27,21): «Maledetto chi giace con qualsiasi bestia (behemah)!». Tutto il popolo dirà: «Amen»». La parola bestia, in ebraico, è behemah ed evidentemente gli antichi rabbini non l’associavano, almeno in certi casi, solo a semplici animali. Secondo il Talmud, dunque, la behemah è la figlia della moglie di un membro del popolo della terra e quindi si suppone che il termine non si riferisca a un animale ma a un essere umano, una donna, forse una donna bestiale, selvaggia ma una donna. Infatti l’accenno al popolo della terra non può che far tornare in mente quel signore della terra che abbiamo incontrato nel trattato Kilayim, creatura a metà tra un uomo e un animale (gorilla o scimpanzé) che viene definito simile a un wild man, a un uomo selvaggio. Il popolo della terra rappresenterebbe l’insieme di queste persone bestiali, selvagge…