Le leggi di Manu, il ‘peccato originale’ e le ibridazioni vietate nell’induismo

Le leggi di Manu

Il trattato di Manu sulla norma (Manavadharmasastra), conosciuto come Le leggi di Manu, è un testo hindu scritto in sanscrito intorno al II secolo a.C..

Ho letto questa edizione pubblicata da Einaudi, che lo definisce “uno dei più celebri testi antichi di norme etico-politico-giuridiche del mondo antico“.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido, starà per notare una seria di coincidenze interessanti.

Il prologo inizia così (1.1-2):

I grandi veggenti si recarono da Manu, che sedeva assorto, e, dopo avergli reso debitamente omaggio, pronunciarono le seguenti parole: “Acconsenti, o glorioso, a esporci correttamente, secondo la sequenza appropriata, le norme di tutte le classi, come anche di coloro che hanno un’origine intermedia.”

Le leggi di Manu e i quattro varna

La parola tradotta con classi è varna. La Treccani c’informa che varna, letteralmente,

significa «colore» ed è quindi da associare al colore della pelle, designa la gerarchia delle 4 classi, ciascuna delle quali costituisce un gruppo sociale chiuso, al quale si appartiene per via ereditaria e che prevede l’osservanza di regole precise riguardanti la commensalità e il matrimonio.

I quattro varna erano:

  1. i brahmani, sacerdoti e intellettuali, colore bianco;
  2. i ksatriya, guerrieri e nobili, colore rosso;
  3. i vaisya, mercanti e artigiani, colore giallo;
  4. i sudra, servi, colore nero.

Il sistema millenario delle caste, ufficialmente abolito solo nel 1950, continua ancora oggi a influenzare la mentalità indiana e a generare incredibili episodi di razzismo.

Ma un sistema che oggi è facilmente riconoscibile come oggettivamente sbagliato, avrà potuto avere un senso logico migliaia di anni fa, quando la situazione era diversa da quella attuale?

L’origine dei varna è narrata nell’antichissimo Rgveda, il cui componimento risale all’età del bronzo ma che si rifà a tradizioni orali circolanti, forse, da millenni. Per assurdo, quando hanno composto il Rgveda, gli autori si trovavano in una situazione già profondamente mutata rispetto a quando quella tradizione orale aveva preso il via.

I parallelismi con il Primo Testamento, a mio avviso, sono numerosi. Poi sarà il lettore a giudicare se e quanto siano forzati.

Le leggi di Manu e il Primo Testamento

Come Abramo che arriva da immigrato nella terra di Canaan e dovrà rapportarsi con le popolazioni autoctone, allo stesso modo i popoli indoari arrivano in India e dovranno rapportarsi con le popolazioni aborigene.

Come gli israeliti decidono di non mescolarsi (almeno in teoria) con i cananei, vietando i matrimoni misti, così gli indoari decidono di vietare i matrimoni tra membri di varna diversi. Ovviamente le due caste più alte erano riservate ai discendenti degli indoari ed erano inaccessibili ai popoli dravidi. Quindi il divieto di mescolare le caste, di fatto, impediva di mescolare popolazioni geneticamente diverse.

Come il figlio nato dai matrimoni tra israeliti e cananei era considerato un mamzer (un bastardo) e veniva escluso dal ‘popolo eletto’, così i figli (e i loro discendenti) nati dal varnasamkara (miscela delle classi), venivano degradati a dalit, una quinta classe di persone impure, indegne persino di fare gli schiavi come i sudra della quarta classe.

Così come la legge veterotestamentaria prevedeva la morte per i trasgressori, la stessa pena poteva colpire un sudra che si accoppiasse con una donna delle tre classi superiori (vedi qui).

Così come gli israeliti consideravano i cananei dei subumani, allo stesso modo gli autori del trattato che stiamo leggendo consideravano i popoli aborigeni dei kinnara, dei semiuomini.

Dunque la domanda potrebbe essere la stessa che pongo ne L’origine dell’uomo ibrido: è possibile che questi divieti si riferissero, originariamente, agli incroci tra i discendenti di tipi umani diversi (Sapiens, Neanderthal, Denisova, ecc.)? Se sì, non si sarebbe trattato (originariamente) di razzismo ma di investimento parentale.

Le leggi di Manu e l’età dell’oro

In 1.39 si legge che [i dieci grandi veggenti generarono] i kinnara, le scimmie… La Nota 21 spiega:

I kinnara, letteralmente semiuomini, sorta di centauri rappresentati talvolta con il corpo umano e la testa equina, appartengono all’immaginario mitico. Si pensa tuttavia che in origine il termine si riferisse anche alle popolazioni aborigene che abitavano nelle foreste.

Come nella Genesi, viene ricordata un’età dell’oro nella quale le persone vivevano più a lungo e, subito dopo, una graduale riduzione di longevità (1.83):

Nell’età krta gli esseri umani realizzano tutti i propri scopi e vivono quattrocento anni, senza malattie, ma nell’età treta e in quelle successive l’arco della vita si accorcia di un quarto alla volta.

Manca solo un concetto riconducibile al peccato originale… o forse no?

La pecca originale

Nei riti di abilitazione è scritto (2.27):

La pecca del seme e dell’utero viene eliminata per mezzo delle offerte nel fuoco durante la gestazione, del rito della nascita, della cerimonia del primo taglio di capelli e della legatura con l’erba munja.

Quindi ai nuovi nati veniva trasmessa una pecca che era presente nel seme e nell’utero dei genitori. Sembra quasi di leggere sant’Agostino… E se il peccato originale, trasmesso dai genitori ai figli, si eliminerebbe (almeno in parte) con il Battesimo, anche la pecca originale si eliminava con una particolare cerimonia.

Il Battesimo, per i cristiani, è una seconda nascita, è la ri-nascita attraverso lo Spirito. È quel sacramento, almeno secondo la dottrina tradizionale, che trasforma le creature di Dio in figli di Dio.

Allo stesso modo la legatura trasforma gli induisti in dvija, termine che significa esattamente nato due volte, l’equivalente di battezzato. Infatti in 2.172 si legge:

[Prima di aver ricevuto la legatura] egli non deve recitare alcuna parte del Veda, giacché egli è come un sudra fintantoché non nasca nel Veda.

Però a differenza del Battesimo cristiano che può essere ricevuto da tutti, i sudra e i dalit, le ultime due caste indiane, non possono nascere due volte.

Le leggi di Manu e l’esclusione dei figli degeneri

Il terzo capitolo si apre con il matrimonio. In 3.5 sembra di scorgere indicazioni che oggi potremmo definire genetiche:

Come sposa per i nati-due-volte si raccomanda una donna [della stessa classe] che appartenga a una discendenza diversa da quella della madre e a un lignaggio differente da quello del padre, e che sia vergine.

In 3.7 è scritto che bisogna evitare famiglie

dove siano villosi, o soffrano di emorroidi, o siano afflitte da tubercolosi, dispepsia, epilessia, vitiligine o lebbra.

Chi ha letto L’origine dell’uomo ibrido ricorderà interi paragrafi dedicati a queste malattie e le connessioni con gli incroci.

Tutta la prima parte del capitolo 10 è dedicata alle classi miste.

10.6: i figli generati dai nati-due-volte in donne della classe immediatamente inferiore sono soltanto simili ai padri, ma non identici, e disprezzati, a causa della difettosità materna.

10.10: è stato tramandato che sei sono i figli ‘degeneri’.

E cioè quelli nati dall’incrocio della prima classe con le altre tre, della seconda classe con le ultime due e della terza classe con la quarta. In 10.28 vengono chiamati esclusi, com’era escluso il mamzer del Primo Testamento.

Le leggi di Manu e il primo comandamento

10.42: Grazie alla potenza delle pratiche dell’ardore e a quella del seme, però, essi possono conseguire qui in terra, nelle generazioni successive, uno status per nascita superiore o inferiore nel consesso umano.

10.57: Un individuo sconosciuto, segnato da un incarnato inadeguato e nato da una matrice ibrida, sarà riconoscibile come un non-arya…

10.59: chi è nato da una cattiva matrice non può in alcun modo sopprimere la propria natura.

10.61: il regno in cui nascano tali ‘figli del degrado’, che guastano le classi, va rapidamente in rovina, insieme ai suoi abitanti.

Sembra di leggere Isaia 57,4: Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda?

In 10.64, invece, sembra possa esserci un parallelo con il primo comandamento:

Se un individuo nato da padre brahmana e da madre sudra procrea con una donna superiore a lui, l’inferiore ottiene una nascita superiore dopo la settima generazione.

Il paragrafo si chiude con questa frase (10.72):

Lodano il seme, giacché esseri nati da grembi animali sono divenuti, grazie al potere del seme, veggenti acclamati e onorati.

Insomma, le leggi di Manu sono molto interessanti e ci sarebbero anche altri punti da evidenziare. Forse lo farò in un altro articolo. Questo lo chiudo con un brano che sembra anticipare le parabole di Gesù:

2.112-113: Non si deve seminare la conoscenza dove non vi siano né conformità alla norma (dharma) né ricchezza, o neanche un equivalente desiderio di obbedire, così come non si getta un buon seme nella terra salmastra. Chi si attiene al Veda preferisca morire insieme alla conoscenza, giacché persino nell’estremo stato di eccezione non la si semina dove il terreno non è fertile.

Un pensiero riguardo “Le leggi di Manu, il ‘peccato originale’ e le ibridazioni vietate nell’induismo

  1. Ciao Daniele, il tuo lavoro di ricostruzione degli indizi a sostegno dell’ipotesi Genesi Biblica, donata da Dio a don Guido, è semplicemente grandioso.
    Riguardo al pezzo che hai scritto – e nello specifico alla “copertina” da te scelta – non hai notato come quei “vermetti” che scendono dall’alto abbiano una forte somiglianza con le immagini di spermatozoi visti al microscopio ?
    saluti

    Guido

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